Il P2P è cosa buona e giusta?

Il P2P è cosa buona e giusta?

Lo sostiene un terzo degli intervistati sulla fruizione dei video online. La differenza non la fa la qualità, ma la gratuità. Tempo di nuovi approcci? Non ancora
Lo sostiene un terzo degli intervistati sulla fruizione dei video online. La differenza non la fa la qualità, ma la gratuità. Tempo di nuovi approcci? Non ancora

Il download, pur se illegale, per qualcuno è moralmente ineccepibile: questo è quanto emerge da una recente ricerca effettuata da Ovum, secondo la quale un certo numero di utenti – che posseggono un televisore collegato a servizi digitali e una connessione a banda larga – reputa moralmente ineccepibile il ricorso al P2P per il download di contenuti video.

Stando ai dati diffusi da Ovum , un solo utente su tre dichiara che il download illegale è una cosa sbagliata e che non guarderebbe mai un video di tale tipo scaricato dal web. Inoltre, oltre un terzo degli intervistati avrebbe ammesso di guardare contenuti video scaricati dal web, nonostante il 25 per cento lo giudichi come un atto sbagliato. Infine, in percentuale variabile tra l’8 e il 26 per cento a seconda dei vari paesi interessati dalla ricerca, ci sono i difensori del peer to peer, ovvero coloro che ritengono sacrosanto poter scaricare contenuti dal web pur essendo a conoscenza dell’illegalità dell’azione.

Si tratterebbe, secondo gli autori della ricerca, di una vera e propria presa di posizione ormai ben radicata in una vasta fetta di utenti che, pur potendosi permettere in termini economici l’acquisto di contenuti del genere, semplicemente non hanno intenzione di pagare per poter vedere i contenuti video. A tal proposito, a ben poco gioverebbero servizi volti a carpire la benevolenza del pubblico disposto a pagare, come ad esempio l’incremento della qualità video e audio: sono in pochi, quelli che si lasciano “tentare”.

Va detto che la ricerca è focalizzata solo ed esclusivamente alla fruizione di contenuti video, escludendo quindi il florido scambio virtuale che passa per i lidi del settore musicale, di quello videoludico e, non ultimo, di quello relativo ai software.

Sintetizzando quanto emerso dalla ricerca, l’aspetto che attrae alcuni utenti sul web sarebbe proprio la possibilità di poter fruire in maniera gratuita di contenuti piuttosto che la loro qualità visiva. Del resto, dicono gli analisti, nemmeno i tanto discussi provvedimenti effettuati da parte di provider e associazioni volte alla difesa del diritto d’autore sembrano influire molto sulla tendenza generale: secondo Ovum “Dal momento che sembra impossibile fermare gli utenti dall’effettuare download di video pirata, i provider dovrebbero iniziare a pensare in maniera diversa, fornendo magari nuovi modelli di business sostenuti dalle inserzioni pubblicitarie”.

Si tratta, tuttavia, di uno scenario che al momento non trova riscontro pratico: basti pensare al caso dei diritti televisivi che ruotano intorno alla Premier League inglese, il massimo campionato di calcio del Regno Unito, passato di recente alle cronache per il deciso attacco manifestato contro Internet e il P2P. Le mire e le ire della massima lega calcistica d’oltremanica sono rivolte soprattutto a chi offre gratuitamente servizi di live streaming via web delle partite in cartello, danneggiando così il frutto di accordi milionari. Tali servizi, spesso offerti da siti web di paesi extraeuropei, rendono possibile la fruizione degli incontri senza dover sborsare un centesimo.

La federazione locale ha quindi richiesto l’intervento del segretario per la cultura Andy Burnham, affinchè imponga dall’alto nuove, severe norme. Nel mentre, uno stuolo di legal ha comunque continuato ad aggredire a testa bassa tutti i trasgressori, invocando l’aiuto dei provider e della legge: “Gli ISP dovrebbero essere più responsabili. Solo nella scorsa stagione abbiamo inviato oltre 700 lettere di ingiunzione, con una percentuale di successo pari all’87 per cento” dichiara uno degli avvocati della rappresentativa calcistica britannica. “Uno dei nostri problemi è che spesso tali siti sono registrati sotto falso nome o sono ospitati da ISP di paesi con norme meno restrittive. Quello che chiediamo è che si prenda una decisa posizione e che venga attuata una policy più severa”.

Vincenzo Gentile

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Pubblicato il 6 feb 2009
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