Besson: una rete di spacciatori

Besson: una rete di spacciatori

La pirateria è un business che dà da mangiare agli host e agli ISP, agli inserzionisti e alle piattaforme di advertising. Il regista invoca la legge: punire i consumatori così come i trafficanti e i loro complici
La pirateria è un business che dà da mangiare agli host e agli ISP, agli inserzionisti e alle piattaforme di advertising. Il regista invoca la legge: punire i consumatori così come i trafficanti e i loro complici

La pirateria intride tutti gli anelli della catena del valore della rete: la pirateria alimenta le piattaforme e gli inserzionisti, fa comodo ai provider e ai cittadini della rete. Questa la denuncia del regista e produttore francese Luc Besson , che plaude alla risposta graduale e ammonisce gli attori della rete ad assumersi le proprie responsabilità. Ma non tutta l’industria dei contenuti condivide la sua condanna.

il regista “Tutti ormai riconoscono che è un reato guardare i film sullo schermo del proprio computer attingendo gratuitamente a Internet – scrive Besson in un editoriale pubblicato su Le Monde – si chiama pirateria, anche se si tratta di un fenomeno meno affascinante rispetto all’immagine del capitano Sparrow che sfida le onde dell’oceano”. I cittadini della rete sembrano proni alle tentazioni, ma Besson ritiene che il meccanismo della dottrina Sarkozy saprà educarli al consumo legale di cultura e intrattenimento e alla equa compensazione dei detentori dei diritti: in questo modo, spiega il regista, le platee francesi prenderanno coscienza dei propri errori e non si intratterranno con il download illegale di 500mila film al giorno.

Ma se Besson apprezza le intenzioni di Parigi, sottolinea altresì che sia necessario fare di più. La condivisione di prodotti protetti dal diritto d’autore, a parere del regista, non rappresenta da parte dei netizen una presa di posizione, né una dimostrazione del dissenso nei confronti di un’industria culturale che non sa stare al passo con le esigenze dei cittadini: si tratta di gelido business , che garantisce introiti ad un manipolo di attori che operano online.

Besson si scaglia in particolare contro lo streaming di contenuti video : “Questi siti – denuncia – non sono opera di adolescenti ribelli ma sono prodotti di imprenditori che cercano di monetizzare il proprio pubblico”. Imprenditori che mettono a frutto le violazioni del diritto d’autore, spiega Besson, imprenditori che il regista considera complici delle violazioni, quindi essi stessi criminali. A parere di Besson sono colpevoli tutti coloro che giocano il minimo ruolo e che abilitano il meccanismo del consumo illegale di contenuti: sono colpevoli gli host , che offrono spazi a coloro che mettono a disposizione i contenuti; sono colpevoli i provider , che garantiscono la connettività per accedere ai contenuti; sono colpevoli gli intermediari come Google , che promettono guadagni ai gestori della piattaforma e rendono possibile la pubblicazione di comunicati pubblicitari da parte di inserzionisti , a loro volta colpevoli di foraggiare il business della pirateria.

Sono tutti anelli di una catena che, a parere di Besson, va spezzata: “Sono complici di un reato – rivendica il produttore – sono colpevoli, e in uno stato di diritto come il nostro devono essere condannati e puniti”. Besson fa appello al legislatore: così come si puniscono coloro che abusano dei contenuti che circolano in rete senza l’autorizzazione del detentore dei diritti, si dovrebbero punire coloro che traggono profitto dal traffico illegale . “Quale stato potrebbe decidere di punire severamente i consumatori di sostanze stupefacenti – provoca Besson – lasciando prosperare tranquillamente i responsabili di questo traffico?”

Le parole di Besson hanno già investito gli attori della rete: il sito Beemotion.fr , chiamato in causa dal regista, ha temporaneamente interrotto lo streaming di contenuti invitando i propri utenti a ringraziare Besson; Priceminister, store online francese che commercia in contenuti ed elettronica, accusato dal regista di alimentare la pirateria pubblicando inserzioni sui siti dedicati allo streaming, ha ricordato a Besson che non sempre gli inserzionisti hanno il controllo sulle proprie campagne pubblicitarie online.

Besson non sembra però disposto a lasciarsi intenerire: “Una società che non tutela più il talento e la passione dall’avidità e dal cinismo è una società per molti versi disperata”. La connessione tra sharing online e crisi dell’industria dei contenuti è esplicita: “Dobbiamo fermare questa grande ipocrisia con cui le istituzioni francesi e internazionali consentono a questi attori di fare soldi a scapito dei creatori che, nella sola Francia, nel corso del 2008 hanno perso un miliardo di euro a causa della pirateria di film online”.

Ci sono però rappresentanti dell’industria che non condividono la posizione di Besson, e che intravedono nella condivisione di prodotti coperti dal diritto d’autore un invito al consumo e una fonte di ispirazione per dare vita a modelli di business fruttuosi. Randy Stude, a capo della PC Gaming Alliance, fondazione che coinvolge i principali attori del mercato videoludico, considera la pirateria come uno stimolo al mercato: pirata di Doom, reo confesso, assicura che “la storia dell’industria dei videogame per PC è tempestata di esempi di startup (Stardock e Valve comprese) che hanno realmente beneficiato della diffusa pirateria per costruire un mercato per i propri titoli futuri”. Concorda Eirik Johansen, ex dirigente di EMI, un passato ai vertici di IFPI: “Un’intera generazione viola il copyright – ha spiegato in un’ intervista rilasciata a un magazine norvegese – e l’unica cosa che si può fare è cercare di fornire un’offerta migliore”. La repressione è inutile, le responsabilità risiede nella strategia poco lungimirante dei colossi dei contenuti: “L’industria del disco non ha saputo interpretare il mercato, non ha fatto nulla per troppo tempo e le loro strategie non funzionano più – chiosa Johansen – nessuno ha mai vinto una battaglia contro le nuove tecnologie”.

Gaia Bottà

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Pubblicato il
17 feb 2009
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