Recensendo - Funky Business

Recensendo - Funky Business

di A.B.C. Ieri tutti pagavano per giornali, chiamate telefoniche e connessioni Internet. Oggi si può avere tutto gratis: basta leggere, ascoltare o guardare pubblicità. Domani saremo pagati
di A.B.C. Ieri tutti pagavano per giornali, chiamate telefoniche e connessioni Internet. Oggi si può avere tutto gratis: basta leggere, ascoltare o guardare pubblicità. Domani saremo pagati

Jonas Ridderstråle e Kjell Nordström
Funky Business
Fazi Editore
novembre 2000
L.35.000

Se vi piace Dilbert, e credete che nelle sue storie ci sia un’analisi della new economy, delle strutture aziendali, delle relazioni interpersonali fra colleghi, più arguta di quella di buona parte dei libri “ortodossi” sugli stessi argomenti.. Se gran parte dei discorsi sul management, sul marketing, sulla comunicazione, vi sembra alquanto banale e scontata.. Se credete che un libro che parla di come dovrebbe essere una “buona” impresa abbia il dovere logico e conseguente di essere un “buon” libro.. allora “Funky business” potrebbe piacervi, come è piaciuto – moltissimo – a me.

Jonas Ridderstråle e Kjell Nordström lo hanno scritto viaggiando per anni fra le idee e le esperienze proprie e altrui. Non ci raccontano il futuro, ma il presente. E non parlano di sterili teorie accademiche slegate dalla realtà, ma di idee nuove, e di cose che accadono e che vengono fatte accadere.

Cosa caratterizza oggi il mondo reale e quello virtuale, il mondo delle imprese, le singole imprese, il business? Questo libro parla di “funky business”, un modo di fare affari inusuale e sottilmente e indefinibilmente strano. E di “funky world”, “funky village”, “funky Inc.”, “feeling funky”, etc. Descrivendo così i vari aspetti di un mondo dove innanzi tutto è cambiata la società: “sempre più bimbi crescono senza avere relazioni permanenti o di lunga durata. Possono avere due padri e tre madri, due fratelli con padre diverso e sorelle con altri genitori. E poi pretendiamo che lavorino per la stessa azienda e sotto la stessa persona per tutta la vita.” E il tempo passato insieme? “Durante gli anni Sessanta i padri trascorrevano in media 45 minuti al giorno con i loro figli. Oggi i minuti sono 6.” E dove vanno le famiglie quando escono insieme? Spesso in un centro commerciale: “i grandi magazzini Mall of America di Minneapolis sono visitati da 40 milioni di persone all’anno. Più di quante visitino Disney World, Disneyland e il Grand Canyon messi assieme. Acquistate fino a morire!”

Centri commerciali stipati di prodotti, luoghi emblematici dell’età contemporanea. Perché “siamo nella società dell’abbondanza. Dove sono disponibili sempre più cose, e dove queste cose si somigliano un po ‘ tutte. La novità è merce rara. Aziende, manager e esseri umani hanno una caratteristica in comune: un comportamento “da lemming”, per cui ciascuno segue gli altri sino alla morte. “Dover essere uguali agli altri” è un virus. Ecco come vanno le cose: c’è un’azienda X che, alla ricerca d’ispirazione “organizzativa”, si rivolge a un’agenzia di consulenza tra le più famose. L’azienda sa che un concorrente ha reingegnerizzato la sua struttura e, non volendo essere seconda a nessuno, chiama qualcuno che proponga un programma di reingegnerizzazione analogo. Facciamo il caso che questa procedura si ripeta, una tessera di domino dopo l’altra. Non passerà molto tempo che tutte le aziende si saranno reingegnerizzate allo stesso modo, con gran profitto delle società di consulenza. Viene spontaneo chiedersi: con quale vantaggio competitivo, dato che agiscono tutte allo stesso modo?” E così, le società di consulenza “contribuiscono all’appiattimento dell’innovazione organizzativa nel mondo”.

L’Information Technology ha inizialmente favorito alcune imprese. E la stessa IT, quando tutte le aziende diventeranno “connesse”, sarà “la forza che livellerà tutti: ogni azienda assomiglierà all’altra. Per un attimo, pensate a quello che è avvenuto nel mondo degli autoveicoli dopo l’introduzione della “galleria del vento” e di CAD/CAM. Quando eravamo piccoli, e i nostri genitori ci facevano fare un giro in macchina, giocavamo a indovinare le marche delle vetture che ci sfrecciavano di fronte. Oggi non c’è più gusto – non c’è marca che faccia la differenza. La somiglianza è la caratteristica del mondo d’oggi.” “Noi occidentali siamo cresciuti credendo che “di più è bello”. Ciò non è necessariamente vero. Ma certamente, dovunque si volga lo sguardo, cresce l’abbondanza. Ci sono sempre più prodotti, sempre più mercati, sempre più persone, sempre più concorrenza. Oggi l’abbondanza – di conoscenze, prodotti, servizi, informazioni – è un fatto della vita.” E quest’abbondanza è anche ridondanza. La società del surplus ha un eccesso di aziende indistinguibili tra loro, che impiegano lo stesso tipo di persone, persone con le medesime storie di vita. Persone che fanno lo stesso lavoro, che hanno le stesse intuizioni e producono le stesse cose. Non c’è da stupirsi se anche i prodotti sono simili: vuoi per prezzo, vuoi per qualità, vuoi per garanzia.” Quindi le aziende, gli individui, i prodotti, si somigliano tutti e sono tutti in concorrenza fra loro.

“Nell’età dell’abbondanza, le aziende devono lavorare sodo per essere notate. Sono come persone che, in punta di piedi, cercano di guadagnare un po’ di ribalta. Le aziende competono per solo due secondi della vostra attenzione. Il loro obiettivo è essere notate nel maremoto dell’informazione che sommerge tutti e tutto.”

E forse domani le aziende, per avere la nostra attenzione, saranno disposte a pagare. “Ieri tutti pagavano per giornali, chiamate telefoniche e connessioni Internet. Oggi si può avere tutto gratis: basta leggere, ascoltare o guardare pubblicità. Domani saremo pagati. Saremo pagati per ricevere un giornale piuttosto che un altro, per utilizzare una determinata compagnia telefonica, un certo Internet provider. Pagare per ottenere attenzione è la diretta conseguenza di quanto accade oggi.”

Ma, se si cominciano a pagare i nostri clienti per avere attenzione, chi è il cliente? “I venditori diventano compratori e i compratori venditori. Pensate a Ikea. L’azienda è al centro di una rete di relazioni. Ikea affida il montaggio a clienti che vogliono risparmiare qualche lira: i clienti sono anche fornitori. In conclusione, è sempre più difficile decidere chi invitare ai party aziendali: dov’è che comincia e dov’è che finisce esattamente l’organizzazione?”

“Voi non notate le aziende? Loro non sopravvivono! Questo è il motivo per cui la comunicazione è eccessiva. È una necessità vitale.” Così “spesso i costi dell’informazione – indispensabili per carpire attenzione nell’era dell’eccesso e del consumatore esigente – sono superiori ai costi di produzione”. E l’intangibile ha sempre più valore.

“Prendete un essere umano e polverizzatelo, fino a farne rimanere un mucchietto di atomi. Provate ora a venderli alla borsa di Chicago – sarete fortunati se ne ricavate due dollari. Ora riassemblate ciò che avete diviso. Chiamate Jerry Seinfeld questa persona e provate a chiedere per lui un salario annuale di 100 milioni di dollari!
Prendete dell’acqua, aggiungete zucchero e anidride carbonica e versate il contenuto in una lattina. Vi costerà probabilmente meno di un quarto di dollaro. Scrivete Coca-Cola sulla lattina e potrete vendere il tutto a un dollaro.
Prendete una scatola di cartone, un libretto e un CD-ROM. Il tutto avrà un valore di circa 20$. Scriveteci sopra Lotus Notes e fatevi pagare 499$.
Acquistate una fabbrica di basso valore. Fate un paio di pantaloni utilizzando un disegno vecchio di 100 anni. Il costo unitario di produzione sarà all’incirca di 7$. Scriveteci sopra Levìs e vendeteli a 50$.
Nella società dei cervelli la percezione è tutto.” E ha sempre più valore la conoscenza: “Nel 1445 si è avuta la prima rivoluzione della conoscenza, con la stampa di Johann Gutenberg. Cinquecento anni dopo, la seconda rivoluzione, con radio e televisione. Poche decine di anni dopo, la rivoluzione della Rete. “La conoscenza è il nuovo campo di battaglia di nazioni, corporation e individui. Gestire con successo le attività quotidiane richiede un sempre maggior numero di conoscenze. Nel lungo periodo, conoscenza sarà sinonimo di sopravvivenza. Non c’è modo di isolarsi da quanto sta avvenendo. La conoscenza si diffonde crepitando lungo le linee del telefono. La conoscenza viaggia nell’aria e nel cyberspazio. Avvolge tutta la specie umana.”

E “un’economia dove la parola chiave è “conoscenza” è un’economia di scala senza precedenti – sin tanto che la conoscenza può essere riprodotta materialmente. Lo sviluppo della prima copia di un CD-ROM, ad esempio, costa enormi quantità di denaro, ma tutte le copie successive non avranno praticamente costo. Si determina così un grande incentivo per tentare la conquista di tutto il mercato. I costi, infatti, diminuiscono drammaticamente con l’aumentare dei clienti che un’azienda è in grado di conquistare. Inoltre, il processo è reso ancora più dinamico quando il valore associato al potenziale consumatore aumenta con l’incremento degli individui che accedono o possono accedere al bene in offerta.

La Rete è uno strumento perfetto per questo tipo di commercio: i consumatori partecipano alla creazione del valore dell’offerta. Più individui visitano Yahoo, Amazon ecc., migliori saranno i servizi offerti da queste aziende e maggiori saranno i contatti futuri. Questo spiega il motivo per cui tante aziende della new economy sul breve periodo preferiscono la crescita al profitto. Mary Meeker, analista Internet per Morgan Stanley, afferma: “Sul web, i numeri 1 sono grandiosi, i numeri 2 sono okay, i numeri 3 hanno problemi, i numeri 4 sono nei guai, i numeri 5: ma chi sono i numeri 5?” L’economia dell’eccesso è un’economia spietata. Il consumatore esigente vuole il meglio che il mercato possa offrire.”

Chi vince piglia tutto, ovunque. Perché ascoltare gruppi musicali locali quando si possono ascoltare grandi band conosciute in tutto il mondo? Perché guardare partite di calcio interregionali quando alla tv possiamo comodamente assistere alla finale di Coppa dei Campioni? “Le star globali catturano tutta l’attenzione e guadagnano somme indecenti.”

Si accentuano le distinzioni fra i migliori e gli altri. Mentre si attenuano le distinzioni tradizionali, di settore, fra un’azienda e l’altra. “Chi può distinguere, oggi, tra una banca e una compagnia di assicurazioni? Forniscono ambedue gli stessi servizi!”. E d’altra parte è difficile distinguere un cliente dall’altro: “Viviamo in una società del tipo: “L’ho visto – l’ho avuto – l’ho sentito – l’ho fatto – ci sono stato”. L’uniformità ci divora.”

Vogliamo spesso tutti le stesse cose, e vogliamo tutti il meglio. I consumatori diventano così sempre più esigenti: da “anatre morte”, individui “simpatici, stupidi e umili”, sono diventati “dittatori esigenti”, persone “cattive, intelligenti e piene di pretese”. E allora scopo dell’azienda è eccellere: ma “è impossibile, anche per la migliore delle organizzazioni, eccellere in ogni campo.” E la moda delle sinergie, della diversificazione delle attività? “Sinergia era la parola magica grazie alla quale i manager potevano gestire aziende sempre più grandi. Verso la metà degli anni Ottanta il top management della Volvo ebbe un’intuizione davvero geniale: esistevano sinergie tra birra, abbigliamento sportivo, aspirina, hot dog, macchine, camion e autobus (in un caso era vero: nessuno può negare che vi siano sinergie tra aspirina e birra, specie se ne avete bevuta troppa la sera prima). La Volvo non è stato un caso isolato, altri hanno seguito la sirena dell’irrazionalità: senza dubbio una distilleria di whisky scozzese avrebbe aggiunto valore alla performance di una sussidiaria che costruiva locomotive a Nairobi. La prossima volta che qualcuno pronuncia la parola sinergia, per favore, sparate a vista!
Troppo spesso, invece, 2 + 2 è uguale a 3,5 e non a 5. In realtà, il concetto di sinergia è espressione di un credo: che sia di gran lunga più divertente gestire una grande azienda rispetto a una di piccole dimensioni. Solo così si possono tenere discorsi importanti, incontrare re e regine, fumare sigari e bere cognac. Invece, i boss delle piccole (ed eccellenti) aziende se ne stanno al freddo, fuori dai palazzi – non importa quanti profitti facciano.” È ora che le aziende si trasformino “da organizzazioni spuntate in strumenti di precisione, affilati e taglienti”.

E mentre una volta si pensava che la diversificazione della produzione avrebbe minimizzato i rischi – non si puntava tutto su un solo cavallo -, oggi, in un mondo imprevedibile e incerto, non si può più realisticamente credere a questa logica di minimizzazione dei rischi. Si rende invece necessario “abbracciare il rischio”. Un’idea rivoluzionaria, perché spesso noi esseri umani rifiutiamo il rischio. E rifiutiamo l’incertezza. “Le aziende pagano consulenti e così facendo comprano riduzione d’incertezza. Non abbiamo idea di quello che sta accadendo! Chiamiamo persone veramente in gamba, persone che, con modelli semplici e lineari, ci mostreranno come la situazione sia perfettamente gestibile. Il consulente ci vende la sicurezza dell’azienda.

Nel mondo degli affari esiste una profusione di modelli, di chiavi di lettura, di schemi che non sono altro che Prozac per manager: garantiscono riduzione dell’incertezza. I manager – certo non una schiatta di rivoluzionari – hanno creato le loro sette religiose e i loro messia: i guru del management.

La riduzione dell’incertezza è un rito all’interno della vita aziendale. Quando cominciate un lavoro, per un giorno o due prendete parte a un programma d’introduzione alla realtà aziendale. In pratica, l’organizzazione vi spiega come comportarvi. Certo, il programma è ben confezionato, il linguaggio amichevole. Ma, in realtà, vi stanno spiegando regole di comportamento. Crediamo che tutte queste certezze debbano essere abbandonate in favore della complessità. Crediamo che la risposta ottimale sia abbracciare la complessità, non cercare di eliminarla. La complessità è terrificante, ma affascina. Dobbiamo avere il coraggio di affrontarla.”

E gli autori di questo libro – fra l’altro molto ben tradotto – continuano la loro analisi, parlando dell'”organizzazione a spaghetti”, della “politica del 15%”, delle sette caratteristiche dell’azienda “funky”, fino all'”economia dello spirito”. Riaffermando sempre la convinzione che la risorsa più importante siamo noi esseri umani, con la nostra intelligenza, la nostra creatività, la nostra emozione, la nostra immaginazione: “la risorsa più importante di cui disponiamo indossa scarpe e abbandona il posto di lavoro intorno alle 17”.

E ora pensate alle aziende, o alle università, che conoscete. Quante sono davvero “fondate sul cervello”, quante valorizzano ciò che di meglio noi esseri umani possiamo offrire? Se vi interessa la mia risposta, ho terminato qualche giorno fa il mio dottorato di ricerca e, in tre anni di vita all’università, di intelligenza e di creatività, di emozione e di immaginazione, ne ho vista davvero poca. Ma siamo noi stessi la nostra salvezza: “i principali mezzi di produzione sono piccoli, grigi e pesano circa 1.3 kg: sono i nostri cervelli”. Chi di noi ha un cervello funzionante, lo usi il più possibile!:)

Buona lettura.

A.B.C.

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Pubblicato il
10 mar 2001
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