Nuova Zelanda, la ghigliottina sarà riscritta

Nuova Zelanda, la ghigliottina sarà riscritta

Impossibile mettere d'accordo provider e industria dei contenuti sulle disconnessioni dei pirati recidivi. L'autoregolamentazione ha fallito: il governo promette una nuova legge
Impossibile mettere d'accordo provider e industria dei contenuti sulle disconnessioni dei pirati recidivi. L'autoregolamentazione ha fallito: il governo promette una nuova legge

La ghigliottina neozelandese non calerà sulle connessioni dei cittadini, la legge verrà riscritta perché concretamente inapplicabile. Provider e industria dei contenuti, a cui era delegata la responsabilità di stabilire le modalità di implementazione della dottrina Sarkozy agli antipodi, hanno strattonato la disposizione tanto da spingere il legislatore a ritirarla. Per reinventarla.

Br3nda - DSC_0659.JPG L’emendamento alla sezione 92A del testo di legge che regola il regime del diritto d’autore in Nuova Zelanda è stato sbaragliato. Era stato approvato nel mese di ottobre, incaricava i fornitori di connettività e gli attori dell’industria dei contenuti di stilare un codice di condotta che stabilisse nei dettagli le strategie con cui mettere in atto la combinazione di avvertimenti e disconnessioni nei confronti del cittadino della rete che avesse violato “ripetutamente il copyright di un’opera usando uno o più servizi Internet dell’ISP al fine di agire senza il consenso di chi è proprietario dei diritti d’autore”.

Le parti in causa si erano messe al lavoro: i provider avevano malvolentieri accettato di recapitare missive deterrenti e di agire contro i propri utenti tagliando le connessioni degli abbonati il cui indirizzo IP si fosse dimostrato recidivo nella violazione del diritto d’autore. La prima scadenza imposta dal legislatore era il 27 febbraio, giorno in cui avrebbe dovuto entrare in vigore il sistema di risposta graduale alla pirateria. A pochi giorni dal termine imposto dalle autorità, la missiva inviata ai provider dalle major: le etichette non avrebbero accettato il codice di condotta proposto dai provider, tanto lasco da prevedere che l’industria avrebbe dovuto fornire la prova incontrovertibile dell’avvenuta violazione e che ci fosse la possibilità per il netizen di contestare le accuse mosse dai colossi dei contenuti.

I cittadini della rete avevano rumoreggiato, avevano rumoreggiato i provider: era intervenuto il primo Ministro neozelandese John Key. Aveva rimandato l’ultimatum di un mese , un mese entro il quale si sarebbe dovuto approntare un codice di condotta più equo e proporzionato, capace di mettere d’accordo ISP e attori dell’industria dei contenuti, nel rispetto dei diritti dei netizen. Le parti in causa erano tornate a confrontarsi, le negoziazioni erano riprese. Anche Google si era espressa nel quadro di una consultazione, raccomandando la tutela di una Internet libera e aperta, che potesse continuare ad offrire ai propri cittadini lo spazio per informarsi e per informare.

Poi, l’ ostruzionsimo di uno dei maggiori provider del paese: TelstraClear aveva promesso di non disconnettere, di non esporre i propri utenti a sconfinamenti nella propria vita online e a misure repressive che possano privarli della libertà di fruire della rete. La marcia indietro di TelstraClear, ventilava l’associazione di provider che gestisce le negoziazioni, avrebbe fatto arenare qualsiasi impeto propositivo e qualsiasi tentativo di accordo.

A confermarlo, a pochi giorni dall’ultimatum, un secondo intervento del Primo Ministro neozelandese: “La sezione 92 non entrerà in vigore così come è stata scritta originariamente – ha annunciato nelle scorse ore – Abbiamo chiesto al ministro del Commercio di iniziare a lavorare ad una sezione che possa sostituirla”. La declinazione neozelandese della dottrina Sarkozy si è scontrata con l’impossibilità di soppesare le istanze in gioco e di concludere un accordo che potesse sfociare in un codice di condotta: “c’è bisogno di una legge” ha spiegato Key.

La Nuova Zelanda non sembra dunque disposta a rinunciare ad avvertimenti e disconnessioni affidando la scure ai provider. Semplicemente, l’autoregolamentazione non ha funzionato , così come non sembra aver funzionato nel Regno Unito. Conferma il ministro del Commercio Simon Power: “Mettere in atto la sezione 92A nel formato attuale non sarebbe appropriato, data l’incertezza che circonda la sua effettiva operatività”. Per questo motivo, avverte Power, “la legislazione stessa va riesaminata e rielaborata per rispondere alle preoccupazioni degli stakeholder e delle autorità”.

Provider e cittadini della rete hanno accolto con favore la decisione del Primo Ministro: ad affollarsi sono ora i dubbi riguardo all’evolvere della legge a tutela del copyright. Le misure impugnate nei confronti di coloro che si dimostrino recidivi nell’abusare della propria connessione passeranno dalla valutazione dell’autorità giudiziaria? Il cittadino potrà difendersi dalle accuse mosse dall’industria dei contenuti? Potrà fruire di alternative legali al download indiscriminato?

I netizen promettono di adoperarsi per sensibilizzare le autorità e per contribuire a riscrivere una legge che tuteli la proprietà intellettuale e che sappia bilanciare le istanze in gioco. La Nuova Zelanda, aveva però spiegato il Primo Ministro Key, non potrà rinunciare a mettere in campo un sistema alla francese. Non in uno scenario internazionale che potrebbe evolvere verso una tutela delle proprietà intellettuale incastonata in un quadro uniforme .

Gaia Bottà

fonte immagine

Link copiato negli appunti

Ti potrebbe interessare

Pubblicato il 24 mar 2009
Link copiato negli appunti