Le batterie del futuro sono liquide

Le batterie del futuro sono liquide

Non basta che siano leggere e piccole. Devono essere anche potenti e, in certi casi, ingombranti. Al MIT studiano gli accumulatori destinati a fungere da riserva di energia di abitazioni e uffici
Non basta che siano leggere e piccole. Devono essere anche potenti e, in certi casi, ingombranti. Al MIT studiano gli accumulatori destinati a fungere da riserva di energia di abitazioni e uffici

Se la maggior parte degli sforzi della ricerca internazionale sono focalizzati sullo sviluppo di tecnologie avveniristiche per le batterie più adatte all’era dell’elettronica pret-a-porter , al MIT si pensa anche a scenari agli antipodi del solito lettore MP3 o smartphone: scenari in cui la cosa più importante non è tanto la necessità di adattarsi ai lussi tecnologici dell’utente quanto piuttosto quella di poter immagazzinare grandi quantità di energia da rilasciare al momento più opportuno .

Il ricercatore Don Sadoway e colleghi stanno studiando la possibilità di sviluppare accumulatori energetici di grandi dimensioni basati su componenti metallici mantenuti in forma liquida . “Poiché queste batterie non finiranno in mano a qualcuno o in auto, non ci serve renderle resistenti agli urti, a prova di idiota, e non devono funzionare a temperatura corporea” dice Sadoway descrivendo il nuovo progetto di batteria, una batteria che non contiene alcun elemento solido ma solo, appunto, materiali allo stato liquido.

All’interno dell’accumulatore che stanno studiando al MIT, i tre elementi fondamentali di ogni batteria (catodo, anodo e una membrana divisoria) sono formati da un diverso metallo mantenuto in forma liquida. Avendo un peso specifico nettamente diverso, i tre composti tendono naturalmente a mantenere una posizione differente gli uni rispetto agli altri per cui anche mischiandoli sono in grado di ripristinare lo stato normale dell’accumulatore.

Il principio di batteria liquida è pensato per adattarsi alle diverse esigenze possibili, e i ricercatori ipotizzano la possibilità di crearne una non più grande di un forno casalingo, da usare appunto come fonte energetica domestica capace di raccogliere l’energia accumulata altrove, magari attraverso i pannelli fotovoltaici presenti sul tetto.

“Dovrebbe essere facile aumentare le dimensioni – continua Sadoway – se vogliamo creare una batteria dalle dimensioni di un bidone di 125 litri possiamo farlo, se vogliamo crearne una grande quanto un campo di footbal potremmo farlo”. Prima però ci sono da risolvere alcuni problemi non proprio secondari, primo fra tutti la necessità di trovare un modo economico e poco dispendioso per riscaldare e mantenere in temperatura i materiali dell’accumulatore sino a un minimo di 500 gradi centigradi , una temperatura di poco superiore a quella massima raggiungibile con un comune forno da cucina.

Non si dovrebbe ricorrere a misure di sicurezza particolarmente estreme per utilizzare e gestire l’aggeggio, comunque non più estreme di quanto necessario oggi con il forno da cucina di cui sopra, e quello che rimane ancora un mezzo mistero è la mistura ideale dei metalli da utilizzare come anodo, catodo e membrana divisoria .

Lo studio è ancora in corso ma durante gli ultimi anni Sadoway e colleghi hanno provato varie combinazioni di materiali alla ricerca di quella ideale, inclusa una comprendente antimonio, magnesio e solfide di sodio come layer separatore tra i primi due. Una volta che la ricerca avrà dato i suoi frutti le batterie liquide potrebbero diventare unità di emergenza per ospedali (dove sostituirebbero quelle parzialmente liquide impiegate oggigiorno), accumulatori da impiegare in casa, uffici e negli impianti eolici o solari come componenti di backup.

E mentre al MIT si pensa allo stato liquido, una startup di Berkeley, Seeo , dice di aver sviluppato un elettrolita solido a base di polimeri da utilizzare in sostituzione di quelli liquidi impiegati nelle attuali batterie agli ioni di litio: per eliminare i rischi di infiammabilità delle batterie (essendo il solvente sostituito dal polimero non c’è nulla che possa prendere fuoco), allungare enormemente i tempi di ritenzione della capacità di carica e fornire un maggior quantitativo di energia avendo lo stesso peso delle batterie attuali.

Alfonso Maruccia

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Pubblicato il 30 mar 2009
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