Il manifesto segreto del Cloud Computing

Il manifesto segreto del Cloud Computing

Le appliance nelle nuvole devono darsi una regolata, volenti o nolenti. Nasce il manifesto del cloud computing: ma per Microsoft non è abbastanza open
Le appliance nelle nuvole devono darsi una regolata, volenti o nolenti. Nasce il manifesto del cloud computing: ma per Microsoft non è abbastanza open

I suoi autori mettono al primo posto l’interoperabilità, ma intanto lo tengono chiuso in un cassetto fino al rilascio ufficiale per il pubblico. È l’ Open Cloud Manifesto , ideale viatico di uno sviluppo armonioso di web 3.0, accessibilità e fruibilità ubique per gli utenti ma soprattutto delle occasioni di business del web prossimo venturo. Ma c’è il piccolo problema che Microsoft non vuole essere della partita e accusa gli estensori del documento di abuso di segretezza.

Del Manifesto se ne sapeva infatti ben poco prima che un post sul blog corporate di Microsoft ne annunciasse l’esistenza, e prima che le sei pagine di cui è composto venissero rilasciate urbi et orbi dopo una discussione a porte chiuse tra i firmatari (e quindi estensori) iniziali.

Ma ora il Manifesto è qui, e anticipando possibili mazzate regolatorie da parte delle autorità di controllo statunitensi definisce (o quantomeno prova a farlo) i principi di un cloud computing che garantisca la risoluzione delle varie problematiche tecnologiche (sicurezza, interoperabilità, portabilità eccetera) attraverso l’impiego di standard aperti , affinché non venga strozzato dalle posizioni di mercato dominanti e dal blocco dei consumatori su piattaforme proprietarie. E più in generare consiglia armonia, pace e fraternità tra i principali player di mercato presenti e futuri.

L’Open Cloud Manifesto è uno sforzo supportato da pezzi di grosso calibro, organizzazioni mastodontiche quali IBM, AMD, VMWare, Cisco, EMP, SAP, Sun, Novell e altre ancora. Ma tra i grandi player vanno però contate assenze a dir poco eccellenti, aziende come Amazon e Microsoft che nel cloud computing stanno investendo una parte non secondaria delle proprie finanze.

Microsoft, in particolare, si dice a dir poco perplessa sul processo che ha portato alla stesura del manifesto e alla sua distribuzione , un processo che è stato come detto portato a compimento a porte chiuse, senza la possibilità di intervenire, proporre suggerimenti e lavorare di concerto per un documento a cui avessero potuto mettere mano realmente tutti i protagonisti di settore e non solo una loro parte, per quanto maggioritaria essa sia.

Steven Martin, responsabile anziano dello sviluppo piattaforma di Microsoft, parla di “delusione” per “la mancanza di openness nello sviluppo del Cloud Manifesto. Quello che abbiamo sentito era che non c’era alcun desiderio di discutere, ancora meno implementare, migliorie al documento nonostante il fatto che ne avessimo avuto esperienza diretta. Recentemente ci era stata mostrata una copia del documento in privato, ci era stato detto che era un segreto e che bisognava firmarlo così com’era, senza modifiche o input addizionali”.

Che qualcosa non sia proprio andata come avrebbe dovuto lo dimostra d’altronde il fatto che uno dei gruppi che aveva originariamente firmato il manifesto, il Cloud Computing Interoperability Forum , si è poi ritirata di buon grado lamentando la mancanza di un procedimento equo e realmente aperto per la sua stesura.

Se le belle parole e le promesse di interoperabilità, portabilità, attenzione alle esigenze degli utenti e alle problematiche di sicurezza dell’Open Cloud Manifesto rimarranno solo sulla carta solo il tempo potrà dirlo. Nel frattempo Gartner prevede che i servizi “in the cloud”, definizione in cui l’istituto accorpa ogni genere di appliance web dall’e-commerce alle risorse umane, conosceranno una crescita economica e di investimenti non indifferente con o senza la crisi economica e finanziaria mondiale.

Sempre che, ovviamente, aziende come Google non siano costrette a scivolare, ogni due per tre , su vulnerabilità scovate dagli esperti nei software di “produttività” on-line come l’onnipresente Google Docs. Sarà anche una cosa di poco conto, come Google ci ha tenuto a far sapere , ma è indubbio che sentir parlare ogni settimana di problemi e bachi assortiti non induce la parte di utenza informaticamente ancora fuori dalle nuvole (che non twitta , non facebookka e le applicazioni le fa girare su un PC che conosce, a poca distanza dal proprio naso) a saltare sul carro luccicante del cloud computing.

Alfonso Maruccia

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Pubblicato il
31 mar 2009
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