Cogliamo un'occasione

Cogliamo un'occasione

Non solo estremismi, ma l'opportunità di intavolare un dialogo. Il segretario del Partito Pirata Italiano Alessandro Bottoni risponde a Enzo Mazza, presidente di FIMI
Non solo estremismi, ma l'opportunità di intavolare un dialogo. Il segretario del Partito Pirata Italiano Alessandro Bottoni risponde a Enzo Mazza, presidente di FIMI

Non succede spesso che il Presidente di FIMI, la più grossa e rappresentativa organizzazione dell’industria musicale, scriva a Punto Informatico. Eppure, ogni tanto succede:

The Pirate Bay, superare lo scontro, favorire l’innovazione

Personalmente, credo che sia davvero una occasione da cogliere per intavolare una seria discussione su questi temi. Mi permetto quindi di esaminare la sua lettera nei dettagli. Perchè Mazza scrive a PI? Francamente, credo che la tempesta di critiche a cui è stata esposta l’intera industria dei contenuti nei giorni successivi alla condanna dei ragazzi di TPB abbia fatto capire a molti suoi manager che esiste un serissimo problema di immagine e che questo problema deve essere affrontato al più presto.

Non si può fare impunemente causa a delle vecchiette settantenni ed a delle ragazzine dodicenni, come hanno fatto RIAA e MPAA negli USA negli anni scorsi, senza poi venire percepiti dall’opinione pubblica come pericolosi mostri che è necessario fermare ad ogni costo. Dopo la condanna dei gestori di TPB, e dopo il caso Peppermint/Logistep, anche in Europa l’industria musicale e cinematografica è ormai percepita come un mostro assetato di sangue e completamente fuori controllo che deve essere assolutamente fermato prima che aggredisca i nostri figli ed i nostri nipoti (che sono tra i più accaniti “sharer”).

La lettera del Dottor Mazza quasi certamente rappresenta un tentativo di contrastare questo crollo di immagine. Credo però che, al di là di questo, ci sia anche una sincera intenzione di spiegare le (comprensibili) ragioni dell’industria e di riaprire un canale di comunicazione con il pubblico.

Abbattere le barricate
Il Dottor Enzo Mazza dice:
“Ritengo tuttavia che questa decisione dovrebbe far riflettere tutti sulla necessità di superare una fase di scontro totale basata su teorie anacronistiche come “fine del copyright”, “estinzione delle imprese che producono contenuti” ed altre espressioni estreme che non consentono lo sviluppo di un sereno dibattito sull’evoluzione dell’e-content”.

Su questo punto, Mazza ha ragione due volte. La prima volta quando dice che è tempo di superare questa fase di scontro. Personalmente, credo che sia tempo di sedersi intorno ad un tavolo e ridisegnare i meccanismi di questo settore di mercato. Noi lo avevamo già fatto, nel 2006, sedendoci intorno al tavolo della Commissione Permanente per la Riforma della Legge sul Diritto d’Autore , a quel tempo presieduta dal Professor Alberto Maria Gambino . Continuamo ad avere tutte le migliori intenzioni di procedere sulla strada della trattativa e per questo motivo abbiamo chiesto più volte, ed in più occasioni, agli organi competenti di essere chiamati a rappresentare i consumatori a questi tavoli tecnici e legislativi.

Per la cronaca: quando si tratta di questi argomenti, l’intero “popolo della rete” trova la sua naturale rappresentazione in una apposita “organizzazione di organizzazioni” che si chiama Frontiere Digitali”. La potete conoscere a questo indirizzo: http://www.frontieredigitali.it/online/ .

Mazza ha ragione anche quando dice che espressioni come “fine del copyright” ed “estinzione delle imprese che producono contenuti” sono anacronistiche e non portano ad una trattativa serena. In realtà, solo una parte del nostro “movimento” sostiene tesi così estreme. Un’altra parte (quella a cui appartengo) sostiene che il riconoscimento del diritto d’autore sia stato una conquista importante della nostre legislazione e vada mantenuto (anche se in una forma diversa dall’attuale). Questa nostra parte non sostiene nemmeno che le aziende del settore debbano chiudere (nonostante il fatto che abbiano ormai perso gran parte della loro utilità sociale).

Tuttavia, va detto che sembrano essere le aziende stesse a voler chiudere. Certi loro atteggiamenti arroganti ed aggressivi (come quello tenuto nei confronti di The Pirate Bay) non facilitano certo la discussione. Per questa ragione, mi vedo costretto ad invitare il Dottor Mazza a condannare pubblicamente le aggressioni e le minacce di RIAA, MPAA, IFPI e FIMI stessa dirette contro i cittadini ed i consumatori con la stessa fermezza cui noi “pirati” condanniamo la violazione del diritto d’autore.

Cose come lo scandalo Sony/BMG, l’azione di sabotaggio condotta da Comcast contro i suoi stessi utenti usando le tecnologie messe a punto da Sandvine e l’azione di spionaggio degli utenti messa in atto da Logistep per conto di Peppermint non possono essere passate sotto silenzio. FIMI deve prendere pubblicamente le distanze da azioni come queste se vuole sedere ad un tavolo di trattativa con i suoi clienti .

Diversamente questa guerra continuerà, non importa cosa ne pensiamo noi “pirati” o il Dottor Mazza. Come ho già fatto notare in altri articoli, per una volta non è l’industria a tenere il coltello per il manico. Una seria riflessione su questo punto mi sembra doverosa da parte di FIMI.

Una realtà più moderna
Il Dottor Enzo Mazza dice:
“La realtà è oggi molto, molto diversa, e lo dimostra proprio l’evoluzione dei modelli di business in atto nel settore discografico, certamente più articolati e flessibili rispetto soltanto a uno o due anni fa”.
“Milioni di brani sono offerti senza DRM su piattaforme di download con community sempre più attive come quelle create da Dada e di nuove offerte come Comes with Music di Nokia propongono ulteriori modelli flat”.

Questo è vero ma non è abbastanza. L’industria dei contenuti (in particolare quella musicale e cinematografica) ha effettivamente ammodernato in maniera radicale il suo modello di business ed i suoi canali di distribuzione negli ultimi anni. Questo però non è ancora sufficiente. Sono infatti rimasti due ostacoli piuttosto gravi da superare.

Il primo è la copertura. Nonostante siano ormai milioni i brani musicali disponibili su Internet come file (non protetti da DRM), questa quantità rappresenta comunque solo una piccola parte della produzione complessiva. Si tratta, ovviamente, degli stessi brani “di grido” che rappresentano anche lo zoccolo duro del download pirata. Le aziende del settore hanno deciso di renderli disponibili a pagamento su Internet proprio per contrastare, per quanto possibile, il fenomeno della pirateria. In altri termini: hanno pensato solo a risolvere un loro problema commerciale. Non si sono preoccupati minimamente di rispettare un nostro diritto costituzionale: quello dell’accesso alla Cultura.
Quello che preme a noi cittadini è invece la possibilità (garantita per legge) di accedere (pagando una cifra ragionevole) a tutti i prodotti che compongono il nostro patrimonio culturale collettivo, non solo a quelli più remunerativi per le aziende. In altri termini, un’azienda che detiene i diritti su qualcosa deve impegnarsi a rendere accessibile quel qualcosa (per rispetto degli utenti e degli autori). Non può limitarsi a fare i proprio interessi.

L’altro problema è la dipendenza dal canale distributivo. Come ammette anche il dottor Mazza, molti di questi brani sono disponibili solo a chi accetta di sottoscrivere un abbonamento di qualche tipo ad un particolare canale distributivo (Apple iTunes, Nokia Cames with Music e via dicendo). Ancora una volta, siamo lontanissimi dal vedere garantito il diritto di chiunque (cliente o meno di questi canali) di accedere a questi prodotti della nostra cultura (pagando il dovuto, come ho già detto).

Inoltre, certe innovazioni riguardano per ora solo il settore musicale. Il Dottor Mazza non può certo farsi carico dei problemi di altri ma certo deve riconoscere che il settore cinematografico e quello librario sono ben lontani da questi risultati.

Ciò che dobbiamo porci come obiettivo è un modello globale di distribuzione, privo di vincoli, di catenacci (DRM) e di dipendenze dal canale distributivo. Solo in questo modo si potrà ritenere soddisfatto il diritto costituzionale di ogni cittadino di accedere alla cultura della società in cui vive.

C’è chi se la passa peggio…
Il Dottor Enzo Mazza dice:
“Se confrontiamo il progresso in atto nel mercato musicale con quello di altri media, per esempio, l’editoria giornalistica, possiamo agevolmente osservare che mentre per la prima la luce in fondo al tunnel si sta facendo sempre più concreta, per la seconda le previsioni sono tutt’altro che rosee e gli errori commessi sono forse ancor più gravi se pensiamo che i giornali avevano davanti a se un “topo da laboratorio” come la musica per studiare le opportune contromisure per affrontare il proprio “trapasso” verso la rete”.

In questo, Mazza ha drammaticamente ragione. Francamente, non si riesce a capire cosa impedisca al mondo dell’editoria (quotidiani, periodici, libri, etc.) di imparare la lezione dal mondo musicale. L’inevitabilità della transizione dal giornalismo al blogging (più o meno professionale ed organizzato) è sempre più evidente, anche ad un osservatore occasionale. Nello stesso modo, l’inevitabilità del passaggio dal modello del libro (su carta o digitale) al sito collaborativo (wiki) è altrettanto evidente. Nell’ambiente giornalistico, in particolare, è ormai evidente che la difesa corporativistica della “professione” attraverso l’ormai antistorico strumento dello “ordine dei giornalisti” è diventato sia un freno all’innovazione, sia un freno all’occupazione, sia un problema per la libertà di stampa e la lotta alla censura.

Trappole mediatiche
Il Dottor Enzo Mazza dice:
“Ma torniamo all’istruttiva vicenda di The Pirate Bay e notiamo come molti autorevoli commentatori siano caduti nella trappola mediatica di Sunde e soci che si sono posti come gli eroi di una saga nordica nella quale elfi buoni della foresta si battono e vincono contro l’impero di ghiaccio, immutabile e statico della regina della neve che tutto copre e ingessa”.

Credo che su questo punto sia il Dottor Mazza che una parte dei nostri lettori debbano riflettere con maggior attenzione. Gli svedesi sono eredi dei vikinghi ed amano affrontare il nemico a viso aperto, anche a costo di farsi massacrare. Anche in questo caso hanno agito come è loro abitudine ed hanno fatto l’ennesimo regalo all’avversario. Mi ricordano da vicino i samurai giapponesi. Pensate che l’imperatore Hiro Hito in persona, nel 1941, fu costretto ad ordinare ai suoi focosi ufficiali/samurai di non esporsi al fuoco nemico per evitare di perdere l’intera classe dirigente del suo esercito sotto il fuoco delle mitragliatrici americane.

Noi siamo italiani. Veniamo da oltre 1600 anni di storia estremamente travagliata che ci ha visti di volta in volta sudditi di questo o quel regno. Siamo abituati a dover agire nell’ombra, vasi di coccio senza diritti tra vasi di ferro. Sappiamo bene quando ha senso sacrificarsi e quando non ne ha. Come ho spiegato varie volte nei miei articoli, questa lotta contro il copyright non ha bisogno di martiri. Non ne ha bisogno perché la posta in gioco è risibile (in fondo si tratta “solo” di una questione di soldi) e perché è comunque una guerra già vinta.

RIAA, MPAA, FIMI ed altre organizzazioni del settore dovrebbero ringraziare i ragazzi di The Pirate Bay per aver offerto loro un bersaglio tanto facile e tanto “clamoroso” da abbattere. Non avranno la stessa fortuna con altri.

Bucce di banana…
Il Dottor Enzo Mazza dice:
“Identificare The Pirate Bay come il difensore della causa degli oppressi della rete è un grave errore perchè non produce nulla di costruttivo. Sarebbe come dire che le Brigate Rosse sono state utili alla causa dei lavoratori, peraltro, il finanziatore di TPB, Karl Lundstrom, risulterebbe essere un attivista del partito neo nazista e xenofobo svedese, quindi tutt’altro che un difensore delle libertà civili”.

Qui, francamente, mi sembra che qualcuno sia scivolato su una buccia di banana. Di sicuro, hanno fatto uno scivolone i ragazzi di The Pirate Bay, accettando fondi con troppa disinvoltura ed accettando di mettere degli annunci pubblicitari sulle loro pagine (se una iniziativa deve essere di carattere politico e dimostrativo non può essere di tipo commerciale, ovviamente).
Però ha fatto un bello scivolone anche il Dottor Mazza. Equiparare i “pirati digitali” alle Brigate Rosse non è certo il modo migliore di aprire un tavolo di discussione.

Comunque, posso capire l’irritazione di Mazza nei confronti di una certa tradizione copyleft e posso facilmente perdonare. Passiamo oltre.

Faceva il palo nella banda dell’ortica
Il Dottor Enzo Mazza dice:
“Affermare poi che The Pirate Bay è un intermediario senza un ruolo attivo e come tale soggetto alle esenzioni della direttiva e-commerce è un errore. Paragonare Pirate Bay a Google è strumentale perché anche un soggetto con poca dimestichezza ne nota le immense differenze. Se vogliamo usare termini semplici Google è come le pagine gialle con l’elenco delle banche. The Pirate Bay è invece il palo che cura la banca mentre i complici la rapinano”.

Su questo punto, sono costretto a far notare un dettaglio tecnico. Chi eventualmente vìola il copyright è la persona che effettua l’upload del file.torrent e che mette a disposizione il file MP3 attraverso la sua macchina. Tecnicamente parlando, la Polizia e la Magistratura dovrebbero prendersela con questa persona, non con lo strumento di utilità generale che questa persona utilizza per commettere il suo crimine (il sito TPB) o con altre persone estranee a questo fatto (i gestori). Questo anche se queste persone dimostrano di avere opinioni politiche diverse da quelle comunemente accettate (come avviene nel caso specifico).

Io, Alessandro Bottoni, non c’entro niente con cosa combina il signor Strukle Trkartler di Oslo coi suoi file MP3 e quindi non devo subire gli effetti deleteri di una azione repressiva che dovrebbe essere mirata nei suoi confronti e limitata alla sua persona. Non devo subire gli effetti della chiusura di TPB o quelli della filtratura della Rete. Non devo essere io a pagare le difficoltà tecniche che deve affrontare la Polizia per fare il suo mestiere. Diversamente si verrebbe a creare una situazione paradossale da “decimazione” nazista: se non riesci a beccare il colpevole (l’uploader), fucila dieci dei suoi amici (i gestori del sito).

Francamente, la assoluta follia e la assoluta mancanza di credibilità legale di questo approccio mi sembrano evidenti.

Reagire alle provocazioni
Il Dottor Enzo Mazza dice:
“Google, così come YouTube, eBay ed altri, sono solerti ed attivi nel rimuovere i contenuti illeciti su segnalazione degli aventi diritto e operano quindi in un contesto che favorisce l’uso legittimo dei contenuti e disincentiva l’uploading illecito. The Pirate Bay ha sempre escluso ogni forma di cooperazione ed ha invece favorito ogni sorta di abuso da parte degli utenti, vantandosene in ogni contesto”.

Vedo che, alla fine, persino il Dottor Mazza è costretto ad ammettere che si è trattato di una azione dimostrativa delle aziende, fermamente intenzionate a non lasciare impunite le provocazioni messe in atto dai gestori di TPB. Questo processo è servito solo a punire questi provocatori. Punirli pubblicamente ed in modo esemplare.

Come ho già spiegato in altri articoli, questo è stato un tragico errore mediatico. L’industria dei contenuti è sul banco degli imputati da anni, sin dai tempi di Napster, e non gode certo della simpatia dei suoi clienti. L’arroganza e l’aggressività di queste azioni non possono che peggiorare la situazione.

Nelle ore immediatamente successive alla pubblicazione della notizia della condanna dei ragazzi di TPB ho ricevuto centinaia di messaggi. Molti si limitavano ad augurare vari tipi di malattie ai titolari delle aziende ed a giurare che non avrebbero mai più comprato nulla da quella gente. Altri annunciavano l’apertura di reti e servizi dedicati esclusivamente alla pirateria. Naturalmente, nessuno di questi servizi si mostra al pubblico con una scritta “shoot me” dipinta sul petto come hanno fatto i ragazzi di TPB.

Effetti collaterali
Il Dottor Enzo Mazza dice:
“Come tale la condanna è perfettamente in linea con le regole in vigore e non pregiudica per niente il futuro degli intermediari della rete che nulla hanno da temere se la propria attività non è finalizzata all’esclusiva fornitura di un framework per commettere illeciti. Lo stesso dibattito si ebbe in occasione di Napster e di Kazaa ma non mi risulta che la rete abbia risentito in termini di sviluppo dalle condanne inflitte mentre invece si è stabilizzato e consolidato un mercato legale sempre più interessante”.

Da questo punto di vista, il Dottor Mazza ha perfettamente ragione: le reti di file sharing non sono mai state in splendida forma come dopo la condanna di Napster. Le tecnologie sviluppate in seguito a quella condanna sono alla base dell’intero modello di distribuzione pirata attuale.

Nello stesso modo, le tecnologie (ed il modello “politico”) che sono stati sviluppati in questi mesi, da quando si è avuta notizia della denuncia di TPB, saranno alla base del modello di distribuzione pirata dei prossimi anni. Di una cosa potete essere certi: come eMule ha imparato da Napster a tenersi alla larga dai server centrali (vedi DHT), anche le reti attualmente in fase di sviluppo impareranno a tenersi alla larga dalle vulnerabilità che questo processo ha messo in luce.

In compenso, gli onesti cittadini rischiano di vedersi maltrattare a causa del famigerato “Telecoms Package” (vedi: http://www.blackouteurope.eu/ ).

Effetti collaterali politici
Il Dottor Enzo Mazza dice:
“La sentenza contro The Pirate Bay dall’altra parte ha un pregio notevole nel portare all’attenzione della politica il tema dei contenuti digitali e della qualità dell’offerta”.

Ancora una volta il Dottor Mazza ha ragione. Dopo la notizia della condanna dei ragazi di TPB il flusso di e-mail di protesta diretto ai parlamentari europei e che riguarda il “Telecoms Package” è triplicato. Il tema dei contenuti digitali è sul tavolo da anni. Non c’era bisogno di fare causa a TPB per avviare la discussione. C’era invece bisogno di far sedere al tavolo della discussione i rappresentanti dei “pirati”. Diversamente, nessuna trattativa può raggiungere un risultato concreto. La provocazione di TPB andava raccolta e sfruttata per avviare una trattativa seria e paritetica, non per scatenare una guerra.

Il peccato originale
Il Dottor Enzo Mazza si firma:

“Enzo Mazza
Presidente FIMI
Federazione industria musicale italiana”

Uno dei peccati originali dell’industria musicale (di tutto il mondo) è lo scarsissimo rispetto dei diritti (soprattutto economici) degli autori. In Italia, SIAE è finita più volte sul banco degli imputati per i suoi comportamenti poco trasparenti nei confronti dei più deboli tra i suoi iscritti. Gli autori e gli esecutori sono i primi a mostrare pubblicamente tutto il loro disprezzo per il modello industriale con cui sono costretti a fare i conti. I consumatori ed i “pirati” vengono dopo, molto dopo.

Francamente, non credo che FIMI, SIAE, IFPI, RIAA ed MPAA possano riconquistare le posizioni (di fatturato) perdute senza prima riuscire a ritrovare una loro collocazione utile e credibile all’interno dell’intero processo industriale dell’intrattenimento. L’industria musicale, in particolare, è percepita (dagli autori e dai consumatori) come parassitaria già da diversi anni. Se non tornerà a fare scouting e promozione in modo credibile, non potrà risollevarsi. Il suo avversario, infatti, non siamo noi “pirati” ma una tecnologia che permette sempre più di scavalcare gli studi di registrazione e le società di marketing.

P.S.: Falkvinge/Bottoni
Prima di concludere, mi permetto di ricordare ai soliti distratti che sono un convinto sostenitore del diritto d’autore e che ho sempre sostenuto la necessità di rispettare le leggi che esistono finchè non sarà possibile cambiarle. Vedi: http://alessandrobottoni.interfree.it/download/le_posizioni_di_falkvinge_beta.pdf .
Non condivido affatto le posizioni, ben più estreme, di Rickard Falkvinge, il fondatore dell’originario Partito Pirata svedese.

Come continuo a ripetere da anni, questa battaglia non ha bisogno di martiri. Ha anche meno bisogno di dimostrazioni di forza, come quella cui abbiamo assistito tra TPB e IFPI. Ciò di cui c’è bisogno è un tavolo di trattativa come quello a suo tempo presieduto dal Professor Gambino.

Mi permetto quindi di invitare il Dottor Mazza ad unirsi a noi nel chiedere che venga riaperto quel tavolo e che vengano invitati a sedersi tutte le parti in causa, pirati compresi.

Alessandro Bottoni
Segretario Partito Pirata Italiano

http://www.partito-pirata.it/
alessandro.bottoni@infinito.it
www.alessandrobottoni.it

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Pubblicato il
22 apr 2009
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