Lavoro IT/ Il paradiso dei programmatori

Lavoro IT/ Il paradiso dei programmatori

di Giuseppe Cubasia - Programmatori superstar, valorizzati, coccolati e parte dell'organismo-azienda. Succede negli States, nella software house di Joe Spolsky
di Giuseppe Cubasia - Programmatori superstar, valorizzati, coccolati e parte dell'organismo-azienda. Succede negli States, nella software house di Joe Spolsky

Quando nasci programmatore non puoi non pensare, guardando il prodotto da te realizzato, che sei davvero bravo (che dico: il più bravo!) e che meriti sicuramente di più. Ma esiste un’azienda dove i programmatori, quelli bravi, sono valorizzati, rispettati e tenuti nella massima considerazione possibile?

In Italia non ne conosco (ancora), ma pare che invece questa “mitica” azienda esista: ha sede in USA e precisamente a NY. Sono 10 anni che Joe Spolsky ha aperto la propria azienda di software con l’obiettivo di attrarre dei super dotati programmatori di software, perché è sua profonda convinzione che essi permettono di fare grandi cose e di raggiungere il successo.

Sul suo sito racconta la sua storia e di come abbia iniziato lavorando per Microsoft e come infine abbia deciso di mettersi in proprio con l’obiettivo di realizzare l’azienda che Lui come programmatore avrebbe voluto. Con questo obiettivo in mente ha sviluppato un suo metodo, ben documentato sul suo sito, per riconoscere ed assumere bravi programmatori, per gestire risorse talentuose, per gestire il rapporto con il cliente e per costruire un’azienda di software remunerativa.

Secondo Joel, esistono 3 tipi di programmatori. Gli incapaci, i buoni ed i Superstar. Dice Joel: “Con gli incapaci ed i buoni potreste realizzare cose semplici, ma sono i Superstar che permettono di realizzare grandi cose”. I Superstar, sempre secondo Joel, sono un’unità di misura sopra gli altri. Cioè un Superstar è produttivo come tutto l’intero team di lavoro di buoni programmatori. Ma chi è un Superstar? Joel ha una definizione per loro: SMART and GET things done.

Ma come riesce Joel ad attrarre personale cosi in gamba? Joel ha scritto decine di articoli su questo, rivolti sia ai CEO, sia ai recruiter, ma fondamentalmente il suo segreto consiste nel fatto che Lui capisce e conosce il significato dell’essere un programmatore. In particolare è interessante leggere come sconsiglia fortemente di applicare metodi di management come Command and Control nei riguardi dei programmatori, a meno che non si voglia far scappare tutti e come dimostri che misurare la produttività attraverso l’uso di metriche sia un errore madornale, perché dopo qualche tempo, inesorabilmente, le risorse tenderanno ad appiattire il loro lavoro sul risultato desiderato, quasi sicuramente barando.

L’unico modo che realmente funziona (strano, eh?) è l’Identity Management, cioè dare le necessarie informazioni alle persone per far capire loro il perché si desidera un certo risultato ed anche le conseguenze delle loro scelte. Quando le persone che lavorano per te si sentono parte dell’azienda, esse agiranno come se l’azienda fosse loro. Per raggiungere questo risultato però occorre che l’ambiente di lavoro, i compagni ed il modo di lavorare siano assolutamente attraenti e congeniali alle persone, e nella ditta di Joel questo avviene.

Secondo Joel questo è possibile solo essendo completamente onesti e chiari. I programmatori hanno un forte senso della giustizia, derivato dal fatto che il risultato di un test può essere solo vero o falso. Essi odiano le ambiguità e perciò una gestione manageriale basata sulle mezze verità è quanto di peggio si possa fare per attrarre e far rimanere in azienda le persone valide.

È assolutamente impossibile condensare gli oltre 1.000 post di Joel sul modo di essere e di lavorare come programmatore in 4.000 battute, però è altrettanto innegabile che chiunque abbia lavorato in un gruppo di lavoro come programmatore non può che ritrovarsi nelle sue parole.

È altrettanto vero che la realtà di Joel, quella americana, è imparagonabile alla nostra, e che leggendo le sue pagine, più di quello che dice, occorrerebbe conoscere quello che non dice.

Alla base del rapporto di lavoro nelle parole di Joel si avverte il riconoscimento del valore delle persone, ovvero il fatto che le persone debbano essere valutate secondo i propri meriti e solo per quello, a prescindere dalle differenze di lingua e di cultura e sopratutto dal fatto che si è più o meno simpatici al proprio manager. Leggendo i vari post si avverte l’esistenza di un intero sistema lavorativo in cui è valorizzato sopra ogni cosa (e di conseguenza remunerato) il riconoscimento dei titoli acquisiti e le proprie capacità ed esperienze personali. Si avverte inoltre che una persona di valore, per definizione, è un bene prezioso che ogni azienda tenta da una parte di mantenere e dall’altra di sottrarre alle aziende concorrenti. Per questi motivi una persona che abbandona l’azienda, oltre ad un costo stimato secondo Joel di 50.000 dollari per il recruiting e training, è comunque motivo di preoccupazione perché significa che l’azienda stessa sta diventando qualcosa di poco attraente per le persone di valore.

Ma se l’azienda o l’ambiente di lavoro come succede spesso in Italia, per ignoranza od incapacità, commette sistematicamente tutti quelli che Joel considera come “Cose che non si dovrebbero mai fare”, oppure il solo metodo di management usato da suoi manager è “osserva e stanga”, (osserva cosa fanno e punisci chi sbaglia), cosa si dovrebbe fare? La risposta è solo una: andare via, anche molto lontano, finché non si trova quello che si vuole realizzare, ovvero il giusto posto dove le vostre capacità, se ne avete, saranno riconosciute. Secondo Joel, solo le persone mediocri rimangono lì dove sono, insoddisfatte.

Ovviamente, stiamo parlando sempre della realtà americana e di una software house che vende prodotti ed in misura minore fa consulenza, ma è comunque significativo il fatto che queste pratiche di management in Italia siano cosi poco applicate, forse a significare che il nostro management è poco lungimirante e che “adeguarsi” alla cultura aziendale, senza sperimentare nulla per non vedersi appioppata l’etichetta di “pericoloso innovatore”, resta sempre e comunque la migliore scelta per chi desidera vivere ed andare avanti.

Mi resta un ultimo dubbio da sciogliere: e se io non sono un Superstar che futuro avrei lì?

Giuseppe Cubasia
Cubasia blog

I precedenti interventi di G.C. sono disponibili a questo indirizzo

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Pubblicato il
8 mag 2009
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