Il voto degli indigeni digitali

Il voto degli indigeni digitali

di Marco Calamari - Tribù digitali e analogiche sono chiamate ad esprimersi in Europa. I più giovani non contemplano un mondo senza la Rete: ma non è scontato che rimanga così com'è ora
di Marco Calamari - Tribù digitali e analogiche sono chiamate ad esprimersi in Europa. I più giovani non contemplano un mondo senza la Rete: ma non è scontato che rimanga così com'è ora

Qualche tempo fa ho letto una interessante classificazione delle persone in relazione al loro incontro con la Rete.
Estendendola un po’, permette di dividere l’umanità intera in quattro gruppi

Selvaggi digitali
Emigrati digitali
Immigrati digitali
Indigeni digitali

I “selvaggi digitali” sono coloro che, solitamente non per loro scelta, si trovano a vivere senza accessi a computer e Rete. Questo è solitamente dovuto alla carenza di risorse della società di cui fanno parte. Per loro si parla di “digital divide” e spesso la situazione va a braccetto con una situazione economica e culturale povera o poverissima. Ne esiste anche una variante per me perversa e parassitica, quella dei capitribù digitali, cioè dei selvaggi digitali “volontari”. Questi sono solitamente persone in alto nella scala sociale del gruppo di cui fanno parte, che si compiacciono o addirittura si vantano di non usare la Rete. Ne sfruttano però in modo parassitico tutti i vantaggi, solitamente tramite sottoposti e portaborse vari.

Gli “emigrati digitali” sono persone di una certa età (come il sottoscritto), che si sono trovati a vivere la rivoluzione della Rete dopo essersi formati scolasticamente e culturalmente. Per questi il passaggio al mondo della Rete è stato un completo cambio culturale e di abitudini, è stato l’iniziare a vivere in una società diversa e più complessa. Non tutti ce l’hanno fatta, ma la maggior parte sì. Tendono a riunirsi in tribù dotate di loro identità, talvolta intolleranti verso altre tribù rivali. I Debianisti Incappucciati ne sono un esempio spesso citato anche nei libri di antropologia culturale. Gli emigrati digitali si distinguono anche per un continuo atteggiamento di stupore e di meraviglia nei confronti della Rete. Se riuniti con altri in occasioni sociali, amano sedersi in circolo e raccontare dei bei tempi andati della Rete, quando gli uomini erano uomini, scrivevano da soli i propri device driver, i più saggi aiutavano sempre chi ne aveva bisogno e lo chiedeva rispettosamente, e tutti si volevano bene.

Gli “immigrati digitali”, anche loro spesso persone non giovanissime, sono invece coloro che loro malgrado si sono trovati catapultati nell’era digitale, perché costretti ad usare il computer e la Rete (o una sua parte) al lavoro.Molti immigrati digitali bofonchiano quando costretti ad usare la Rete e sono quasi orgogliosi del loro stato di cittadini a metà; pur essendo
dei poveri sottosviluppati infatti, non desiderano redimersi dal loro stato. Non tutti possono essere individuati di primo acchito, perché molti si mimetizzano ed addirittura parlano benissimo della Rete e delle loro capacità di navigatori. Anche questi ultimi possono essere comunque riconosciuti osservandoli abbastanza a lungo, per lo sguardo smarrito che ogni tanto lanciano allo schermo quando si imbattono in qualcosa che esce dalla routine.

Gli “indigeni digitali” sono individuati solo in base all’età: nati dal 1990 in poi, si sono trovati immersi fin da subito nella rivoluzione della Rete, che per loro ovviamente non è mai stata rivoluzionaria. In effetti rispetto agli umani sono come marziani, esseri di un’altra razza la cui mente funziona probabilmente in modo diverso. Si muovono nella matrice come i delfini in acqua, padroneggiando con sicurezza, anzi con naturalezza, le tecnologie quotidiane che usano e spesso abusano, anche rispetto agli emigrati digitali. Nessuno sa esattamente cosa abbiano in testa, perché la loro mente si è formata con paradigmi di apprendimento diversi da quelli usati negli ultimi millenni dagli umani delle altre tre categorie.
Dal punto di vista di un emigrato posso dire di notare in loro due tratti negativi.
Il primo è la mancanza di curiosità (nel senso hacker del termine) verso ciò che usano e quello che c’è dietro anche da un punto di vista non strettamente tecnologico, ma commerciale o politico.
La seconda, in parte conseguenza della prima, è quella di essere facilmente manipolabili e controllabili da un punto di vista culturale e di comportamento, forse addirittura più della precedente “generazione della televisione”.

Bene, in perfetto stile cassandresco vorrei esortare proprio i “nativi digitali” ad un comportamento meditato. Saprete certo che siamo prossimi ad una scadenza elettorale, e molti di voi iniziano a varcare la fatidica barriera dei 18 anni ed avranno modo di mettere le crocette su quei pezzi di carta pieghettata dai colori cupi. È un gesto importante: se decidete di compierlo, per favore considerate anche la Rete nelle vostre scelte. Molti di quelli che vi chiedono il voto desiderano trasformarla in un immenso sistema di controllo sociale, e con la complicità delle generazioni precedenti ci stanno riuscendo.

Non c’è purtroppo abbondanza di “candidati digitali”, anzi si contano sulle dita di una mano, ma comunque valutate quelli di vostra scelta, digitali o analogici che siano, sopratutto per il loro atteggiamento nelle faccende della Rete e dei diritti dei “cittadini digitali”. Se avete dei dubbi sul perché questa caratteristica degli aspiranti politici sia importante, leggetevi (o rileggete) “1984”.
Altrimenti poi non dite che non ve l’avevo detto.

Marco Calamari

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Pubblicato il
29 mag 2009
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