Italia, filtraggio cinese

Italia, filtraggio cinese

Il GIP di Treviso ordina agli ISP italiani di rendere inaccessibile un sito web cinese. Non si tratta di gambling o di pedoporno ma di sospetto commercio di merce contraffatta. AIIP: non siamo sceriffi
Il GIP di Treviso ordina agli ISP italiani di rendere inaccessibile un sito web cinese. Non si tratta di gambling o di pedoporno ma di sospetto commercio di merce contraffatta. AIIP: non siamo sceriffi

Inibire ai cittadini della rete italiani l’accesso ad un sito cinese sospettato di proporre in vendita prodotti contraffatti: questo è quanto ha disposto il Giudice per le Indagini Preliminari di Treviso che con un ordine di sequestro preventivo ha chiesto che il sito venisse tagliato fuori dalla rete.

La notifiche sono giunte a 25 provider italiani nei giorni scorsi: così come avviene per i siti che all’estero ospitano materiale pedopornografico, così come avviene per il gambling online, ai provider è stato chiesto di operare il filtraggio .

Il sequestro preventivo di un bene immateriale, a parere del GIP, deve inevitabilmente coinvolgere i fornitori di connettività: poiché non è possibile oscurare il sito sotto indagine in quanto ridiede su server esteri, i provider dovrebbero rendere inaccessibile il dominio in questione, belstaffuk.com . Per farlo, sono chiamati a sequestrare il traffico dei cittadini della rete e a dirottarlo verso pagine non sospette. Si tratta però di una misura tanto invasiva quanto inefficace, spiegavano i provider nel momento il cui la minaccia dell’ emendamento D’Alia incombeva sulla libertà di espressione dei cittadini della rete.

Una situazione analoga, non afferente a casi di pedopornografia o di gambling non autorizzato, si era già configurata con il caso The Pirate Bay: ai provider si era chiesto di inibire l’accesso alla Baia, salvo poi revocare il blocco. Le motivazioni del contrordine del Tribunale del Riesame di Bergamo erano chiare: il sequestro si sarebbe dovuto considerare inapplicabile poiché si sarebbe trattato di un'”inibitoria atipica”, che avrebbe obbligato soggetti terzi ad intervenire per una situazione non esplicitamente prevista dal codice di procedura penale.

Diverso invece l’esito dell’ ordinanza di sequestro inoltrata ai provider in materia di siti dedicati alla vendita di sigarette: i provider si erano mobilitati per chiedere la revoca della disposizione ma il Tribunale del Riesame aveva confermato il blocco.

Ora, per l’ordine di inibizione del sito cinese dedicato all’ecommerce, i provider tornano a rumoreggiare, intenzionati a non agire da vigilantes della rete . “Premesso che AIIP da sempre è sostenitrice del più assoluto rispetto della legalità e coopera per questo con l’Autorità giudiziaria competente, si deve però denunciare con forza l’ennesima distorsione che confonde il ruolo dei fornitori di accesso a Internet, con quello di sceriffi della rete – dichiara AIIP in un comunicato – E questo, a prescindere dal merito specifico della vicenda, cui gli associati AIIP sono del tutto estranei”.

Dall’associazione dei provider si ribadisce la volontà di collaborare con l’autorità giudiziaria, ma si invita però a tenere conto delle dinamiche della rete: “ancora una volta viene posto a carico degli operatori l’adempimento ad obblighi che la legge non prevede e che si traducono in una ingiusta limitazione dei diritti degli utenti la cui navigazione internet viene, di fatto, analiticamente verificata per poter adempiere all’ordine della magistratura”. “Sequestrare un sito – si spiega da AIIP – non equivale a filtrare l’accesso ed è una misura inefficace oltre che inutilmente vessatoria per imprese e cittadini”.

Gaia Bottà

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Pubblicato il
17 giu 2009
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