L'antipirateria sbarca in azienda

L'antipirateria sbarca in azienda

di Guido Scorza - Si combatte la pirateria solo se l'azienda è pirata a proprio vantaggio. Le sanzioni sono pesanti, la risonanza mediatica potrebbe agire da deterrente. Anche per la pirateria ad uso personale dei dipendenti
di Guido Scorza - Si combatte la pirateria solo se l'azienda è pirata a proprio vantaggio. Le sanzioni sono pesanti, la risonanza mediatica potrebbe agire da deterrente. Anche per la pirateria ad uso personale dei dipendenti

Al riparo dai grandi clamori che in Francia hanno accompagnato il tormentato varo della Hadopi e stanno accompagnando l’ Hadopi 2 attraverso la quale il legislatore vorrebbe far rientrare dalla finestra ciò che il Consiglio Costituzionale ha elegantemente messo alla porta , nel nostro Paese, nei giorni scorsi è stata approvata l’ennesima norma antipirateria.

Questa volta si tratta di un pugno di caratteri – 664 in tutto, spazi inclusi – nascosti tra le pieghe di una legge intitolata “Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia” – una delle tante nelle quali non ti aspetteresti di sentir parlare di proprietà intellettuale – attraverso cui è stato previsto – quasi si trattasse di un’operazione chirurgica routinaria da day hospital – di estendere anche alle figure di reato previste nella disciplina sul diritto d’autore la speciale disciplina sulla responsabilità penale delle società sino ad oggi riservata a tutta una serie di illeciti di particolare gravità che vanno dalla truffa in danno dello stato, all’indebita percezione di erogazioni pubbliche, alla concussione o alla frode informatica in danno dello Stato, solo per citarne alcuni.

La disciplina appena varata stabilisce che qualora una società o associazione ponga in essere attraverso i propri manager e dirigenti, nel proprio interesse, uno dei reati di cui alla legge sul diritto d’autore e, segnatamente, quelli di cui agli articoli 171, primo comma, lettera a-bis, e terzo comma, 171-bis, 171-ter, 171-septies e 171-octies della legge 22 aprile 1941, n. 633, si applica all’ente la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote nonché talune sanzioni interdittive quali a)l’interdizione dall’esercizio dell’attività; b) la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito; c) il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio; d) l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi; e) il divieto di pubblicizzare beni o servizi.

Val la pena chiarire subito – per evitare ogni fraintendimento casuale o, piuttosto, voluto – che la legge non rende configurabile alcuna nuova ipotesi di responsabilità in capo alla società datrice di lavoro per eventuali download o upload illegali di materiale protetto da diritto d’autore posti in essere dal dipendente nel proprio personale interesse attraverso le risorse informatiche e telematiche aziendali.

La legge 231/01, nella quale le nuove disposizioni sono state inserite, infatti, prevede che “L’ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio” mentre non lo è quando i propri manager o dirigenti “hanno agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi”.
La legge non è dunque – almeno nella sua corretta interpretazione che appare, peraltro, l’unica possibile – uno strumento di antipirateria di massa stile HADOPI.

Si tratta, certamente, di una buona notizia che, tuttavia, non consente di dormire sonni completamente tranquilli circa le possibili ricadute delle nuove disposizioni di legge sulle libertà digitali.

La legge prevede sanzioni pesantissime – più alte di quella che si rischia nel caso di truffa in danno dello Stato ed in linea con quella associata alla corruzione e concussione – in relazione a fattispecie che – con la sola importante eccezione dell’utilizzo abusivo di software in ambito aziendale – non sono né frequenti né suscettibili di produrre rilevanti danni all’industria dei contenuti.

Fatta eccezione per la già citata ipotesi di utilizzo abusivo di software, infatti, la responsabilità dell’ente potrà scattare solo laddove quest’ultimo utilizzi contenuti audiovisivi quali beni strumentali all’esercizio della propria attività d’impresa o, comunque, nel proprio interesse: riproduzioni musicali non autorizzare negli uffici o, piuttosto, sul proprio sito Internet, utilizzo di immagini o video di terzi nell’ambito di uno spot televisivo, mancato pagamento dell’equo compenso o piuttosto del contrassegno SIAE.

Non è poco ma nulla che debba destare preoccupazione o che non possa considerarsi giustificato dall’esigenza oggettiva di tutelare i diritti di proprietà intellettuale anche in ambito aziendale.
Il vero rischio legato all’entrata in vigore delle nuove disposizioni di legge è, tuttavia, un altro: non è difficile prevedere che da domani mattina ci sentiremo dire ovunque – in radio, tv e sui giornali – che l’antipirateria è sbarcata in azienda e che la pirateria aziendale può costare molto cara ad enti e società.

Tale forma di propaganda mediatica e psicologica comporterà una comprensibile impennata delle preoccupazioni dei datori di lavoro che si affretteranno a restringere sensibilmente la possibilità dei propri dipendenti di utilizzare gli strumenti informatici e telematici aziendali.
Potremmo, dunque, ritrovarci rapidamente ad assistere a forme di giustizia sommaria, preventiva ed intercompany delle quali a farne le spese potrebbero essere proprio i dipendenti onesti, privati di uno strumento come la Rete per effetto della paura infondata della società datrice di lavoro di essere chiamata a rispondere delle eventuali malefatte dei propri dipendenti.

L’auspicio è dunque che la nuova norma venga applicata in modo puntuale per tutelare l’industria del settore dagli episodi di pirateria posti in essere nell’interesse delle aziende mentre non si cerchi di utilizzarla in maniera impropria con il malcelato obiettivo di utilizzare la “paura” dell’azienda di far le spese di un eventuale illecito del dipendente come nuovo strumento di enforcement sottratto a qualsivoglia verifica giurisdizionale e di “sostenibilità costituzionale”.

Sarebbe antipatico dover constatare che dopo aver cercato di trasformare gli ISP in sceriffi della Rete ora ci si avvii a rendere le aziende sceriffi antipirateria nel mondo degli atomi.
È ovvio, peraltro, ma val la pena ripeterlo per evitare fraintendimenti, che la pirateria aziendale rappresenta un fenomeno che, specie con riferimento al software, ha oggettivamente prodotto seri danni all’industria del settore e che va, pertanto, combattuta purché con equilibrio, equilibrio che, a leggere le sanzioni previste dalla nuova legge, non sembrerebbe aver rappresentato una delle principali preoccupazioni del legislatore.

Guido Scorza
www.guidoscorza.it

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Pubblicato il
14 lug 2009
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