L'uomo scompare dentro l'e-comm

L'uomo scompare dentro l'e-comm

di Michele Favara Pedarsi - Come fidarsi di chi vende quando non puoi toccare con mano l'oggetto che acquisti? Quando le garanzie vengono aggirate bellamente? Quando i pacchi talvolta arrivano e altre volte si perdono?
di Michele Favara Pedarsi - Come fidarsi di chi vende quando non puoi toccare con mano l'oggetto che acquisti? Quando le garanzie vengono aggirate bellamente? Quando i pacchi talvolta arrivano e altre volte si perdono?


Roma – Spett.le redazione di Punto Informatico,
troppe volte sulle vostre pagine come sulle pagine dei media più tradizionali ho letto dei necrologi sull’e-commerce imputando la sua morte ai necessari strumenti tecnologici/legali/economici mancanti (crittografia sicura, firma digitale, concorrenza su un mercato più grande). Ma raramente ho visto considerare il lato umano dell’e-commerce.

Fattori quale per esempio la sfiducia per un oggetto che non si è mai visto realmente, unito al più generico dibattito sul rapporto tra tecnologie e soluzioni, secondo il mio modesto parere non sono da trascurare. Come fa un consumatore a comprare un oggetto dalle mirabolanti prestazioni tecniche il cui funzionamento è spesso tradito in condizioni reali di utilizzo, senza aver mai constatato la bontà delle dichiarazioni cartacee fornite da produttori e pubblicitari? Qualcuno a questo punto potrebbe chiedersi di cosa sto parlando. Allora farò due esempi per tutti, uno generale ed uno strettamente personale.

L’esempio generale è un problema saltato fuori già quando uscirono sul mercato i primi scanner dal costo accessibile alle masse: pixel reali o pixel finti? Oggi molti di noi vogliono acquistare una macchinetta fotografica digitale e spesso si trovano davanti prodotti pubblicizzati nominando la risoluzione in pixel interpolati piuttosto che la risoluzione in pixel del sensore digitale: la vera quantità di punti su unità di superficie che rimangono impressi nella memoria della fotocamera per andare aiutare la nostra con i ricordi o con i dettagli di un progetto o con la testimonianza di un evento.

La mia domanda è semplice: perché?
Ed il problema si fa serio quando la fotocamera è di tipo economico, così quel delta tra la quantità di pixel reali e la quantità di pixel interpolati fa la differenza tra una foto usabile (proiettata o stampata che sia) ed una foto inservibile. Purtroppo però la differenza è notabile solo dopo aver scattato la prima foto. Quindi a problemi inevitabili quali il tipo di cavo necessario a sfruttare “la connessione usb” (che può essere un banale cavetto usb standard da 5 euro od un cavetto proprietario dal costo di 100 euro) o la resa dei colori falsati, dobbiamo anche stare a schivare le verità parziali messe in circolazione da chi produce, pubblicizza o vende un prodotto. Io ho acquistato una fotocamera Pretec da 1.3MPixel e ne ho ricevuta una da 300KPixel: avete mai provato a stampare una foto digitale scattata con una macchinetta a 300KPixel?

L’episodio strettamente personale è legato invece al periodo subito successivo all’acquisto del mio palmare, di cui preferisco non citare il nome e chiamarlo semplicemente l’Innominato. La retro-illuminazione non si accendeva… solo al buio, in maniera casuale e non su tutte le unità prodotte; un bug nel software di gestione, permetteva l’utilizzo del bluetooth in poche e particolarissime combinazioni di dispositivi e software, fortuna che è il modulo bluetooth più avanzato che sia mai stato integrato in un palmare; le schede di memoria SD erano talmente lente da renderne impossibile l’utilizzo, eppure sulla carta sono le schede di memoria allo stato solido più piccole, sicure e performanti; il sistema operativo si bloccava in continuazione; il display lcd vibrava quasi a voler emulare lo scarso refresh di un vecchio monitor; il backup non funzionava e la connessione con il pc si bloccava in maniera random.
L’agenda non era affidabile, gli mp3 non potevo sentirli, posta e web non erano raggiungibili, il navigatore non mi interessava perché lo avevo già in macchina: ma perché ho speso quei 700 euro?


Dopo 26 giorni ho richiesto la sostituzione del dispositivo per il difetto della retroilluminazione: sfido chiunque ad usare l’Innominato durante una presentazione in una stanza buia (uso professionale) oppure come telecomando nella camera da letto al termine di una giornata pesante comodamente sdraiati a guardare la televisione (uso domestico). Eppure non ho visto in nessun punto del manuale (neanche nella versione cinese) che per utilizzare il palmare di notte si deve comprare un “Visore Notturno Compact Flash”.

Oltre a questi difetti che ictu oculi possono essere apprezzati da chiunque, sarebbe interessante anche elencare quelli che sfuggono ai più perché oramai abituati ad un software difettoso. Ma per esigenze di brevità vi invito piuttosto ad andare sul sito http://www.ipaqpetition.com/ che elenca qualche centinaio di difetti di un palmare analogo al mio. Bene, io avevo in mano una meraviglia tecnologica che invece di rappresentare una soluzione, rappresentava una fonte infinita di problemi di impossibile risolvibilità da parte dell’utente mero utilizzatore; problemi che però prima di arrivare ad una definizione certa, necessitavano ore ed ore di prove e tentativi, ricerche e richieste informazioni, tese ad isolare il problema prima dell’inevitabile resa incondizionata dell’utente.

La sostituzione mi è stata negata e mi è stato detto di rivolgermi al produttore; il produttore mi ha chiesto di mandare l’Innominato a mie spese e dopodichè attendere i tempi delle due spedizioni ed una diecina di giorni per la riparazione; giorni che potevano aumentare se era necessaria la spedizione di pezzi originali dal paese asiatico di produzione. Tutto questo quando avevo appena dato via il mio vecchio dispositivo che utilizzavo già da qualche anno come insostituibile strumento quotidiano di produttività. Parlando ancora con il negozio on-line, rigorosamente sempre via email e mai con un interlocutore singolo, mi è stato detto che le procedure di sostituzione in garanzia possono essere messe in pratica solo entro 10 giorni dall’acquisto e quindi dovevo procedere con la procedura indicata dal produttore.

E questo non è il solo episodio. Mi sono visto recapitare merce al punto vendita di Torino piuttosto che a Roma e merce che non mi è mai arrivata perché poi da Torino è stata rispedita al centro logistico come vendita sbagliata… Così ho dovuto accontentarmi di qualcosa di diverso perché quello che avevo chiesto non era più disponibile: eppure il mio computer era già assemblato e pronto per l’uso! Ma a Torino.

Ho effettuato ordini che si sono persi nel tempo, tempo nel quale ho temuto il peggio per la mia carta di credito: io il numeretto magico gliel’ho dato, ma non ho mai ricevuto nè pacchi nè una risposta alle mie innumerevoli email. Ho visto oggetti acquistati, pagati e cannibalizzati da qualche attendente postale fraudolento. Ho visto oggetti mai acquistati ed ho visto pubblicità di oggetti mai rientrati nella sfera delle mie necessità ed interessi professionali.


Come facciamo a sapere se quello che acquistiamo è veramente una soluzione ad un nostro problema/necessità/sfizio basandoci solamente sulla pubblicità, le caratteristiche tecniche dichiarate e le recensioni descrittive che i siti ci propongono? Su queste fonti di informazione possiamo al massimo scegliere tra un prodotto ed un altro, ma la garanzia che il prodotto è funzionante dovrebbe darcela chi ci consegna l’oggetto: il postino!
Postini d’Italia, non vi allarmate, la mia voleva essere solo una battuta. In realtà penso che la garanzia di funzionamento dovrebbe darcela chi produce l’oggetto, la garanzia di veridicità delle caratteristiche tecniche e di vendita dovrebbe darcela chi ci presenta il prodotto ed il postino la sola garanzia di una consegna corretta.

Altro lato umano dell’e-commerce: quando acquisto da un negozio on-line, chi c’è dall’altra parte? Non si sa. La figura del negoziante, responsabile in prima persona del proprio lavoro, è scomparsa con la globalizzazione: oggi si trovano solo commessi, spesso part-time o completamente ignari del prodotto che stanno vendendo, che ci vendono un oggetto ma non si assumono responsabilità e quando serve fanno da scudo al responsabile dell’attività (ambasciatori non portano pena, neanche la pena delle disposizioni del boss). Però, quello straccio di contatto umano, nell’e-commerce viene a mancare completamente: oggi uno scrive ad un sito pensando a chissà quante persone ci siano dietro quella vetrina virtuale e magari invece è il secondo lavoro di un singolo operaio.
Nessuno si assume responsabilità. Credo che psicologicamente nell’acquirente avvenga lo stesso processo che avviene nella mente di un giudice quando si trova davanti ad un documento digitale invece che al tradizionale palpabile documento cartaceo.

Visto che nessuno (ammesso che esista un “Nessuno” all’altro capo del video) si assume responsabilità, torniamo quindi al mio esempio personale per vedere il lato legale della cosa. Sull’orlo di una crisi di nervi per il danno e la beffa, da una parte sono andato a cercare i riferimenti legislativi che tutelano i consumatori; dall’altro ho cercato aiuto da utenti esperti (come la redazione di http://www.pocketpcitalia.it/ che ringrazio, ed i newsgroup dedicati).

Dopo innumerevoli telefonate e visite ad avvocati conoscenti, affidandomi al mio buon senso ed ai pareri dei professionisti ho chiesto una sostituzione in forza alla legge italiana; avevo il mio buon senso, i pareri informali, ma nessuna sicurezza ne tantomeno i 250 euro necessari, secondo il listino nazionale degli avvocati, a chiedere un parere ufficiale ad un avvocato. Quindi da bravo ignorante (lo so che la legge non ammette ignoranza ma…) volenteroso, mi sono studiato la legge (che nel caso specifico è rappresentata dal dlgs n.24 del 2 febbraio 2002) ed ho scritto una raccomandata A/R cartacea al negozio.

La legge afferma la responsabilità del venditore (e non del produttore o di terze parti) ed inoltre solleva l’utente da ogni altra spesa necessaria ad avere un prodotto conforme così come lo solleva da ogni possibile disagio che la resa conforme potrebbe comportare (diritti del consumatore). Ma non si ferma qui: stabilisce sia che i difetti notificati entro 6 mesi dall’acquisto sono considerati come già presenti al momento della consegna, sia che ogni altro accordo limitante le disposizioni della legge è nullo (carattere imperativo della legge).

Il consumatore ha due obblighi: notificare il difetto entro due mesi dalla sua scoperta e scegliere insieme al venditore il metodo di resa conforme (riparazione, sostituzione, somma di denaro, conclusione del contratto di vendita e restituzione del denaro pagato) che meno gravi sulle risorse del venditore. Bene, a più di un mese della raccomandata, dopo innumerevoli scambi di email e richieste del venditore di cavilli degni del migliore degli Azzeccagarbugli, ancora non so se l’Innominato verrà sostituito o meno.

Già dopo 26 giorni avevo comunicato al venditore che non potevo privarmi del dispositivo senza che questo mi comportasse dei problemi ingenti; ci sono voluti 10 giorni (dal giorno della ricezione della raccomandata, fa fede la cartolina di ritorno) per avere una risposta alla mia raccomandata e solo su mie ulteriori email.
Mi è stato quindi detto che si accollavano le spese di spedizione necessarie alla riparazione ignorando le mie richieste di sostituzione o restituzione del 25% del prezzo pagato o risoluzione del contratto di acquisto; giustificavano la loro impossibilità alla sostituzione con il fatto che dopo la riparazione del dispositivo difettoso, avrebbero dovuto rivenderlo al 50% del suo valore mentre le spese di spedizione corrispondevano a circa il 2% del valore dell’Innominato.

Ribadendo per l’ennesima volta che non potevo privarmi del dispositivo, gli ho fatto notare che nella legge (commentata ed allegata per intero alla raccomandata) da me citata i miei diritti erano ben in evidenza. Privarmi del dispositivo per anche solo 7 giorni lavorativi (stima utopica), mi provocavano danni superiori al 50% del valore dello stesso(e ripeto che non sono un avvocato, non dico fesserie per vincere una causa: io volevo solo un palmare utilizzabile!), oltre a quelli già provocati per tempo e risorse investite nella ricerca della legalità.


Allorchè dopo pochi giorni mi è stato detto che stavano aspettando una comunicazione da parte del loro distributore ed intanto dovevo fornirgli una dichiarazione secondo la quale l’Innominato non era stato portato in detrazione iva: per fortuna che sono un contributore onesto, così non ho detratto il palmare perché lo uso anche per faccende personali: altrimenti il decreto legislativo da me citato non era applicabile!

Come se un venditore non dovesse sentirsi responsabile sempre e comunque per un cliente insoddisfatto a causa di un prodotto venduto che non funziona. Fornita la dichiarazione, mi è stato detto che avrei avuto comunicazione appena i loro avvocati avessero acquisito tutta la documentazione necessaria. Gli avvocati? In ogni caso, me l’ero cercata, avevo commentato una legge.

Una volta accettata la sostituzione e subito dopo la richiesta del numero seriale del prodotto (tra l’altro già fornito nelle email precedenti), passati quindi altri giorni, mi è stato comunicato che avrei dovuto rivolgermi al loro corriere per restituire l’unità difettosa; li ho ringraziati dell’email e gli ho comunicato che avrei contattato il corriere appena ricevuta l’unità nuova (sulla raccomandata avevo specificato che la sostituzione doveva avvenire in modo che ricevessi l’unità funzionante in concomitanza od in un tempo precedente alla restituzione).

Mi è stato risposto che prima dovevo mandare l’unità difettosa e poi avrei ricevuto l’unità nuova in sostituzione; dopo aver risposto per l’ennesima volta che non ero intenzionato a subire ulteriori danni, sono andato dritto dritto nell’ufficio del giudice di pace della mia zona. Parlando con persone dell’ufficio ed un paio di avvocati lì in attesa di colloquio con il giudice, non mi hanno saputo dare un parere certo su cosa avrei ottenuto ma hanno garantito che tutto il tempo perso in questa storia nessuno me lo avrebbe risarcito: al massimo, con un po’ di fortuna, potevo farmi pagare le spese vive sostenute e provabili.

Ma perché se vado nel negozietto sotto casa, posso sostituire anche un prodotto perfettamente funzionante di cui mi sono reso conto non adattarsi alle mie necessità come pensavo? Perché vivo in un paesetto: la globalizzazione qui non è arrivata. Perché compro da una persona e non da un monitor: il contatto umano permette di stabilire le responsabilità.

Al momento in cui scrivo ho speso circa 500 euro di accessori per aggirare le limitazioni del dispositivo, e grazie all’aiuto di persone più esperte di me l’Innominato mi fa ascoltare gli mp3, un accendino mi aiuta ad utilizzarlo quando non c’è una luce diretta sul sensore e gli aggiornamenti software arrivati dal produttore mi consentono di accoppiare l’uso del cellulare all’uso del palmare.
Quindi posso in generale, dopo 4 mesi, prendere una boccata d’aria prima di iniziare a litigare con il gestore telefonico (altrimenti niente fax e, dulcis in fundo, internet a costi esorbitanti) ed il negozio italiano al quale ho ordinato alcuni di questi accessori: da Honk Kong, Inghilterra ed USA è arrivato tutto, dall’Italia ordini effettuati lo stesso giorno di quelli internazionali, ancora non sono arrivati.
Sempre che il procedimento presso il Giudice di Pace non si complichi… Altrimenti dovrò risparmiare anche questa boccata d’aria ed avrò quindi poco tempo per gustarmi la musica sulla mia soluzione portatile.

Penso che tecnicamente, economicamente e legalmente l’e-commerce sia valido e maturo; ma se noi persone, che in genere siamo sia acquirenti che venditori, non eliminiamo le resistenze psicologiche, non potremo usufruirne per risparmiare tempo e soldi negli acquisti.

Distinti Saluti,

Michele Favara Pedarsi

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Pubblicato il 20 feb 2003
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