Innovazione fa rima con contraddizione?

Innovazione fa rima con contraddizione?

di Guido Scorza - PEC regalate a pensionati e automobilisti, quando il digital divide è lontano dall'essere colmato. Il protocollo d'intesa firmato dal Ministro Brunetta con ACI e INPS suona dissonante
di Guido Scorza - PEC regalate a pensionati e automobilisti, quando il digital divide è lontano dall'essere colmato. Il protocollo d'intesa firmato dal Ministro Brunetta con ACI e INPS suona dissonante

Nel giorno in cui si apprende che Poste e Telecom faranno squadra contro Aruba e Lottomatica per aggiudicarsi la gara da 50 milioni di euro bandita dal Ministro Brunetta per selezionare il forniture unico di PEC (in effetti bisognerebbe dire CEC-PAC ) gratis ai cittadini italiani, lo stesso Ministro annuncia in conferenza stampa di aver siglato due protocolli di intesa con ACI e INPS per la fornitura – in questo caso davvero gratis – a tutti i cittadini italiani di indirizzi PEC utilizzabili, questa volta, per comunicare urbi et orbi e non con la sola PA.

Milioni di indirizzi di posta elettronica certificata e della sua sorella minore CEC-PAC (che servirà per comunicare con la sola PA), 5 milioni entro la fine dell’anno e 10 milioni entro il prossimo, dovrebbero, quindi, nelle intenzioni del vulcanico Ministro dell’Innovazione, sommergere il Paese nei prossimi mesi.
Impossibile resistere alla tentazione di fermarsi un attimo a riflettere e rilevare qualche contraddizione.
Cominciamo dalla prima.

Confindustria Servizi Innovativi nei giorni scorsi ha lanciato un autentico allarme circa il fenomeno del digital divide che, in Italia, è lontano dal potersi definire superato e che non risparmia nessun settore del Paese: le imprese, i cittadini e la Pubblica Amministrazione. Solo 10 milioni di famiglie dispongono di risorse di banda larga, oltre il 12 per cento dei cittadini è ancora privo di Internet veloce, un’azienda su tre non è presente in Rete e, soprattutto, l’offerta dei servizi della PA ai cittadini è incredibilmente scarsa: limitata ai soli contenuti informativi per il 59 per cento dei siti web delle amministrazioni locali mentre il 37 per cento dei Comuni consente esclusivamente di scaricare moduli e solo il 4 per cento mette a disposizione applicazioni veramente interattive.

In un contesto di questo genere, probabilmente, prima di preoccuparsi di inondare di PEC il Paese bisognerebbe pensare a colmare questo digital divide che – PEC o non PEC – impedisce e continuerà ad impedire al Paese di realizzare il sogno della rivoluzione digitale. Una rivoluzione che ha evidentemente per presupposto – salvo a non voler dar vita ad una nuova “questione meridionale” riproponendo sulle autostrade dell’informazione il dramma irrisolto della SA-RC – che l’ultimo cittadino italiano venga posto in condizione di esercitare online tutti i propri diritti e libertà fondamentali.
Quanti dei 14 milioni di pensionati ai quali l’INPS offrirà gratuitamente un indirizzo di posta elettronica certificata dispongono di un adeguato livello di alfabetizzazione informatica, hanno accesso alle necessarie infrastrutture di banda e, soprattutto, potranno trarre un effettivo vantaggio dall’utilizzo di tale strumento?

Ma le contraddizioni non finiscono qui. Ce ne sono altre macroscopiche annidate nell’indistricabile groviglio di norme, regolamenti, bandi di gara e protocolli di intesa attraverso i quali si vorrebbe realizzare la PECchizzazione del Paese.
Cominciamo dalla prima.

I due protocolli di intesa con ACI e INPS firmati ieri dal Ministero hanno ad oggetto la distribuzione gratuita – a tutti i cittadini che ne facciano richiesta – di indirizzi di posta elettronica certificata utilizzabili, evidentemente, per le comunicazioni tra cittadini, tra cittadini e imprese e tra cittadini e PA. Secondo quanto promesso da ACI e INPS gli indirizzi distribuiti saranno milioni.
In tale contesto si fa fatica a comprendere il senso della scelta del Ministero dell’Innovazione di bandire una gara da 50 milioni di euro per selezionare un fornitore di Stato di CEC-PAC che permetterà ai cittadini di comunicare con la sola pubblica amministrazione e di perfezionare contestualmente accordi con soggetti privati finalizzati alla distribuzione, sempre gratuita, di veri e propri indirizzi PEC utilizzabili per ogni genere di comunicazione ivi inclusi i rapporti con la PA.

Perché spendere 50 milioni di euro per qualcosa che altri soggetti sono evidentemente disponibili ad offrire gratis? Ma soprattutto perché un cittadino dovrebbe richiedere un indirizzo di CEC-PAC utilizzabile, quindi, nei soli rapporti con la PA al fornitore selezionato nell’ambito della procedura di gara quando può averne, sempre gratuitamente, uno di PEC dall’ACI o dall’INPS?
Ma c’è di più, o meglio, ci sono altre contraddizioni.

Stando a quanto è stato spiegato nel corso della conferenza stampa di ieri l’indirizzo di posta elettronica certificata che l’ACI fornirà ai cittadini italiani potrà essere usato, tra l’altro, per “verificare se il bollo risulta pagato, ottenere ricevute a seguito di transazioni eseguite via Internet – bollonet e visure net – inviare richieste di informazioni e chiarimenti ecc”. L’elenco delle attività alle quali appaiono destinati gli indirizzi di posta elettronica certificata lascia perplessi: in relazione a nessuna di tali attività sembrano sussistere effettive esigenze di certificazione del momento di spedizione e/o di ricevimento della comunicazione, uniche garanzie, giova ricordarlo, offerte dall’utilizzo della PEC.
Ecco un’altra contraddizione: utilizzare uno strumento evoluto – sebbene solo da un punto di vista informatico-giuridico – come la PEC per la gestione di attività per le quali non sussiste alcuna effettiva esigenza legale e che oggi vengono svolte senza l’ausilio della PEC, significa accrescere in modo del tutto ingiustificato il divario digitale.

Ci potrebbero essere altri protocolli di intesa da firmare con l’ACI per promuovere, davvero, l’innovazione del Paese. Per cominciare si potrebbe richiedere al gestore esclusivo del Pubblico Registro Automobilistico di porre gratuitamente a disposizione di chiunque ne faccia richiesta tutti i dati e le informazioni contenute nel Pubblico Registro, informazioni che, al contrario, oggi vengono fatte pagare a caro prezzo ai cittadini (5,62 euro per sapere a chi appartiene l’auto che ti ha tamponato!), alle imprese ed alla stessa PA.
A guardare bene quanto sta accadendo negli ultimi mesi, insomma, sembrerebbe che innovazione, in Italia, faccia rima con contraddizione.

Guido Scorza
Presidente Istituto per le politiche dell’innovazione
www.guidoscorza.it

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Pubblicato il
1 ott 2009
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