Anche i peer hanno una coscienza?

Anche i peer hanno una coscienza?

Un sito che si avvicina al suo primo anno di vita prova a fare cassa sul possibile rimorso di chi scarica a scrocco e poi se ne pente un po'. Ma utenti e detentori dei diritti sembrano snobbare l'iniziativa
Un sito che si avvicina al suo primo anno di vita prova a fare cassa sul possibile rimorso di chi scarica a scrocco e poi se ne pente un po'. Ma utenti e detentori dei diritti sembrano snobbare l'iniziativa

Attingere ai circuiti P2P, si sa, è oramai un’attività accessibile a (quasi) ogni utente di Internet. Ma per chi venisse colto da un rimorso postumo per la mancata compensazione economica ad artisti, produttori ed editori c’è sempre la possibilità di alleggerirsi la coscienza grazie a Piracy Payback , sito australiano che vorrebbe porre un rimedio (ancorché parziale) alla gratuità della condivisione di materiale protetto.

Drew K, gestore di Piracy Payback, dice di essere stato spinto alla sua creazione dopo aver fatto lui stesso ricorso ai download a scrocco per una serie televisiva introvabile sui canali commerciali ufficiali. Spinto da un irrefrenabile desiderio di ripagare chi la serie aveva contribuito a crearla col proprio lavoro, Drew ha messo in piedi un sistema di donazioni indirizzato a quelle particolari categorie di “pirati” desiderosi di ricompensare i detentori dei diritti.

Uno dei siffatti utenti col rimorso di coscienza può infatti lasciare una donazione via PayPal partendo da una somma base di 5 dollari, perché anche la coscienza ha il suo prezzo minimo di mercato. Sarà poi Drew a versare il denaro ai “beneficiari”, organizzazioni di rappresentanza di etichette, publisher, autori e artisti che preferiscono rimanere anonime per evitare di dare l’impressione di una poco opportuna istigazione al P2P non autorizzato.

Nel tentativo di meglio identificare il proprio target potenziale, Piracy Payback classifica le categorie di “pirati” in relazione ai comportamenti tenuti online. In tale classificazione ci sono i “non-pirati”, quelli cioè che dal P2P si tengono ben lontani, gli innocenti inconsapevoli di infrangere la legge con qualche download, i pragmatici che ogni tanto scaricano ma solo perché costretti (scarsità di prodotti commerciali, sistemi DRM invasivi eccetera), i “seeker” alla ricerca di materiale da aggiungere alla propria collezione e i “Barbanera”, vale a dire coloro che si fregiano dello status di pirati digitali, ridistribuiscono (senza autorizzazione e magari guadagnandoci su) i contenuti scaricati e non hanno nessuna intenzione di cacciare un solo centesimo per finanziare l’industria multimediale.

Piracy Payback si rivolge principalmente ai pragmatici e ai “seeker”, indicando nei Barbanera i veri parassiti della condivisione digitale su cui l’industria dovrebbe concentrare i propri sforzi di contrasto legale senza accanirsi sul resto degli utenti. Ma lasciando da parte la teoria, in pratica il sistema come va? Fin qui non proprio benissimo , concede Drew, con una risposta piuttosto timida da parte del pubblico, il 12% dei ricavi usato per coprire i costi del sito e un progetto che non è ancora in grado di auto-sostenersi finanziariamente. Drew tiene comunque a precisare che una donazione a Piracy Payback non implica l’esenzione da eventuali ripercussioni legali a opera degli avvocati delle major.

Alfonso Maruccia

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Pubblicato il 12 ott 2009
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