Bing: Dalai Lama, chi?

Bing: Dalai Lama, chi?

Un giornalista del New York Times punta il dito contro il search engine di BigM. Sarebbe un'unità operativa della propaganda cinese, filtrerebbe i risultati di ricerca non solo dentro, ma anche fuori i confini di Pechino
Un giornalista del New York Times punta il dito contro il search engine di BigM. Sarebbe un'unità operativa della propaganda cinese, filtrerebbe i risultati di ricerca non solo dentro, ma anche fuori i confini di Pechino

Il New York Times ha recentemente pubblicato un articolo eloquente , dal titolo ancora più eloquente: boicottiamo Microsoft Bing . La penna è quella del giornalista Nicholas Kristof, curatore di un blog chiamato On The Ground . Il post si è rivelato subito infuocato, con Kristof a puntare il dito contro Microsoft, a suo dire unica responsabile dell’estremo sacrificio del motore di ricerca Bing, immolato sulle già controverse pratiche web della sicurezza di stato cinese.

Il search engine made in Redmond avrebbe scelto di diventare parte integrante dei meccanismi di propaganda del Partito Comunista Cinese, eliminando dai risultati di ricerca termini politicamente sgraditi alle autorità di Pechino . Kristof ha parlato dopo aver preso diretta visione dei risultati di ricerca, interrogando più volte Bing nel corso degli ultimi mesi, a partire dalla fine di giugno fino alla fine della settimana appena trascorsa. Una serie di screenshot è stata messa online a dimostrarlo.

Il giornalista del NYT ha innanzitutto cercato parole chiave come Tiananmen , Falun Gong e Dalai Lama , ottenendo risultati credibili relativamente alla lingua inglese. Medesime prove sono emerse conducendo una ricerca in caratteri cinesi complessi, utilizzati nelle aree di Taiwan e Hong Kong. Ma con i caratteri cinesi semplificati verrebbero restituiti risultati completamente stravolti, in particolare relativi alla ricerca per immagini : nessun massacro, il Dalai Lama dipinto come un oppressore, nessun perseguitato del Falun Gong.

“Ciò che è risultato più offensivo – ha spiegato nel post Nicholas Kristof – è che questo filtraggio è valido in tutto il mondo, compreso il mio ufficio a New York. Microsoft altera i risultati del suo search globale per far sentire meglio Hu Jintao, e questa è una vera vergogna. Bing diventa così un’unità operativa della propaganda cinese”. È per questo, allora, che Kristof ha lanciato un appello , per boicottare il search engine di BigM , a suo dire più difendibile se avesse circoscritto i filtraggi entro i confini del paese asiatico.

Più o meno come ha fatto Google, accusato allo stesso modo dal giornalista, ma non in maniera così veemente. Google.com si differenzierebbe da google.cn proprio per la mancanza di risultati imbavagliati, con poche eccezioni: alcune ricerche condotte con google.com avrebbero dimenticato improvvisamente delle immagini relative ai tragici fatti di Tiananmen. La battaglia di Kristof, tuttavia, è completamente sul fronte di Redmond, già assaltato lo scorso giugno alle prime evidenze portate avanti attraverso le pagine del NYT.

Un portavoce di Microsoft aveva all’inizio contestato le dichiarazioni di Kristof, spiegandogli che i meccanismi di funzionamento di Bing non prevedessero pratiche di filtraggio. Davanti agli screenshot , BigM aveva ammesso l’errore, puntando il dito contro un bug che avrebbe risolto quanto prima, per fare in modo che i risultati fossero omogenei in tutte le lingue. Sei mesi dopo, un post sul blog ufficiale di Bing ha spiegato che è stato individuato un altro bug, che verrà risolto prima delle festività del Ringraziamento. Kristof, ottenuta la stessa risposta di giugno, è rimasto scettico.

Mauro Vecchio

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Pubblicato il
24 nov 2009
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