Cassazione: la Baia si può sequestrare

Cassazione: la Baia si può sequestrare

Le motivazioni della sentenza sono pubbliche: il dissequestro non è valido, è possibile ordinare il sequestro di siti che concorrano alla violazione del diritto d'autore. E TPB non sarebbe un agnostico intermediario
Le motivazioni della sentenza sono pubbliche: il dissequestro non è valido, è possibile ordinare il sequestro di siti che concorrano alla violazione del diritto d'autore. E TPB non sarebbe un agnostico intermediario

The Pirate Bay non è un semplice contenitore di link postati dagli utenti: ha delle responsabilità nell’organizzazione di questi link, e gli ISP possono contribuire a complicare l’accesso ai cittadini della rete italiani. La Baia dei Pirati, su cui la procura di Bergamo ad agosto del 2008 aveva ordinato l’imposizione dei filtri a livello di ISP, dissequestrata dal tribunale del riesame di Bergamo pochi mesi dopo, potrebbe essere investita da un sequestro in piena regola. La terza sezione penale della Cassazione, che aveva accolto il ricorso con cui la procura di Bergamo chiedeva l’annullamento del dissequestro, ha ora depositato la sentenza 49437 e reso note le motivazioni della propria decisione.

I filtri erano stati imposti sulla Baia il 10 agosto 2008: il GIP di Bergamo aveva decretato che gli ISP collaborassero per rendere meno accessibile il sito. Benché la Baia non ospitasse direttamente materiale protetto dal diritto d’autore, ricorda ora la Suprema Corte, il GIP riteneva che sussistessero il fumus delicti e il periculum di violazione della legge sul diritto d’autore tali da disporre l’intervento dei fornitori di connettività: i provider avrebbero dovuto cioè dirottare a mezzo DNS il traffico dei cittadini italiani sulla base del fatto che le statistiche di Alexa suggerissero la popolarità di The Pirate Bay e sulla base del fatto che la commissione del delitto ipotizzato potesse ritenersi concreta e attuale.

Una motivazione considerata inconsistente dalla difesa, che aveva fatto ricorso chiedendo e ottenendo la sospensione del provvedimento che aveva frapposto qualche ostacolo all’accesso alla Baia: il sequestro preventivo, aveva concordato il Tribunale del Riesame di Bergamo, può essere imposto solo nelle ipotesi previste dalla legge e quindi non su un sito Internet; l’inibizione che, prevista solo per casi di pedopornografia e gioco d’azzardo non approvato dai monopoli di stato , è un provvedimento che non passa per un tribunale ma per le amministrazioni dello stato o il Ministero dell’Interno.

Ma la Cassazione ha annullato l’ordinanza di dissequestro. Non si è trattato di un procedimento atipico, spiegano i giudici: l’immaterialità di un sito internet non pregiudica la possibilità di apporvi un vincolo come previsto dalla legge, perché sarebbe impossibile negare che “ad un sito Internet in generale (ed al sito oggetto del sequestro de quo in particolare) possa attribuirsi una sua ‘fisicità’ – si spiega nella sentenza – ovvero una dimensione materiale e concreta”. Per i provider, spiega inoltre la Suprema Corte, “sussiste però un obbligo generale di sorveglianza” da dispiegarsi “sui flussi telematici in transito sui propri sistemi”: per questo motivo gli ISP italiani avrebbero dovuto attenersi alle disposizioni dell’autorità giudiziaria, così come è avvenuto.

La Suprema Corte ritiene altresì che l’ordinanza del Tribunale di Bergamo fosse nel giusto nel ritenere la sussistenza del fumus commissi delicti , in quello che la Cassazione definisce “trasferimento, a mezzo della rete Internet, di file aventi il contenuto di opere coperte dal diritto d’autore in violazione del diritto esclusivo di comunicazione al pubblico”.
Poco importa che la disseminazione dei file avvenga in maniera decentrata , poco importa che i file che violano il diritto d’autore risiedano, spiegano i giudici, “in periferia”. The Pirate Bay, chiarisce la Cassazione, ha un ruolo nel “mettere in comunicazione gli utenti i quali commettono l’illecito con l’attività di uploading “: non si limita a mettere a disposizione “il protocollo di comunicazione (quello peer-to-peer)”, contingenza che, se rimanesse tale, lo renderebbe “estraneo al reato”. The Pirate Bay, spiega la Cassazione, “fa qualcosa di più”.

La Suprema Corte così descrive il ruolo della Baia: “indicizza le informazioni che gli vengono dagli utenti, che sono tutti potenziali autori di uploading , sicché queste informazioni (i.e. chiavi di accesso agli utenti periferici che posseggono, in tutto o in parte, l’opera), anche se ridotte al minimo, ma pur sempre essenziali perché gli utenti possano orientarsi chiedendo il downloading di quell’opera piuttosto che di un’altra, sono in tal modo elaborate e rese disponibili nel sito ad es. con un motore di ricerca o con delle liste indicizzate”. La Baia non sarebbe dunque “un mero corriere che organizza il trasporto dei dati”, la sua attività, sostiene la Cassazione, “non è più agnostica”: c’è, scrive la Suprema Corte, “un apporto causale” alla condotta illecita degli utenti, c’è agevolazione della condotta illecita . The Pirate Bay, chiarisce la Cassazione, non sembrerebbe un motore di ricerca generalista , e non è un neutrale social network: lo sarebbe nel caso in cui anche l’indicizzazione fosse decentrata verso gli utenti. Per questo l’ordinanza di dissequestro è stata annullata.

Ma esistono anche delle motivazioni di carattere tecnico. La Cassazione ritiene irrilevante il fatto che i server della Baia siano localizzati all’estero: la condotta illecita si verifica in Italia , e in Italia sarebbe necessario agire. È possibile agire con una legittima operazione di sequestro cautelare , e non con un’inibitoria, per la quale, in ambito penale, bisognerebbe attenersi a fattispecie delineate dalla legge e fra le quali, come conveniva il Tribunale del Riesame di Bergamo, non rientrerebbe il caso di The Pirate Bay. L’inibizione dell’accesso è lo strumento: il sequestro preventivo, ritengono i giudici, si può dispiegare senza particolari controindicazioni su un sito Web qualora il gestore “concorra nell’attività penalmente illecita di diffusione nella rete Internet di opere coperte dal diritto d’autore” e il giudice può richiedere contestualmente che “i provider del servizio di connessione Internet escludano l’accesso al sito al limitato fine di precludere l’attività di illecita diffusione di tali opere”.

L’industria dei contenuti esprime la propria soddisfazione in relazione alle motivazioni pubblicate dalla Cassazione: “In giorni nei quali si parla tanto di autoregolamentazione del web – commenta il presidente di FIMI Enzo Mazza – la magistratura indica con chiarezza come ci si debba muovere per combattere l’illegalità in rete: applicando le leggi esistenti nel mondo reale anche al mondo del web senza arrendersi di fronte alla facile demagogia che internet sia senza regole e dove impunemente si possono violare le leggi”.

La palla torna ora al Tribunale di Bergamo, che dovrà confrontarsi con una Baia scossa da acque agitate sul fronte tribunalizio e sul fronte del mercato , ma fresca di un sovvertimento tecnologico orientato a un decentramento ancor più deciso.

Gaia Bottà

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Pubblicato il
24 dic 2009
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