Sia FAPAV la sua volontà?

Sia FAPAV la sua volontà?

di G. Scorza - La Federazione contro la pirateria audiovisiva ha rastrellato indirizzi IP. Chiede a Telecom di oscurare siti e accusa l'operatore di complicità nella violazione del diritto d'autore. Il caso Peppermint è passato remoto?
di G. Scorza - La Federazione contro la pirateria audiovisiva ha rastrellato indirizzi IP. Chiede a Telecom di oscurare siti e accusa l'operatore di complicità nella violazione del diritto d'autore. Il caso Peppermint è passato remoto?

La FAPAV – Federazione contro la pirateria audiovisiva – ha trascinato in via d’urgenza Telecom Italia dinanzi al Tribunale di Roma chiedendo al Giudice di ordinarle di inibire l’accesso, a tutti i propri utenti, ad una decina di siti attraverso i quali verrebbero rese disponibili opere cinematografiche protette da diritto d’autore. Secondo quanto si apprende dai primi lanci di agenzia e dalle dichiarazioni rese dal Presidente della SIAE – prontamente intervenuta a sostegno della FAPAV nel giudizio – presupposto dell’azione cautelare promossa dalla Federazione antipirateria nei confronti di Telecom sarebbe la circostanza che centinaia di migliaia di utenti italiani negli ultimi mesi avrebbero utilizzato le risorse di connettività messe loro a disposizione da Telecom per scaricare film ed altre opere audiovisive dai “siti famosi del peer to peer” e non solo.

Telecom, a questo punto – secondo la tesi della FAPAV, sostenuta dalla SIAE – sarebbe tenuta ad impedire l’accesso a tutti i propri utenti ai siti in questione e dovrebbe ritenersi corresponsabile delle condotte di pirateria audiovisiva, giacché, pur essendo stata tempestivamente informata dei pretesi illeciti in atto avrebbe omesso di informare l’autorità giudiziaria e diffidare i propri utenti dal proseguire.
La storia dunque si ripete e, quel che è peggio, l’antipirateria all’italiana sembra incapace di imparare dal passato.

Non si conoscono ancora i dettagli della vicenda e, in particolare, le modalità investigative utilizzate dalla FAPAV per acquisire i dati che le consentirebbero di affermare con certezza che centinaia di migliaia di utenti hanno scaricato determinate opere cinematografiche da altrettanto ben individuati siti internet, ma appare evidente che, quali che siano state dette modalità, ci si trova dinanzi ad un nuovo caso Peppermint .

Ancora una volta, infatti, l’industria ha ritenuto di poter arbitrariamente esercitare poteri investigativi sostituendosi all’autorità giudiziaria ed alle forze di polizia e di poter così – in un intervallo più o meno lungo di tempo – pedinare in Rete milioni di ignari cittadini lungo le autostrade dell’informazione, acquisendo, registrando, archiviando ed incrociando i dati personali di questi ultimi. Sembra, infatti, difficile dubitare che la FAPAV per poter, oggi, agire nei confronti di Telecom, debba almeno essere in possesso degli indirizzi IP – evidentemente assegnati da Telecom – dei presunti pirati, o meglio dei titolari delle risorse di connettività utilizzate dai presunti pirati, e degli indirizzi IP di destinazione dei percorsi di navigazione di tali utenti che contraddistinguono i siti internet dei quali è stato chiesto l’oscuramento.

Si tratta, in altre parole, di una condotta probabilmente ancor più grave di quella posta in essere da Logistep nell’ormai celebre caso Peppermint: FAPAV ha, probabilmente, trattato addirittura dati relativi al percorso di navigazione degli utenti verso determinate risorse telematiche ovvero dati che gli stessi fornitori di servizi di connettività non possono trattare proprio in ragione del loro carattere “personale”.
Sono, d’altro canto, mesi che si ha il sospetto che qualcosa fosse nell’aria e che FAPAV stesse preparandosi al colpo grosso.

Ad aprile dello scorso anno, infatti, Filippo Roviglioni, Presidente di FAPAV raccontava in un’intervista a Gabriele Niola pubblicata proprio su queste pagine, questo aneddoto del quale la vicenda processuale di queste ore costituisce, evidentemente l’epilogo: “Un mese fa con un software trovammo un certo numero di persone che scaricavano film e musica. Andammo dal magistrato molto contenti, con nome e cognome, il magistrato ci chiese come li avevamo ottenuti e visto che ovviamente i pirati in questione non erano consenzienti ci disse che rischiavamo di essere inquisiti per violazione della privacy. Siamo andati allora a parlare con il numero due in materia di privacy che ci ha detto solamente come condivida il nostro senso di impotenza e frustrazione”.
Si tratta, d’altro canto, di dichiarazioni che lo stesso numero uno di FAPAV ribadisce in questo video del quale davo, con sorpresa, notizia in questo post del 26 maggio 2009, profeticamente intitolato “La Confessione”.

Se, come appare ragionevole ritenere, i dati posti a fondamento dell’azione oggi promossa dinanzi al Tribunale di Roma sono i medesimi raccolti da FAPAV nel corso del 2009, dunque, la Federazione antipirateria era, ed è, perfettamente a conoscenza del carattere illecito dell’acquisizione dei dati utilizzati tanto da aver già incassato un diniego all’azione penale da parte della Procura della Repubblica, che anzi le avrebbe paventato il rischio di vedersi costretta ad inquisirla per trattamento illecito di dati personali, ed un parere negativo – sebbene accompagnato da una manifestazione di solidarietà – da parte dell’Ufficio del Garante della Privacy.

In tale contesto sembra agevole concludere che FAPAV ha appena promosso un’azione cautelare dinanzi al Tribunale di Roma ponendo a suo fondamento elementi di prova illegittimamente raccolti.

Se a ciò si aggiunge che, come è ormai noto, nella vicenda Logistep-Peppermint tanto il Preposto Federale per il trattamento dei dati personali svizzero che il nostro Garante per la privacy ritennero illegittima l’attività di monitoraggio di massa posta in essere dagli investigatori dell’etichetta discografica tedesca, pochi dubbi possono residuare sull’illegittimità della condotta della Federazione antipirateria audiovisiva. È vero che il tempo rimargina le ferite ma, salvo prescrizioni, sanatorie e norme “accorcia-processi”, difficilmente rende lecito ciò che è nato illecito.

Sotto tale profilo sta dunque al Tribunale di Roma – auspicabilmente previo intervento dell’Autorità Garante per il trattamento dei dati personali – decidere se, in nome di un’antipirateria sostanziale ed indiziaria, porre a fondamento di una decisione un’attività di investigazione di massa posta in essere in aperta violazione della disciplina sulla riservatezza. Forse un pugno di autori e l’industria audiovisiva ringrazierebbe ma, così facendo, si sacrificherebbe il diritto alla privacy di milioni di cittadini e, soprattutto, si affermerebbe il principio per il quale chiunque di noi, dinanzi al sospetto di un illecito che riguarda il proprio portafoglio, può sostituirsi all’autorità di polizia ed a quella giudiziaria e dar corso a pedinamenti, perquisizioni ed intercettazioni.

La privacy, tuttavia, è solo uno dei profili dell’iniziativa della FAPAV che non convincono.
Quali sono le prove sulla cui base FAPAV sarebbe in grado di dimostrare che un certo numero di utenti Telecom avrebbero violato la disciplina sul diritto d’autore? Basta davvero un enorme foglio di calcolo con una colonna di indirizzi IP di partenza ed un’altrettanto lunga colonna di indirizzi IP di destinazione per sostenere che un cittadino o, meglio ancora, che proprio l’utente contrattualmente legato a Telecom – e non, piuttosto, un suo familiare o amico – è un pirata? La mia sensazione, francamente, è che non sia così e non possa esserlo almeno sino a quando l’accertamento della condotta non sia compiuto da un pubblico ufficiale nel rispetto delle regole del diritto e, in ogni caso, fino a quando in Italia non sia stata varata una disciplina stile HADOPI attraverso la quale sia posto a carico di ogni titolare di risorse di connettività un obbligo di custodia relativo a tali risorse.

La verità è che, allo stato, FAPAV – come peraltro sembrerebbe esserle già stato fatto presente dalla procura della repubblica di Roma nell’aprile scorso – non è in condizione di provare assolutamente nulla . Niente prova, niente provvedimento, dunque.

Ma andiamo avanti perché la circostanza che FAPAV, allo stato, non sia in grado di provare alcunché in ordine all’imputabilità agli utenti Telecom di una condotta illecita, porta con sé un’ulteriore importante conseguenza. Telecom, ricevuta la diffida di FAPAV, non aveva alcun obbligo di fare alcunché perché non si può pretendere che sia sufficiente ipotizzare una violazione di un proprio diritto per pretendere che un intermediario si adoperi per segnalare un illecito che magari non esiste ad un’autorità giudiziaria o, piuttosto, per diffidare un utente che, magari, ha semplicemente subito un furto di risorse di connettività.

A prescindere poi da tutta una serie di altre considerazioni relative alla disciplina degli intermediari della comunicazione che – cavalcando l’ onda lunga della decisione The Pirate Bay e Mediaset c. YouTube – la FAPAV pretenderebbe di travolgere, sembra opportuno formulare un’ultima considerazione sul contenuto del provvedimento richiesto al giudice: l’oscuramento di tutta una serie di siti internet dai quali sarebbero stati scaricati anche taluni film.
È, evidentemente, un provvedimento sproporzionato e privo di qualsivoglia fondamento giuridico.

Il titolare dei diritti, infatti – a prescindere da ogni altra considerazione – può, a tutto voler concedere, esigere che l’autorità giudiziaria ordini all’intermediario di adottare i provvedimenti necessari ad interrompere la prosecuzione della specifica violazione contestata – e dunque l’inibitoria all’accesso ad una singola URL che contraddistingua un determinato contenuto. Ma non può , in alcun caso – tanto più senza neppure convenire in giudizio i titolari dei siti in questione – esigere l’oscuramento di un’intera piattaforma di comunicazione elettronica, determinando così, di fatto, la cessazione dell’altrui attività di impresa ed una forte restrizione dell’altrui esercizio della libertà di manifestazione del pensiero. Un simile provvedimento non è contemplato in alcuna norma di legge, e se lo fosse la relativa norma sarebbe in evidente contrasto con gli articoli 21 e 41 della Costituzione per violazione della libertà di manifestazione del pensiero e della libertà di impresa.

Leggendo questo articolo, forse, qualcuno penserà che si dovrebbe smettere di difendere i pirati per evitare di veder morire la nostra industria dei contenuti ma, in tutta franchezza, credo esistano modi e forme per continuare a riconoscersi in un Ordinamento che non abdica ai principi fondamentali dello Stato di diritto in nome dell’antipirateria senza perciò dover rinunciare a cultura e creatività. Non si tratta di difendere i pirati che, se tali, si appropriano di quanto di più prezioso esiste nella società dell’informazione, ovvero le idee e la creatività nella dimensione immateriale. Si tratta più semplicemente di difendere le regole del diritto ed alcune libertà fondamentali che non possono e non devono cedere il passo ai diritti patrimoniali di un numero sempre più esiguo di soggetti.

Guido Scorza
Presidente Istituto per le politiche dell’innovazione
www.guidoscorza.it

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Pubblicato il
14 gen 2010
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