Contrappunti/ La calata dei social-barbari

Contrappunti/ La calata dei social-barbari

di M. Mantellini - L'intellighenzia incontra Internet. E ci fa la pace. Non si sa ancora se questa favola avrà una lieto fine, di certo è bene iniziare a raccontarla
di M. Mantellini - L'intellighenzia incontra Internet. E ci fa la pace. Non si sa ancora se questa favola avrà una lieto fine, di certo è bene iniziare a raccontarla

Quello di questa settimana è un Contrappunti di servizio pieno di link. Capita quando molte cose interessanti accadono tutte assieme. Sul numero dell’ Economist in edicola c’è intanto un monumentale inserto sullo stato dell’arte dei social network. Ve lo segnalo e vi invito a darci una occhiata per due ragioni: la prima è che si tratta di un lavoro documentato ed aggiornato, la seconda perché da conto di una realtà che un po’ ovunque nel mondo, tranne che in Italia, viene considerata per quello che è, vale a dire un fenomeno di massa di grande rilevanza sociale.

Qualche anno fa, una delle prime studiose della antropologia delle reti, Danah Boyd , raccontava in uno studio diventato celebre come lo spazio di rete fosse diventato per i giovani teenager americani una sorta di territorio libero, sottratto al controllo di genitori e educatori, in grado ugualmente di migliorare la qualità delle loro vite. Un punto di vista, quello della Boyd, da molti considerato discutibile ed eccessivamente positivo, tali e tante erano le remore verso il trasferimento online di una quota così ampia della vita di relazione dei nativi digitali. Oggi, con il comodo senno del poi, fatto di milioni di persone che dividono le proprie relazioni di rete fra Facebook, Twitter e MySpace, appare più che mai necessario continuare ad indagare gli aspetti sociali di questa inattesa transumanza.

Davvero, come affermano con una avventatezza tutta nostrana gli psichiatri dell’ambulatorio per le dipendenze da Internet del policlinico Gemelli, il 10 per cento dei 350 milioni di utenti di Facebook sono persone intossicate dalla Rete? Oppure siamo di fronte al solito problema di chi osserva le formiche con il binocolo, di chi giudica grandi fenomeni sociali armato solo dei propri solidi preconcetti? Nonostante simili profeti di sventura, qualcosa sembra lo stesso muoversi anche in Italia nella analisi dei comportamenti sociali indotti dallo sviluppo delle reti di computer.

Qualche giorno fa Repubblica ha pubblicato un interessante approfondimento sull’amicizia ai tempi dei social network, ed al posto del solito articoletto cui eravamo abituati, abbiamo trovato un’analisi informata e interessante firmata da Vittorio Zucconi ed un articolo a corredo di Alessandro Baricco altrettanto stimolante.

Il pezzo di Zucconi è una perla di equilibrio che, in un terreno minato come quello dell’analisi dei sentimenti, riesce perfino ad osservare il valore nel fondo del bicchiere:

“Nei social network nessuno comanda, nessuno controlla, nessuno ha l’ultima parola, perché nell’eco infinita del virtuale l’ultima parola non può esistere. La selezione fra amici veri, di penna o di matita avverrà naturalmente, felicemente o malinconicamente, come in tutte le vicende che ci riguardano. Non siamo tutti morti carbonizzati dopo la scoperta del fuoco”

L’articolo di Baricco, che ha dedicato qualche tempo fa un intero saggio , I Barbari , alla necessaria coscienza delle mutazioni, racconta invece il disincanto dello scrittore per le pratiche di Rete contrapposto ad un amore antico per “il fare le cose”. Per il sudore di una partita di calcio fra amici col “pallone sporco da far schifo”. Ma anche in questo caso c’è una separazione netta fra il punto di vista personale dello scrittore e la morale conseguente: “Trarre conclusioni che non siano da bar – scrive Baricco a proposito delle differenze fra le amicizie della sua infanzia torinese e quelle dei giovani di oggi in Rete – sembra difficile”.

Ed è esattamente così. Siamo di fronte a prassi e comportamenti che sono recenti e oceanici. Non è strano che simili improvvisi colpi di timone generino incredulità e confusione. Così ci sono studi accademici che raccontano che le reti sociali deprimono, altri che invece dicono che arricchiscono la vita di relazione, ci sono esperti che calcolano i soldi persi dalle aziende che consentono ai propri dipendenti di accedere a Facebook, altri che benedicono l’apertura delle risorse aziendali verso la rete e ne elencano i grandi vantaggi.

Dentro questo grande marasma assume sempre maggiore importanza il tema della privacy. Come vengono gestiti i dati che, in numero crescente, gli utenti immettono dentro i database delle piattaforme sociali? Qualche settimana fa Mark Zuckerberg ha affermato che la privacy è ormai una esigenza poco sentita e che, anzi, i milioni di utenti della suo servizio desiderano condividere sempre più informazioni in maniera sempre più ampia. Sciocchezze. L’oste ovviamente tesse le lodi del suo vino ma le ricerche più recenti sembrano in questo caso contraddirlo: perfino i più giovani, categoria tipicamente poco incline ad occuparsi di questioni apparentemente lontane e barbose come la riservatezza dei dati, sembrano ormai dedicare grande attenzione a quali e quante informazioni condividono in Rete.

Oltre il 60 per cento degli utenti statunitensi di Facebook, secondo una recente ricerca di Pew, setta su parametri di maggior riservatezza il proprio account rispetto a quelli di default (che non a caso Facebook ha recentemente mutato nella direzione di favorire la quantità di dati condivisi). E mentre la maggior parte degli accessi a Facebook avvengono ormai in mobilità, lasciando intravedere un possibile business, di cui per la verità si fantastica da anni, legato alla geolocalizzazione, solo una forte miopia potrebbe impedirci di osservare la rotta di collisione fra piattaforme sociali che vedono nella rivendita dei dati degli utenti la loro fonte di reddito ed una volontà di senso opposto degli utenti stessi.

Posto che la pubblicità display sui social network funziona poco o nulla, posto che i servizi costano e la bolla dei servizi 2.0 è volata in cielo da tempo, l’unica concreta possibilità di monetizzare la propria affezionata clientela è oggi quella di offrire i contenuti che generano ai motori di ricerca. Che notoriamente vanno poco per il sottile e sembrano gradire, almeno come antipasto, anche solo l’immenso database degli inutilissimi status update che sia Facebook che Twitter hanno consegnato a Google e a Bing in cambio di una manciata di milioni.

Che il Titanic delle piattaforme sociali prosegua a tutto motore contro l’iceberg che lo affonderà sembra in questo momento un problema marginale, ma la intrinseca debolezza di tutto l’ambaradan delle piattaforme di rete sociale sfugge solo a chi preferisce non vedere. Nel frattempo le cose succedono e le abitudini cambiano, le persone si incontrano e si conoscono sempre più spesso in Rete che non su un fangoso campo di calcio. La notizia della settimana è che in Inghilterra ed in Italia c’è stata gente autorevole che su grandi giornali ne ha discusso con misura ed intelligenza.

Massimo Mantellini
Manteblog

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Pubblicato il
1 feb 2010
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