Il gigante cattivo dell'IT

Il gigante cattivo dell'IT

di L. Annunziata - Da speranza del genere umano a nuova voce di bilancio dell'economia mondiale. Tutto quello che l'ICT avrebbe potuto essere e non sarà più: speranza, innanzi tutto
di L. Annunziata - Da speranza del genere umano a nuova voce di bilancio dell'economia mondiale. Tutto quello che l'ICT avrebbe potuto essere e non sarà più: speranza, innanzi tutto

Comunque la si guardi, l’ azione della Polizia californiana nei confronti di Gizmodo segna un momento importante nella storia dell’industria tecnologica della Silicon Valley. Allo stesso modo in cui, mesi or sono, avevamo commentato sbigottiti quanto accadeva nelle fabbriche cinesi di Foxconn dove si assemblano i device Apple (prima il suicidio del dipendente , poi il reporter strattonato per aver scattato certe fotografie), occorre ora avviare una riflessione sul peso e le dinamiche dell’ICT nella società .

Apple, in molti lo ricorderanno, è nata in un garage: grazie alla geniale intuizione del suo co-fondatore Steve Wozniak, unita allo spirito imprenditoriale di Steve Jobs e al duro lavoro di alcuni collaboratori, i primi computer Apple vennero venduti in alcuni negozietti di elettronica della zona attorno San Francisco. Pochi anni dopo Apple era la prima grande azienda produttrice di personal computer della storia, primato che poi nel corso degli anni venne appannato da un andamento incerto e che ha ritrovato smalto solo dal 1997 con il ritorno di Jobs al comando.

Quella che nasceva nel 1977 in un garage era un’azienda completamente diversa da quella odierna: mentre negli anni ’70 le startup da rimessa per auto erano la norma, oggi Apple è una multinazionale con capitalizzazioni record e con un’eco mediatica inimmaginabile anche nella vita di chi non bazzica l’ICT tutti i giorni. iMac, iBook, iPod e iPhone hanno inciso moltissimo nell’assetto dell’industria dei personal computer e dei gadget elettronici, imponendo alla concorrenza un cambio di passo o addirittura un cambio di rotta nelle proprie strategie di ricerca, sviluppo e marketing.

Allo stesso modo, anche altri colossi dell’industria informatica odierni nascevano praticamente in un garage: Microsoft, un autentico colosso, ha avuto trascorsi simili, e Google e Oracle, SUN e molti altri non sono stati da meno. A confronto oggi, con i milioni offerti dai venture capitalist a ragazzi di belle speranze con qualche buona idea, mettere in piedi un business di successo è molto più semplice: semplicemente il mondo della finanza ha identificato le risorse e i guadagni che l’ICT è in grado di garantire, anche a lungo termine, e punta su quest’ultimo per i propri investimenti.

Tutto questo preambolo per arrivare al punto: la tecnologia, l’informatica, hanno in grossa parte perso la propria “verginità”, il proprio appeal da discipline di frontiera. La tecnologia, Internet, sono diventati un business : la nascita di un nuovo servizio sul Web va di pari passo con la formulazione di un business plan, ai novelli Bill Gates si chiede innanzi tutto di avere le idee chiare su quando si raggiungerà il pareggio e quali saranno i margini quando si inizierà a guadagnare. Al massimo, mancando i dettagli, i nuovi protagonisti delle startup puntano a vendere al miglior offerente la tecnologia che hanno sviluppato, meglio se a qualcuno di grosso con il portafogli altrettanto imponente.

Cos’è successo in fondo a San Francisco? Niente di particolare: un buon ingegnere con meno di 30 anni, che lavora in una delle aziende più cool del momento, è andato a farsi una bevuta il giorno del suo compleanno e si è perso un prototipo di un prodotto . Qualcuno l’ha raccolto e l’ha passato a un conosciuto (e spregiudicato) sito di informazione online, che ovviamente ci ha fatto lo scoop. Basta, finito, punto. Non ci saranno conseguenze particolari , la concorrenza (almeno per quanto si sa fino a questo punto) non ha avuto accesso alle caratteristiche e alle informazioni relative al design del nuovo apparecchio (e anche se fosse, non potrebbe mai battere sul tempo Apple: a giugno, tra poco più di 30 giorni, il prodotto sarebbe comunque stato presentato).

Nessuno, verrebbe da dire, si è fatto male : il prototipo, poco più che un blocco di plastica, vetro e alluminio privo di software, è anche tornato nelle mani di Apple. Un po’ come se alla FIAT soffiassero un prototipo di una Punto, leggermente rivisto nell’estetica, ma senza motore: e, dopo qualche foto mandata in giro su Internet gli venisse restituito. Cosa potrebbe mai succedere?

Invece no, la Polizia della California si attiva solerte per indagare e capire cosa sia successo. È ovvio, in uno stato dove l’ICT conta tanto per le entrate economiche del governo locale , preservare la tranquillità del comparto e dei big del settore appare scontato: si dà il via a un’azione di indagine a tratti scomposta, criticata e criticabile per aver probabilmente varcato alcune regole ritenute “sacre e inviolabili” del giornalismo, che ha diritto di preservare le proprie fonti e di provare a scavare e scovare fatti nuovi e interessanti per i propri lettori. L’ironia della sorte è che probabilmente, alla fine della storia, all’editor di Gizmodo Jason Chen verrà riconosciuto lo status di giornalista a tutti gli effetti, sancendo una volta per tutte che un blogger (o chi svolga attività assimilabile) è a tutti gli effetti un reporter degno di questo nome.

Soprattutto, bisogna abituarsi all’idea che quanto trattiamo da anni su queste pagine sia nella realtà molto diverso da quanto pensavamo sarebbe stato: i computer, i cellulari, i gadget elettronici, sono un business e vengono gestiti come tali. Lo spazio per la filosofia e gli ideali di chi propugna software e cultura libera sarà progressivamente schiacciato dal peso del denaro , questi concetti verranno messi da parte e prima o poi dimenticati. È in corso una gara a raggiungere il massimo profitto, non c’è spazio per fermarsi a riflettere su quello che si sta facendo: l’ecologia, la solidarietà, la responsabilità sociale, sono ormai derubricabili a mere voci della strategia di marketing, difficilmente saranno utilizzate (realmente) per prendere decisioni significative ai piani alti.

Non c’è un solo responsabile, siamo tutti coinvolti nel circolo vizioso: eravamo troppo impegnati a capire quello che stava succedendo, a valutarne l’impatto sulle nostre vite, a comprendere se poteva diventare qualcosa con cui campare, per renderci conto che ci stava prendendo la mano e che stavamo perdendoci quei valori di “rivoluzione culturale” che i primordi dell’informatica si portavano appresso. In fondo Unix, il C, Internet, il Web, sono nati grazie alla collaborazione spesso a titolo gratuito tra individui , uniti dall’obiettivo comune di allargare la conoscenza: oggi non è più così, persino i servizi che dovrebbero servire a unire (vedi quelli di autenticazione) vengono lanciati in concorrenza con altri, con continue leghe e coalizioni che si formano riunendo di volta in volta diversi interlocutori dell’industria.

Occorre ribadirlo: l’informatica, la tecnologia, sono ormai industria. Industria e quasi nient’altro. Neppure questo nuovo stadio della società, la sua conversione alla società dell’informazione da quella post-industriale, ha garantito una particolare evoluzione dei costumi, degli usi, dell’etica: è business, ancora business. Dobbiamo regolarci di conseguenza, e abituarci a pensare di nuovo che l’entità che abbiamo davanti ci è in qualche modo ostile e lontana, fredda e calcolatrice . E se la trattazione di trimestrali e bilanci, se il racconto di fiere e strategie di marketing, sembrerà sterile e vuoto, dovremo farci l’abitudine: non sarà la rivoluzione del personal computer, ormai definitivamente terminata, quella che darà nuovi orizzonti al genere umano.

In conclusione: ma che senso ha andare a casa di un redattore di un sito web, forzargli la porta, mettergli a soqquadro casa, portargli via quattro computer, due server e un paio di cellulari, perquisirlo per verificare che non abbia addosso armi o oggetti pericolosi, solo perché un cellulare è stato visto un paio di mesi prima di quanto preventivato? Possibile che sia davvero un reato provare a scalfire, da bravi reporter, la proverbiale cortina di sicurezza dell’azienda più riservata dell’ICT? Jason Chen ha imparato a sue spese, come aveva fatto Nick Ciarelli di Think Secret e altri prima di lui, che in ogni caso tutto questo ha un prezzo .

Luca Annunziata

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Pubblicato il
27 apr 2010
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