La Sindrome del Ciuccio

La Sindrome del Ciuccio

di Luca Schiavoni. Succhiare soddisfa un bisogno primario, che è quello della nutrizione, ma è anche un antidoto alla paura e al senso di solitudine, che è comune nel lattante e nel mondo cyber
di Luca Schiavoni. Succhiare soddisfa un bisogno primario, che è quello della nutrizione, ma è anche un antidoto alla paura e al senso di solitudine, che è comune nel lattante e nel mondo cyber


Roma – Raramente si mette in dubbio che l’informatica, internet, il computing in generale sia un mondo veloce e dinamico che corre in avanti, in continua mutazione ed evoluzione. Altrettanto raramente si mette in dubbio che “gratis” sia la parola magica del Web e dintorni, fino ad arrivare agli estremi che “tutto è di tutti”, che “Internet è comunista”, ma anche idealista, libera, indipendente e chi ha aggettivi ne aggiunga all’elenco.

Quello del “gratis” on line, che si parli di servizi, software o altre cose il discorso non cambia, è un concetto ormai acquisito dai più e paradossalmente immutabile. Mentre l’informatica ed il computing corrono in avanti, il concetto di “gratis” si cristallizza e resta immobile. Il Gratis non si tocca, il Gratis è bene, è bello, è il futuro… Il Gratis “è così e basta”. Parafrasando un motto calcistico di un tempo (non so se si usa ancora, sono a digiuno di sport) “il gratis non si discute, si ama”.

La telenovela Napster, i banner su Icq , la crisi del PayToSurf , il crollo dei mercati pubblicitari, Salon a pagamento , la ritirata di Murdoch dal Web , la pirateria, le discussioni (anche sui forum di Punto Informatico) sul pagare o meno un sito di informazione etc etc sono tutte vicende legate insieme da un filo conduttore sempre più visibile e radicato.

E ‘ quella che ho definito “la sindrome del Ciuccio” (nel senso di succhietto per i poppanti).

A cosa serve il ciuccio infilato a forza nella bocca urlante dei neonati? Ad azzittire il marmocchio tra una mangiata e l’altra, dandogli l’impressione di stare a ciucciare la sisotta materna (Mi perdonino i pediatri per la semplificazione, ma è necessaria ai soli fini del contesto “informatico”). Ma il ciuccio non è cibo, nè palliativo del cibo, è palliativo solo dell’azione del mangiare, è solo un riempitivo simulato tra un pasto ed un altro che non fornisce alcun supporto alimentare ma fa solo inghiottire saliva (che aiuta casomai la digestione del pasto precedente). Un neonato di solo ciuccio non può vivere insomma. Di sicuro non piangerà mai, ma morirebbe.

Alla domanda “quando togliere il ciuccio?” il pediatra di Pediatria.it risponde: “Succhiare soddisfa un bisogno primario, che è quello della nutrizione, ma è anche un antidoto alla paura e al senso di solitudine, che è comune nel lattante, ma anche quando il bambino è più grande.”

Dunque il “cyberciuccio”, ovvero tutto quel popò di belle cose che un utente si trova miracolosamente a disposizione “gratuitamente” (o almeno questo è quello che crede), può essere allo stesso modo un rimedio alla paura di perdersi on line, una guida nell’inevitabile perdita di orientamento, lo smarrimento di chi arriva on line e “non sa cosa fare”. Seguire le vie del “gratis” non costa nulla, sempre in teoria, e quindi tanto vale seguirle tutte, scaricare di tutto, iscriversi a decine di servizi email, quotidiani, newsletter.

Continua il Pediatra: “Il consiglio è di aspettare pazientemente che il bambino decida di diventare grande, rinunciando spontaneamente al ciuccio, sapendo che egli non riceverà alcun danno psicologico da un uso prolungato (può essere invece vero il contrario)”.

Il Ciuccio prima o poi quindi va tolto, ed è necessaria una maturazione. Mentre la Rete sta dando vari segnali di questi cambiamenti necessari e naturali (sarebbe innaturale il contrario) sembra evidente che molti utenti non se ne siano accorti ancora, viste le critiche infondate e demagogiche che vengono spesso riservate a quei servizi e prodotti che “tradiscono” la loro idea iniziale, i loro “principi” (da quando in qua un’azienda si muove per ideali e principi diversi dal profitto?).


Ma tra le più grandi menzogne che si sono lette recentemente c’è quella della “fine del gratuito on line”. Il gratuito non c’è mai stato, tutto è casomai sempre stato a spese di altri.

La posta di Hotmail che non si paga viene pagata da aziende che usano gli spazi pubblicitari, la Freenet che offre la connessione a zero lire viene pagata dalla Telecom 11 lire al minuto, i programmi Open Source e lo stesso Linux hanno un costo (non solo in termini di ore/lavoro ed esperienza) che in un modo o nell’altro, prima o poi, qualcuno ha già pagato e molti pagheranno. Persino l’Mp3 che circola su Napster o sistemi similari sta lì soltanto grazie al primo utente che il CD l’ha comprato, e pagato.

Se il mercato pubblicitario è saturo, o in crisi, e se quel modello di business che coinvolgeva tutti tranne l’utente finale sta mostrando i suoi limiti (sempre in nome della continua e veloce mutazione delle cose) bisogna solo felicitarsene e partecipare attivamente e con maturità all’ennesimo e non ultimo rinnovamento che Internet e dintorni propone ed impone alla sua comunità sempre più grande e consapevole.

Navigando e leggendo commenti e forum nelle ultime settimane, tra NapManiaci che riempiono gli hard disk di musica senza domandarsi da dove arriva, utenti Flat che si beano nell’ingenuità di connessioni permanenti a prezzo stracciato, siti d’informazione e divertimento succhiati con dentini da vampiro spesso senza la minima consapevolezza dei costi e delle strutture necessarie per mandarli avanti, e tentativi di pagamento o sponsorizzazione guardati con disprezzo o addirittura con un senso di tradimento (come se davvero si potesse credere che fino a quel momento una certa azienda ha lavorato solo per il benessere dell’umanità!), nascono domande semplici e dirette, come la seguente:

Perchè se ad una certa età si smette di credere a Babbo Natale, a 30/40 anni invece si continua a credere che Linux (ad esempio) è gratuito?

Luca Schiavoni

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Pubblicato il
24 mar 2001
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