Il problema non è (più) il P2P

Il problema non è (più) il P2P

Lo dice uno dei capoccia di Paramount. Ora fanno paura Rapidshare e compagni: e contro questi servizi, sempre più popolari, non ci sono dottrine Sarkozy che tengano
Lo dice uno dei capoccia di Paramount. Ora fanno paura Rapidshare e compagni: e contro questi servizi, sempre più popolari, non ci sono dottrine Sarkozy che tengano

Prima c’era Napster, poi sono arrivati Gnutella, Limewire, Emule, infine BitTorrent: il P2P in questi anni ha vissuto diverse stagioni, incoronando di volta in volta il protocollo del momento, il preferito dai fruitori del file sharing. Tuttavia, il tempo dei software e della condivisione sembra stia finendo: il futuro si chiama Rapidshare , Megavideo , il futuro sono quei servizi che consentono (tramite sottoscrizione) di caricare e scaricare grosse quantità di dati tramite il proprio browser, anche in streaming . L’industria di contenuti sembra aver colto il mutamento nel clima: il COO di Paramount, Fred Huntsberry, sembra essere al passo coi tempi.

“I servizi di archivio remoto rappresentano oggi il principale strumento con il quale gli utenti utilizzano materiale pirata” ha dichiarato in Olanda, dove presenziava a un convegno di settore. I vari siti che offrono questo servizio sono ormai efficaci, efficienti, rapidi: in poche ore dall’uscita di un film al cinema o di un episodio in TV hanno già a disposizione il materiale , sistemi di download e visualizzazione in linea sono sempre più precisi e sofisticati, “Ironicamente – prosegue Huntsberry – a volte questi siti sono migliori di quelli legittimi”.

Il problema è insomma sempre lo stesso: l’industria dei contenuti fatica a tenere il passo dell’evoluzione tecnologica , ancora impegnata e ancorata com’è con precedenti logiche e metodologie di distribuzione, incapace per così dire di adeguarsi alla realtà. Prezzi, strumenti, limitazioni sono ancora improntati a un principio di controllo e al supporto fisico, mancano l’agilità e la serenità necessarie per mettere in piedi offerte competitive alternative, con le caratteristiche che il pubblico già ha visto, sperimentato, gradito e a cui si è abituato sui canali “non ufficiali”.

A questo punto, la faccenda si fa complessa: lo streaming consente agli utenti finali di guardasi i contenuti di loro gradimento direttamente e facilmente sulla TV di casa, senza particolari accorgimenti o competenze tecniche . Il costo dell’abbonamento ai servizi di streaming/sharing è modico (spesso gratuito), c’è tutto o quasi disponibile: e, soprattutto, lo stesso Huntsberry teme che la dottrina Sarkosy , la religione delle disconnessioni forzate per i trasgressori che utilizzano il P2P , risulti del tutto inefficace per arginare questo fenomeno.

Ma mentre l’industria della celluloide pensa a come attrezzarsi – dopo aver faticosamente ottenuto (e non dappertutto) che le disconnessioni graduali venissero introdotte per legge – così da far fronte a questa nuova minaccia, modelli di business, investitori pubblicitari, utenti vanno oltre. Lo stesso Huntsberry lamenta che su certi siti ci finiscano i fondi per il marketing online di catene di fast food e marchi mainstream, che altro non fanno che fornire ossigeno e nutrimento per crescere a quegli stessi siti. Rapidshare, senz’altro uno dei più popolari, ora si getta anche nella mischia avviando un (legalissimo) servizio di intermediazione per la distribuzione dei contenuti .

Il problema , per i detentori dei diritti, è che questi servizi godono già di una sorta di “legittimazione”: Rapidshare se l’è cavata in tribunale al di qua e al di là dell’Atlantico, safe harbor del DMCA e diritti del fornitore dei servizi secondo le norme europee dovrebbero probabilmente tenere al sicuro (almeno per il momento, stante la legislazione vigente) i gestori di questo tipo di servizi. Viene da chiedersi se, stante l’adagio, visto che non si può batterli non sia auspicabile farseli amici : e magari pensare a stipulare accordi per individuare quali forme di compensazione si possano ottenere per questa “libera circolazione” delle merci digitali.

Luca Annunziata

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Pubblicato il
29 giu 2010
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