P2P, affondo norvegese

P2P, affondo norvegese

Mistero svelato per un caso di file sharing sin qui tenuto segreto per volontà dell'accusa. Dai documenti legali emerge una vicenda tutta al negativo per il P2P e il provider coinvolto
Mistero svelato per un caso di file sharing sin qui tenuto segreto per volontà dell'accusa. Dai documenti legali emerge una vicenda tutta al negativo per il P2P e il provider coinvolto

Caso Max Manus , atto finale: la Corte Suprema norvegese ha reso nota la propria decisione in merito al destino giudiziario di un anonimo “camcorder”, colpevole secondo l’accusa – rappresentata dallo studio legale Simonsen e dal “cacciatore di pirati” Espen Tondel – di aver riversato per primo un rip artigianale del film sulle vicende della resistenza durante la Seconda Guerra Mondiale. E si tratta di una decisione niente affatto positiva se vista dalla prospettiva del file sharing e della privacy online.

La particolarità del caso Max Manus sta soprattutto nel segreto sulle varie sentenze voluto dallo studio Simonsen, che con la scusa del pericolo di inquinamento delle prove ha potuto portare avanti indisturbata la causa sino alla Corte Suprema. Ora che però la vicenda si è conclusa si viene a sapere che Simonsen aveva chiamato in causa il provider Altibox , chiedendo di conoscere l’identità nascosta dietro l’indirizzo IP che secondo gli investigatori dello studio legale era il responsabile originale della fuga della pellicola in rete.

Simonsen si era prima rivolta alla polizia ma la polizia non aveva fatto nulla per far procedere il caso e così gli avvocati avevano deciso di procedere per vie legali quantomeno per conoscere il soggetto da poter denunciare. La prima sentenza aveva dato ragione a Simonsen, obbligando Altibox a comunicare le informazioni personali richieste .

Anche il successivo appello di Altibox, dicono i documenti ora resi pubblici, ha finito per dare ragione ai legali dell’industria che ora possono festeggiare la vittoria completa dopo la decisione della Corte Suprema, ancora negativa nei confronti del provider che a questo punto dovrà fornire a Simonsen e al suo cliente tutti i dati che vogliono sul camcorder.

Altibox dice di non avere scelta se non di obbedire alla sentenza della Corte Suprema nel caso in oggetto, ma per quanto riguarda il futuro l’ISP continuerà a comportarsi come sempre vale a dire collaborando con le investigazioni di polizia dove richiesto e senza fornire informazioni indebite ai legali dell’industria dei contenuti.

Informazioni che nel caso Max Manus non forniscono una risposta ma solo l’ennesima domanda, visto che molto probabilmente all’indirizzo IP individuato da Simonsen non corrisponde l’ uploader originale del film ma solo uno dei tanti peer che lo hanno fatto rimbalzare in rete. Con toni venati da autentica minaccia, lo studio legale dice ora di avere finalmente l’opportunità di “perseguire le violazioni del copyright su Internet” e di non aver ancora deciso “quando” usarla in concreto.

Simonsen sostiene di essere a conoscenza degli IP e dell’attività nel tempo dei “grandi condivisori” presenti in Norvegia, anche se la posizione espressa da Altibox non lascia prevedere l’avvio di una campagna persecutoria contro i “pirati” locali nel futuro prossimo. E anche in quel caso, gli ISP coinvolti potrebbero sempre decidere di chiamare in causa l’Europa come ha fatto lo svedese Comhem in merito alla legge locale IPRED .

Alfonso Maruccia

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Pubblicato il 7 lug 2010
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