Internet chiama, l'Italia risponde?

Internet chiama, l'Italia risponde?

Come si muoveranno gli operatori nel cruciale passaggio alla fibra ottica? I piccoli provider si associano per investire, Telecom respinge alleanze nelle aree urbane. Manca ancora un piano comune
Come si muoveranno gli operatori nel cruciale passaggio alla fibra ottica? I piccoli provider si associano per investire, Telecom respinge alleanze nelle aree urbane. Manca ancora un piano comune

Un incontro tra operatori, aziende ed istituzioni, affinché l’Italia alzi al più presto la cruciale cornetta dell’innovazione. Questo l’obiettivo ultimo del recente convegno Internet Chiama Italia , organizzato a Roma dall’ Associazione Italiana Internet Provider (AIIP), a rappresentare gli interessi di circa 50 operatori (tra gli altri, Aruba, Tiscali e Unidata).

Un evento partito da una realtà preoccupante: l’Italia è ai primissimi posti nel settore della telefonia mobile, ma in fondo alle classifiche di Internet. Ultima negli ambiti del commercio elettronico – inteso come effettiva disponibilità delle varie aziende ad investire – nell’Europa a 15. Un primo mattone è stato posto da Paolo Nuti, chairman di AIIP: in Italia sarebbe doveroso investire per il broadband, in infrastrutture che aumentino la marginalità.

Anche perché diversi studi lo avrebbero ormai confermato: un’infrastruttura pervasiva in fibra ottica aumenterebbe il Prodotto Interno Lordo (PIL) nazionale dell’1,6/1,7 per cento . Ecco dunque il progetto presentato da AIIP, una società per azioni chiamata Fibra Ottica , risultato dell’adesione di 13 operatori medio piccoli , tra cui Unidata, Clio, Mc-Link e Maxfone.

Un gruppo aperto a nuovi attori, attualmente detentore di una quota pari al 2,5 per cento del mercato , con un fatturato complessivo pari a 70/80 milioni di euro . Una società non operativa, come spiegato a Punto Informatico dallo stesso Nuti. Fibra Ottica Spa (accorciabile in FOS, che richiama la parola “luce” in greco) avrà l’obiettivo di partecipare a progetti nazionali legati alle infrastrutture, come ad esempio quello annunciato da Wind, Vodafone e Fastweb ( Fibra per l’Italia ).

Un contenitore nel quale inglobare fondi e risorse – come sottolineato da Nuti – per poi andare a partecipare economicamente ad altre società deputate agli effettivi “scavi”. Investire in equity per ottenere successivamente dei vantaggi, in particolare dagli investimenti in unbundling. “Su 45 società presenti in AIIP – ha continuato il chairman – 15 hanno già investito in unbundling. Investito sulla propria pelle. E hanno visto che funziona”.

Investire, ma in quali progetti e soprattutto in quali aree del Belpaese? Nuti ha citato il progetto Trentino – realizzazione di una rete NGN che coprirà l’intera regione entro il 2016 – come uno dei più vicini alla trasformazione in realtà. “Tendenzialmente, AIIP è contenta di promuovere le aree locali. Qualcosa come adotta un comune da mille abitanti . Anche perché sono sicuro che in 4 o 5 anni i piccoli centri pretenderanno la fibra. Vorranno vedere la televisione”. AIIP ha dunque chiesto all’Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni (AgCom) di diramare al più presto una serie di regole tecniche chiare, sull’accesso, la transizione dal rame alla fibra, sulla condivisione delle infrastrutture. Regole che dovranno basarsi sulla recente Raccomandazione europea sulle reti di nuova generazione .

In linea con la digital agenda della UE si muoverebbe Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici, annunciando il suo progetto per l’Italia Digitale. Una serie di obiettivi da realizzare entro il 2013, tra cui quello relativo all’aumento del numero attuale di “famiglie digitali”, dal 45 all’80 per cento . Oltre ad una copertura di circa il 25 per cento del territorio con infrastrutture NGN a 100 Mbps .

Ma la vera sfida sembra risiedere nel settore business, dove solo il 67 per cento delle aziende italiane ha finora adottato servizi legati al broadband. Nell’Europa dei 15, il Belpaese risulta agli ultimi posti relativamente a quelle dimensioni di business che sfruttano le possibilità dell’ICT. Dati magri risultati per quanto concerne il telelavoro, la formazione a distanza, gli acquisti online.

Confindustria ha dipinto il suo quadro. Il 4 per cento delle attuali centrali è senza fibra e banda larga, un altro 4 per cento ha velocità inferiori a 1 megabit al secondo. Il totale così calcolato per il digital divide tricolore si assesta sul 9 per cento . Bisognerebbe allora cooperare sulle infrastrutture – e non sulle reti – per un futuro risparmio di 30 miliardi di euro all’anno sui costi di Pubblica Amministrazione, imprese e famiglie. Il tutto a fronte di un investimento iniziale calcolato sui 15 miliardi di euro .

Se per Confindustria “i conti tornano”, per Romano Righetti – deputy COO di Wind Telecomunicazioni – ci sarebbe bisogno di condividere gli investimenti iniziali per poi andare a competere singolarmente. Una “cooperazione competitiva” annunciata insieme al progetto Fibra Ottica per l’Italia , attualmente in attesa di conoscere le regole del gioco mutuate dalla raccomandazioni dell’Unione Europea.

Gli operatori così riuniti non vorranno permettere a Telecom Italia di imporre una sorta di veto, qualora il colosso delle TLC continui a rifiutare la sua partecipazione al progetto. La questione è tra le più delicate: trovare un’armonia regolamentata di investimento nella fibra tra pubblico e privato. A partire dall già noto interrogativo: dove dovrà o potrà intervenire lo Stato?

Secondo Giovanni Amendola, responsabile regolamentazione UE di Telecom Italia, non ci sarebbe alcun bisogno di intervento pubblico nelle aree urbane, dove si è già sviluppata una concorrenza (ad esempio da parte di Fastweb). Sarebbe pertanto inutile formare qui delle alleanze per la fibra. Il finanziamento statale costituirebbe inoltre una violazione delle norme europee sugli aiuti pubblici .

“Un euro dato a Roma è un euro tolto alla Calabria”. Così ha parlato Amendola, che ha invece suggerito d’investire nelle aree del digital divide , in quelle aree bianche (a fallimento di mercato) o in quelle grigie, dove permane la possibilità di sviluppo di una sola rete.

Non dello stesso avviso Bianca Maria Martinelli di Vodafone, che ha sottolineato come l’UE permetta il pubblico intervento in qualità di operatore privato anche nelle aree nere . Il modello di Vodafone consiste nella copertura in fibra ottica delle principali aree metropolitane, prima di passare al resto del territorio attraverso le connessioni mobile in banda larga.

Ma nella lotta al digital divide del Belpaese non bisognerebbe affatto sottovalutare un prezioso alleato, il wireless. Verso la fine del dibattito di Internet Chiama Italia si è inserita l’esperienza concreta della Provincia di Roma, rappresentata dal suo presidente Nicola Zingaretti. 403 hot spot finora attivati sul territorio – 500 annunciati entro la fine dell’anno – 64 comuni coperti e 40mila utenti registrati.

Questi i numeri presentati da Zingaretti, che ha inoltre annunciato la possibilità da parte di esercizi commerciali di fornire un contributo economico per entrare nel progetto “Provincia WiFi”. La Provincia di Roma ha dunque annunciato l’apertura entro due anni di 5 centri per l’innovazione , una sorta di scuole per l’alfabetizzazione digitale a disposizione di studenti, gruppi di ricerca e creativi.

Mauro Vecchio

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Pubblicato il
27 ott 2010
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