Equo compenso a norma UE

Equo compenso a norma UE

di G. Scorza - La SIAE risponde alla sentenza della Corte di Giustizia UE: siamo conformi, grazie a un sistema di esenzioni e rimborsi. Ma come funziona questo meccanismo?
di G. Scorza - La SIAE risponde alla sentenza della Corte di Giustizia UE: siamo conformi, grazie a un sistema di esenzioni e rimborsi. Ma come funziona questo meccanismo?

All’indomani della notizia della Sentenza con la quale la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha stabilito che gli Stati membri possono esigere il pagamento di un equo compenso per copia privata solo in relazione a tipologie di dispositivi e supporti effettivamente “destinati” – e non già semplicemente “idonei” – alla registrazione di copie private, la SIAE, attraverso una dichiarazione del suo direttore generale, Gaetano Blandini, si è affrettata a precisare che la normativa italiana sarebbe già coerente con la disciplina Europea.

Nella dichiarazione del DG SIAE, in particolare, si legge che “Circa la precisazione innovativa della Corte, e cioè la non conformità alle norme europee di una applicazione ‘indiscriminatà dell’equo compenso per copia privata, è da chiarire che sin dal 2003 – anno in cui è stata recepita in Italia la direttiva comunitaria – trova attuazione in Italia, in particolare nelle procedure della SIAE (ente pubblico al quale la legge demanda l’applicazione della normativa nazionale sulla copia privata), un sistema di esenzioni e rimborsi”.
La SIAE, dunque, sembra riconoscere la circostanza che l’attuale disciplina italiana in materia di equo compenso per copia privata prevede, a livello generale, un obbligo di pagamento di detto compenso anche in relazione a dispositivi e supporti per i quali – alla stregua della disciplina europea – esso non sarebbe dovuto ma pare ritenere che la conformità della disciplina nazionale (vale a dire il Decreto Bondi) alla normativa europea sia garantita dal “sistema di esenzioni e rimborsi” la cui gestione è, ex lege , demandata alla stessa SIAE.
Si tratta di una conclusione che non convince affatto.

Come, sebbene solo implicitamente, oggi ammesso dalla stessa SIAE, il Decreto Bondi, in effetti, impone l’obbligo di pagamento dell’equo compenso – salvo, appunto, eccezioni – anche in relazione a dispositivi e supporti tecnicamente idonei alla registrazione di copie private ma non anche a ciò “commercialmente” destinati: solo per fare un esempio l’attuale disciplina non sottrae dall’ambito di applicazione dell’equo compenso dispositivi e supporti acquistati da persone giuridiche e/o da professionisti per finalità estranee all’esecuzione della copia privata.
La possibilità, dunque, di considerare la vigente disciplina italiana conforme alla regolamentazione europea è legata esclusivamente alla possibilità di ritenere a ciò sufficiente il regime di esenzioni e rimborsi gestito, appunto, dalla SIAE.
Tale possibilità deve, tuttavia, essere esclusa.

Innanzitutto non ci si può sottrarre dal rilevare la straordinaria anomalia di una disciplina che affida il compito di ricondurre l’ambito di operatività dell’obbligo di pagamento dell’equo compenso alla disciplina europea, ad un soggetto – appunto la SIAE – portatore di un autonomo benché legittimo interesse alla raccolta dell’equo compenso nella misura più elevata possibile in ragione delle provvigioni ad essa spettanti.
È come prevedere per legge che tutti i cittadini siano tenuti al pagamento di una certa imposta e demandare poi all’ente di riscossione – al quale spetta ex lege una provvigione sui tributi effettivamente riscossi – l’individuazione delle ipotesi di esenzione dall’obbligo di pagamento per talune categorie di soggetti, senza peraltro preoccuparsi di ancorare la discrezionalità dell’Ente di riscossione a specifici e stringenti parametri.

Il “personale” e rilevante interesse della SIAE ad un “buon raccolto” dell’equo compenso, d’altro canto, emerge – ammesso che siano necessarie ulteriori conferme – dalla lettura della relazione al Bilancio 2009 nella quale, a proposito del varo del Decreto Bondi, si legge “Tale provvedimento potrà apportare nuovi e rilevanti incassi a tutti gli aventi diritto e costituisce il coronamento di una intensa attività degli Uffici della Società che hanno svolto un ruolo propositivo in fase di elaborazione della proposta vagliata dal Ministero nel mese di gennaio 2009”.
Più chiaro di così non si può: gli amministratori dell’Ente, giustamente – dal loro punto di vista – si rallegrano dell’approvazione di una disciplina che porterà nelle proprie casse maggiori ricavi rispetto al precedente esercizio.

La SIAE, dunque, si trova in una posizione di palese conflitto di interessi essendo chiamata dalla vigente disciplina ad individuare ipotesi suscettibili di comprimere i propri ricavi.
Già sotto tale profilo, pertanto, appare difficile – senza voler neppure per un istante dubitare della serietà e rigore dell’Ente di Viale della Letteratura – ritenere la disciplina italiana conforme all’Ordinamento Europeo: in assenza di adeguati interventi da parte di SIAE, infatti, il Decreto Bondi si pone in aperto contrasto con i principi stabiliti dal diritto europeo ed ora interpretati dalla Corte di Giustizia.
Tale conflitto, tuttavia, da potenziale diviene concreto se si guarda all’attuale assetto della disciplina della materia così come integrata dall’azione della SIAE.

Cominciamo dalla pratica dei rimborsi.
Considerato che la vigente disciplina impone l’obbligo di pagamento dell’equo compenso in un novero di ipotesi nelle quali esso non potrebbe essere preteso alla stregua della disciplina europea nonché, a ben vedere, in forza della stessa legge italiana sul diritto d’autore, la SIAE ogni anno incassa, a titolo proprio di equo compenso, milioni di euro in più rispetto a quelli dovuti.
Si tratta di milioni e milioni di euro che dovrebbero, evidentemente, essere rimborsati ai produttori, importatori o distributori che li hanno indebitamente versati, non potendo sottrarsi a tale obbligo.
Al solo scopo di dare un’idea della consistenza dei numeri dei quali si parla, dal bilancio SIAE relativo all’esercizio 2009 risulta un appostamento di oltre 3 milioni di euro, classificato così dalla stessa SIAE: “suscettibili di restituzione agli utilizzatori nel caso in cui dovesse essere richiesto il rimborso del compenso, nelle ipotesi previste dalla normativa vigente”.

Spesso, di tali importi, non viene neppure richiesto il rimborso o in ragione della complessità della relativa procedura o, più semplicemente, perché i soggetti che hanno proceduto al loro versamento hanno frattanto provveduto a riaddebitarlo a valle, magari ai consumatori finali.
Sembra evidente che la pratica dei rimborsi non è idonea – né sotto il profilo teorico né sotto quello pratico-operativo – a riallineare alla disciplina europea una disciplina, come quella italiana, che ha appunto esteso i presupposti impositivi dell’equo compenso ben al di là dei limiti delineati dal legislatore UE.

E veniamo ora alle esenzioni sin qui “approvate” dalla SIAE.
Sul sito della SIAE ne sono indicate solo quattro: (a) Consolle di videogiochi con hard disk interno, (b) Apparecchi di registrazione e supporti vergini spediti verso altri paesi dell’Unione Europea o esportati verso paesi terzi, (c) Supporti vergini di fatto inidonei alla “copia privata”, (d) Supporti vergini acquistati da imprese di duplicazione.
Se si eccettuano le ipotesi sub (b) e (c), in relazione alle quali, in realtà, la non esigenza di versare un equo compenso per copia privata sembra derivare direttamente dalla vigente disciplina, le uniche due ipotesi nelle quali, allo stato, la SIAE ha “concesso” un’esenzione sono davvero modeste, rispetto alla portata della recente Sentenza della Corte di Giustizia che esige che non sia preteso alcun equo compenso per copia privata ogniqualvolta il dispositivo o il supporto siano destinati a persone giuridiche o, comunque, ad un’utenza business e, in ogni caso, non destinate alla registrazione di copie private.

È pertanto urgente – e pur senza voler alimentare contrapposizioni o tensioni non ci si può sottrarre dal rilevarlo – che il Ministero dei beni e delle Attività culturali convochi il tavolo tecnico di cui al recente Regolamento sull’equo compenso per rivedere in modo incisivo e determinante la disciplina della materia.
Al tavolo, peraltro, andranno chiamati a sedere anche i consumatori che, nell’ultimo anno, si sono fatti carico di rilevanti quote di equo compenso, probabilmente non dovute.

Frattanto, tocca alle diverse associazioni di categoria ed alle imprese assoggettate, indebitamente, all’obbligo di corresponsione di compensi per copia privata, richiedere a SIAE di adottare, senza ritardo, misure e protocolli idonei a sottrarli ab origine dall’obbligo di pagamento dell’equo compenso senza imporre loro, l’onere di passare per le forche caudine delle procedure di rimborso.
Egualmente è difficile dubitare della circostanza che chi ha sin qui versato un equo compenso per copia privata a fronte della commercializzazione di una tipologia di dispositivo o supporto, tecnicamente idonea alla registrazione di tale genere di copia ma a ciò non effettivamente destinata, sia legittimato ad esigere dall’ente di riscossione il rimborso di quanto non avrebbe mai dovuto versare.

Il tema è particolarmente delicato, perché gli interessi in gioco sono davvero rilevanti e si discute di decine e decine di milioni di euro all’anno dragati – legittimamente o illegittimamente – da taluni comparti industriali e dai consumatori, a vantaggio dell’industria audiovisiva.
Occorre, pertanto, affrontarlo con particolare cautela, all’unico fine di promuovere una riflessione ampia ed approfondita che, evidentemente, non può essere liquidata con un’apodittica dichiarazione secondo la quale la vigente disciplina sarebbe coerente con quella europea.

Guido Scorza
Presidente Istituto per le politiche dell’innovazione
www.guidoscorza.it

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Pubblicato il 2 nov 2010
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