UK: i link vanno pagati

UK: i link vanno pagati

Un tribunale britannico vuole far pagare i servizi di aggregazione di news destinati alle aziende. Un contributo per frugare e raccogliere le notizie altrui
Un tribunale britannico vuole far pagare i servizi di aggregazione di news destinati alle aziende. Un contributo per frugare e raccogliere le notizie altrui

L’Alta Corte di giustizia britannica ha emesso una sentenza di prima istanza che rischia di avere non lievi conseguenze sul Web: ha accolto le richiesta di un’associazione di editori per cui operatori e clienti di servizi di monitoraggio di notizie digitali a pagamento devono pagare i giornali in cambio del crawling delle loro storie. Per ogni link portato all’attenzione dei loro clienti, cioè, aggregatori e responsabili di rassegne stampa digitali devono pagare.

Il caso era stato portato all’attenzione del Tribunale dagli editori britannici di Newspaper Licesing Agency ( NLA ), un gruppo fondato dagli otto maggiori editori di giornali britannici, con una denuncia contro l’agenzia di pubbliche relazioni Meltwater che offre servizi a pagamento con cui invia ai clienti avvisi con gli indirizzi delle notizie online che nominano aziende e argomenti per loro interessanti.

Passa dunque il principio per cui i servizi di monitoraggio news a pagamento (e non quindi Google News che è gratuito) dovrebbero pagare per il privilegio di riportare (linkando) le notizie: ciò sarebbe equiparato alla copia sostanziale della storia riportata. Il giudice non sembra infatti fare distinzione fra contenuto copiato e contenuto linkato.

La decisione dell’Alta Corte coincide con la strategia di NLA, che da tempo persegue la possibilità di creare due nuovi tipi di licenza: una da imporre agli aggregatoti a pagamento, l’altra ai clienti di questi. Negli ultimi mesi le ha redatte e ha chiesto agli aggregatori di sottoscriverle entro il primo gennaio , giorno dell’entrata in vigore: in base alla nuova licenza dovuta per il link gli aggregatori dovrebbero pagare circa il 10 per cento dei propri profitti (per un prezzo unitario di partenza di circa 5 pence ad articolo).

“Creare contenuti per il Web è un investimento sostanziale – dice David Pugh di NLA – per cui è solo giusto che gli editori possano chiedere una quota a coloro che ne traggono profitto”.

Diverso il discorso per Meltwater: “Crediamo fermamente che si sia raggiunta un’interpretazione spagliata della legge e che l’Alta Corte abbia sottovalutato i principi basilari del nostro operato e dell’utilizzo di Internet”. E, per questo, ricorrerà in appello . L’agenzia si sta peraltro dimostrando agguerrita: in parallelo alla denuncia di NLA ha trascinato lei stessa l’NLA davanti al tribunale del diritto d’autore britannico e ha dato il via alla campagna Right2Link che cerca di separare le questioni della tutela del diritto d’autore online e del rispetto del diritto al link e alla libera circolazione dei contenuti.

Infatti, secondo il servizio di monitoraggio, la sentenza avrebbe gravi conseguenze sul Web in quanto escluderebbe la libera consultazione di materiale disponibile online senza un’esplicita licenza da parte del proprietario.

Ulteriori aspetti difficilmente digeribili della sentenza, inoltre, sono la licenza che si vorrebbe imporre ai clienti degli aggregatori di notizie in cambio della possibilità di ricevere le email con i link delle news disponibili online cui sono interessati e la considerazione stessa della tutela dei titoli degli articoli : secondo Meltwater il semplice utilizzo per fini bibliografici (come nel caso delle notifiche inoltrate ai clienti dei servizi di monitoraggio) non dovrebbe, a differenza di quanto deciso dal giudice , costituire violazione del diritto d’autore.

Intanto New International e Mail Online hanno già bloccato il crawling di Maltwater e l’entrata in vigore delle licenze ora prescritte da NLA si avvicina.

Claudio Tamburrino

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Pubblicato il
30 nov 2010
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