Agcom, YouTube e TV pari sono

Agcom, YouTube e TV pari sono

Anche i video amatoriali finiscono nel calderone della radiotelevisione, almeno secondo l'Authority. Ma Google si potrebbe sfilare grazie alla filiale con sede in Irlanda. Un quadro complesso, una norma da interpretare
Anche i video amatoriali finiscono nel calderone della radiotelevisione, almeno secondo l'Authority. Ma Google si potrebbe sfilare grazie alla filiale con sede in Irlanda. Un quadro complesso, una norma da interpretare

Più realisti del re, i commissari Agcom hanno varato allo scadere del 2010 le proprie norme che interpretano in maniera molto rigida il mandato dall’allora viceministro Romani in materia di regolamentazione dei video online e delle web-radio: equiparando, di fatto, i portali che aggregano il materiale prodotto dagli utenti (UGC, user generated content) ai palinsesti delle TV tradizionali . Con l’unico distinguo del fatturato, fissato ad almeno 100mila euro. Ma, tra eccezioni e obblighi, la norma è scivolosa.

La notizia dell’approvazione dei regolamenti risale a fine novembre : allora si era compresa la portata delle risoluzioni dell’Authority, che però sembrava escludere in ogni caso YouTube e affini dalle estensioni di obblighi e regolamenti tipici delle TV (responsabilità editoriale, rettifica, palinsesti con fascia protetta per i minori ecc). La pubblicazione delle due delibere ( 606 e 607 ), avvenuta il 28 dicembre, propone però un quadro diverso: chi produce introiti superiori ai 100mila euro (cifra tutto sommato modesta), mette in onda più di 24 ore di programmi ogni 7 giorni , o “nel caso in cui sussistano, in capo ai soggetti che provvedono all’aggregazione dei contenuti medesimi, sia la responsabilità editoriale, in qualsiasi modo esercitata, sia uno sfruttamento economico”, rientra nella definizione di servizio audiovisivo che necessita di autorizzazione.

Ovvero, nonostante il testo del Decreto Romani sui servizi media escludesse “i servizi consistenti nella fornitura o distribuzione di contenuti audiovisivi generati da utenti privati a fini di condivisione o di scambio nell’ambito di comunità di interesse”, mettendo di fatto in salvo l’UGC, la delibera Agcom fa rientrare dalla finestra queste fattispecie. Senza contare che, se venisse confermata questa interpretazione, nascerebbero alcuni quesiti su come attuare queste norme a palinsesti non lineari (o inesistenti) tipici del video-on-demand : come impedire che YouTube o DailyMotion eroghino un video vietato ai minori nelle fasce protette vista la loro natura di juke-box automatico? Quale sarebbe il fuso orario da applicare, visto che taluni server che ospitano il materiale potrebbero risiedere all’estero?

In ogni caso, blogger e videomaker amatoriali sarebbero esclusi da questi obblighi : non vengono ritenuti servizio di media audiovisivo “i servizi prestati nell’esercizio di attività precipuamente non economiche e che non sono in concorrenza con la radiodiffusione televisiva, quali i siti internet privati e i servizi consistenti nella fornitura o distribuzione di contenuti audiovisivi generati da utenti privati a fine di condivisione o di scambio nell’ambito di comunità di interesse”. Ovvero, un qualunque sito che invece abbia un contenuto selezionato editorialmente (anche se prodotto da utenti con metodo UGC), e che produca fatturato a scopo di lucro superiore a 100mila euro, è a tutti gli effetti un servizio di media audiovisivo che necessita di autorizzazione.

La norma, tuttavia, qualche tipo di scappatoia sembra lasciarla: viene contemplato, espressamente, il concetto di country of origin . Se un sito appartiene a una società che ha sede e opera all’estero non dovrebbe richiedere alcuna autorizzazione per iniziare le trasmissioni. YouTube, che opera dall’Irlanda, e DailyMotion, che opera dalla Francia, sarebbero due esempi di siti “graziati” da questo codicillo, e che sarebbero tenuti a rispettare le regole (se presenti) della nazione a cui fanno riferimento: regole che potrebbero essere molto differenti, o che potrebbero convergere verso un quadro comune di riferimento.

Salvi i blogger e i videoblogger, resta dunque da chiarire l’exploit di Agcom: l’Authority è debitrice di un regolamento attuativo paventato nelle delibere, che probabilmente chiarirà ulteriormente la questione. Anche visto che, allo stato dei fatti , le radio su web sembrerebbero soggette al regolamento, i podcast no: si tratta insomma di dirimere tutti i nodi di una disposizione complessa e al momento ambigua.

Luca Annunziata

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Pubblicato il
3 gen 2011
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