YouTube e la chiave del suo successo

YouTube e la chiave del suo successo

Secondo BigChampagne i proventi del Tubo deriverebbero da poche fortunatissime hit. Un'occasione per dibattere del fluire dello streaming in relazione con le vendite
Secondo BigChampagne i proventi del Tubo deriverebbero da poche fortunatissime hit. Un'occasione per dibattere del fluire dello streaming in relazione con le vendite

“La maggior parte dei proventi di YouTube arriva da una manciata di canzoni”: è quanto affermato da Eric Garland, CEO di BigChampagne, azienda che si occupa di effettuare misurazioni e di elaborare dati per l’industria dell’intrattenimento.

Durante una presentazione nel corso del Digital Music Forum East di New York, Garland ha espresso le proprie dichiarazioni mostrando una serie di hit che, a suo parere, decreterebbero il successo economico del sito. “Una manciata di canzoni sta ricevendo la maggior parte dell’attenzione”, afferma il manager.

Per supportare la propria conclusione, Garland sostiene che la discesa della curva che descrive gli ascoltatori connessi sul Tubo è stata più intensa rispetto alle attuali vendite registrate su piattaforme quali iTunes, dato che, secondo il CEO, suggerisce una relazione perversa tra lo stream e il download. “Le persone ascoltano ciò che non vogliono acquistare e acquistano ciò che non vogliono ascoltare” asserisce Garland. Secondo BigChampagne mille visualizzazioni si traducono, generalmente, in un dollaro di guadagno.

L’appuntamento di New York si è particolarmente concentrato sui servizi di streaming online come Pandora, MySpace, Spotify e YouTube. Gli utenti, secondo Garland, utilizzerebbero il Tubo come piattaforma di ascolto . “Abbiamo dato ai consumatori una straordinaria varietà di opzioni per ottenere musica gratuitamente, da cui certamente ricavano vantaggio” aggiunge Russ Crupnick, presidente di NPD.

I netizen ascoltano più musica di prima, ma pagherebbero meno per fruire di tale servizio , sostiene Crupnick. Lo streaming gratuito, dunque, avrebbe sostanzialmente sostituito la pirateria , diventando il maggior responsabile delle perdite economiche registrate dall’industria discografica.

Secondo i dati forniti da Crupnick, l’utente medio ha ascoltato 19,7 ore di musica a settimana nel 2010, rispetto alle 18,5 ore del 2009. Ma, allo stesso tempo, ha speso meno soldi. Nel 2010, continua il manager, soltanto il 50 per cento dei consumatori ha speso denaro in musica attraverso l’acquisto di CD o scaricando tracce a pagamento: una percentuale che sarebbe diminuita del 70 per cento rispetto al 2006.

Cristina Sciannamblo

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Pubblicato il
2 mar 2011
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