Fusione fredda, Uppsala chiama Bologna

Fusione fredda, Uppsala chiama Bologna

La "fusione fredda alla bolognese" fa proseliti tra gli accademici svedesi, che parlano di un fenomeno complesso da approfondire. Un'apertura che promette bene, ma la strada per la comprensione dell'E-cat è ancora lunga
La "fusione fredda alla bolognese" fa proseliti tra gli accademici svedesi, che parlano di un fenomeno complesso da approfondire. Un'apertura che promette bene, ma la strada per la comprensione dell'E-cat è ancora lunga

La presunta fusione fredda sperimentata da due ricercatori dell’Università di Bologna continua a far discutere il mondo scientifico, ma almeno questa volta le critiche e lo scetticismo lasciano il posto a un’ampia apertura di credito da parte di due studiosi svedesi. Che ammettono: nel “catalizzatore energetico” bolognese una qualche reazione c’è indubbiamente stata , ma il fenomeno è complesso e va studiato più a fondo.

I due studiosi svedesi sono Hanno Essén, professore associato di fisica teorica e conferenziere presso lo Swedish Royal Institute of Technology , e il professore emerito – oltreché presidente del Comitato energetico della Regia Accademia Svedese delle Scienze – presso la Uppsala University Sven Kullander. Entrambi hanno fatto parte del ristretto gruppo di spettatori, testimoni e “tester” della dimostrazione tecnica organizzata a Bologna lo scorso gennaio.

Durante quella dimostrazione, il catalizzatore “E-cat” realizzato da Andrea Rossi e dal suo advisor scientifico il professor Sergio Focardi aveva prodotto rame come elemento di scarto di una reazione tra atomi di idrogeno e nichel, con una produzione di energia elettrica – ottenuta convertendo l’energia termica generata dal dispositivo-prototipo – 100 volte superiore a quella impiegata per l’alimentazione .

Nel rapporto seguito al loro “giro di prova” in quel di Bologna, Essén e Kullander ammettono: “È da escludere qualsiasi processo chimico per la produzione di 25 kWh da qualunque cosa sia presente in contenitore di 50 centimetri cubi. L’unica spiegazione alternative è che ci sia un qualche tipo di processo nucleare che da origine alla produzione di energia misurata”.

Eccitati dal processo elettrolitico messo in moto con l’alimentazione tramite corrente elettrica, gli atomi di idrogeno entrano in contatto con quelli di nichel fondendosi con essi e producendo in conseguenza energia termica assieme allo “scarto” di rame. Il credito che il fisico teorico Hanno Essén apre nei confronti del lavoro della coppia Rossi-Focardi è particolarmente importante, visto che proprio la difficoltà nel descrivere in via teorica il processo di fusione nichel-idrogeno ha trasformato i due ricercatori italiani in veri e propri “eretici” all’interno della comunica scientifica internazionale .

E mentre Focardi abbozza una descrizione del processo di fusione che continua a non spiegare la fase cruciale dell’unione tra atomi di nichel e idrogeno, Essén e Kullander avanzano l’ipotesi di nuovi studi e partnership con l’Università di Bologna per risolvere l’arcano: la teoria abbozzata dai ricercatori svedesi dice che all’interno del misterioso catalizzatore energetico italiano si nasconda una commistione di fisica atomica, molecolare, nucleare e dei plasmi. Nulla, per quanto complesso, che non possa essere spiegato con le attuali leggi matematiche.

La mancanza di informazioni precise sulla struttura interna del reattore E-cat, a ogni modo, al momento resta l’ostacolo principale a una più ampia dissertazione sulle qualità della scoperta (se tale la si considera). Rossi ha promesso maggiori informazioni quando le sue partnership commerciali, avviate in Grecia, avranno raggiunto uno stadio di maturazione definitivo.

Alfonso Maruccia

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Pubblicato il
11 apr 2011
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