Dibattiti/ Diritto d'autore e copia privata

Dibattiti/ Diritto d'autore e copia privata

Dopo la pubblicazione di un recente approfondimento su arte, copia, copyright e diritto d'autore presentiamo la replica di Dirittodautore.it e l'ulteriore commento dell'autore dell'articolo
Dopo la pubblicazione di un recente approfondimento su arte, copia, copyright e diritto d'autore presentiamo la replica di Dirittodautore.it e l'ulteriore commento dell'autore dell'articolo


Roma – Riceviamo e volentieri pubblichiamo una replica di Dirittodautore.it al recente articolo Beccaria e il diritto d’autore nell’era digitale , seguìta, in seconda pagina, da una risposta dell’autore dell’articolo stesso.

Caro Paolo, ancora una volta mi trovo a scontrarmi, con grande dispiacere, con la superficialità delle persone che visitano, appunto superficialmente il nostro portale, e lo considerano una emanazione della S.I.A.E., di F.I.M.I., B.S.A. o quant’altro. Mi riferisco alle parole di Michele Favara Pedarsi, nell’articolo intitolato Beccaria e il diritto d’autore nell’era digitale pubblicato su Punto Informatico. L’autore scrive:
“Andrebbero prima di tutto chiariti posizione e diritti (non privilegi) della SIAE, dell’IFPI, della FIMI, della BSA, della RIAA, della MPAA, di tutte, tante, troppe, altre associazioni analoghe e di tutti gli outsider come dirittodautore.it che in genere si trovano allineati con esse trascurando ancora una volta le necessità degli individui, ovvero i fruitori delle opere d’arte.”

I ruoli della SIAE, dell’IFPI, della FIMI e delle altre associazioni (e, per l’Italia, aggiungerei IMAIE, SCF, AFI e tutti i sindacati di autori) sono molto chiari, basterebbe studiare un pochino di più la nostra legge sul diritto di autore per quanto riguarda le collecting societies, leggere la parte manualistica del nostro sito e gli approfondimenti che pubblichiamo nei nostri Quaderni, o leggere quanto pubblicato nei siti delle singole associazioni.

Il ruolo di Dirittodautore.it dovrebbe essere anch’esso molto chiaro: ma, a questo punto, ritengo che sia colpa nostra se il messaggio non viene recepito dai nostri lettori.

Dirittodautore.it è un’associazione indipendente che ritiene che il diritto di autore sia essenziale per la crescita culturale del nostro paese. Siamo convinti che pochi abbiano una reale percezione, o comprensione della materia. Nell’assenza delle istituzioni tradizionali (come la SIAE, per esempio), ci siamo rivendicati il difficile ruolo di far conoscere tale materia che tanta importanza sta rivestendo anche nel mondo digitale. Partendo dagli autori, per arrivare all’uomo comune che oggi si scontra, mal volentieri, con leggi che non capisce.

Lo facciamo innanzitutto facendo informazione quotidiana sulla materia, facendo formazione (vedi i nostri seminari), e monitorando l’evoluzione sociale e normativa della materia.

Viviamo esclusivamente tramite le quote sociali e i servizi che eroghiamo, e tutto viene investito nelle finalità dell’associazione. Tutti i collaboratori partecipano a base volontaria.

E chi la fortuna/sfortuna (sono abbastanza logorroico sulla materia, mi lascio sempre trascinare dalla passione?) di assistere ai miei seminari sul diritto d’autore, sa che introduco sempre la materia dicendo che il diritto d’autore regola i rapporti tra autori/artisti, industria culturale e consumatore, che questi, ben regolati nel 1941, anno di pubblicazione della nostra legge, ora non lo sono più, perché troppo sbilanciati verso tutti i soggetti interessati, tranne che l’autore, che dovrebbe essere al centro di tutto. Senza autore che produce, e che trae un ricavo economico dalla sua attività, per poter continuare a produrre, non avremmo (per rimanere in campo musicale): società di gestione collettiva (come la SIAE per gli autori o l’IMAIE per gli interpreti/esecutori), produttori artistici, editori musicali, produttori discografici, musicisti che eseguono l’opera, una fiorente industria di supporti vergini, e così via.

Per rispondere a Favara Pedarsi, lo invito a leggere la feroce critica sul regolamento elettorale SIAE . Lo invito a leggere le esortazioni agli autori (non agli editori, loro hanno avuto il 100% di affluenza) per andare a votare per le elezioni SIAE:
http://www.dirittodautore.it/news.asp?IDNews=1527
http://www.dirittodautore.it/news.asp?IDNews=1521
http://www.dirittodautore.it/news.asp?IDNews=1518
http://www.dirittodautore.it/news.asp?IDNews=1515 ,
al fine di far sentire la propria voce, lo invito a leggere il numero dei Quaderni contenente uno scritto contro il brevetto di software scritto da esponenti della Free Software Foundation Europe (che mi risultino non andare proprio a braccetto con BSA? http://www.dirittodautore.it/quaderni.asp?mode=4&QNum=(3) ). E così via. Non voglio dilungarmi oltre.

Il nostro portale è un contenitore, che raccoglie ciò che succede nel diritto di autore, cerca di farlo in maniera imparziale, e si scalda quando qualcuno cerca di comunicare le sue (false) verità in questo particolare mondo.
Mi chiedo come faccia a dire che siamo allineati? A che cosa? Al fatto che chi produce un’opera dell’ingegno debba essere tutelato? Allora si, siamo allineati.

Al Favara Pedarsi, che mischia pirateria e copia privata (come anche a taluni alti rappresentanti dell’industria musicale, per esempio), consiglio di leggere, tra i tanti illustri autori, quanto scritto da Paolo Spada (Ordinario di Diritto Commerciale nell’Università La Sapienza di Roma) nel suo articolo intitolato “Copia privata ed opere sotto chiave” e pubblicato nel n. 6/2002 de “La rivista di diritto industriale (Giuffrè). L’autore dice:
“È vero che copia privata e pirateria non hanno, tra di loro, nulla, ma proprio nulla a che fare. Pirateria è un termine enfatico con il quale si allude all’impresa di riproduzione e distribuzione di esemplari di opere protette senza il consenso degli aventi diritto; ad un’impresa illecita, perché il suo equilibrio economico riposa sulla trasgressione dei diritti esclusivi degli autori (come degli interpreti e dei produttori tutelati dalla legge). Anzi: pirateria è termine che si adotta piuttosto per designare il fenomeno macroeconomico della contraffazione organizzata (fenomeno che, addirittura, connota l’economia di certi Paesi e che alligna in molte zone d’Italia) che non quello (micro) della singola impresa illecita.
La copia privata, all’opposto, non ha nulla della intermediazione imprenditoriale nella riproduzione e nella distribuzione. È un fenomeno di riproduzione non intermediata (fatta da sé) funzionale all’autoconsumo dell’esemplare che dalla riproduzione risulta. Sicché non merita né è conoscitivamente utile che la si associa alla pirateria, neppure se il sostantivo fosse accompagnato da un rasserenate aggettivo come: domestica”.

Al Favara Pedarsi consiglierei di studiarsi la materia: alla frase “i reali e soli detentori del diritto d’autore, gli artisti” gli rispondo che i reali e soli detentori del diritto d’autore sono gli autori (che in genere non lo sanno?), mentre gli artisti sono titolari di un diritto connesso.

E ancora:
“Non era sufficiente applicare le leggi già esistenti secondo le quali un uso che genera profitto, di materiale protetto dal diritto d’autore, è comprensibilmente punibile?”
Punto Informatico stesso ha pubblicato un articolo di Daniele Minotti sull’argomento qualche giorno fa: mi chiedo se il Favara Pedarsi l’abbia letto. Daniele dice chiaramente, tra l’altro: “il decreto legislativo (non legge) 9 aprile 2003, n. 68 entrato in vigore il successivo 29 aprile, non ha spostato di una virgola il possibile trattamento penale da riservare al fenomeno del P2P”,
Scrive Favara Pedarsi:
“L’illuminato C. Beccaria ci dice che la prima cosa importante, oggi data per scontata da molti, è di avere leggi chiare, perché leggi oscure sono il focolaio di interpretazioni variegate inevitabilmente arbitrarie e cause prime di abusi. Ma i già grandi dubbi sulla SIAE, uniti alla nuova gabella che si configura come pena, pena delineata in maniera arbitraria, applicata a tutti ed indipendentemente dall’uso che si faccia del dispositivo, e senza sapere quali saranno i beneficiari degli oneri sostenuti dai consumatori, rendono tutta la questione più che oscura”.
Oscura per l’autore che pare non legga tutto quanto abbiamo pubblicato noi sull’argomento, non ha letto l’art. 71-octies della legge sul diritto d’autore, introdotto dal decreto di recepimento della direttiva 2001/29/CE 9 aprile 2003, n. 68 (glielo riporto per comodità: 1. Il compenso di cui all’art 71-septies per apparecchi e supporti di registrazione audio è corrisposto alla Società Italiana degli Autori e Editori (S.I.A.E.), la quale provvede a ripartirlo al netto delle spese, per il cinquanta per cento agli autori e loro aventi causa e per il cinquanta per cento ai produttori di fonogrammi, anche tramite le loro associazioni di categoria maggiormente rappresentative. 2. I produttori di fonogrammi devono corrispondere il cinquanta per cento del compenso loro attribuito ai sensi del comma 1 agli artisti interpreti o esecutori interessati. 3. Il compenso di cui all’art. 71-septies per gli apparecchi e i supporti di registrazione video è corrisposto alla Società Italiana degli Autori e Editori (S.I.A.E.), la quale provvede a ripartirlo al netto delle spese, anche tramite le loro associazioni di categoria maggiormente rappresentative, per il trenta per cento agli autori, e per il restante settanta per cento in parti uguali tra i produttori originari di opere audiovisive, i produttori di videogrammi e gli artisti interpreti ed esecutori. La quota spettante agli artisti, interpreti o esecutori è destinata per il cinquanta per cento alle attività e finalità di cui all’art. 7, comma 2 della legge 5 febbraio 1992 n. 93 .), non ha letto la Relazione Ministeriale su tale decreto (noi l’abbiamo pubblicata?), che spende una pagina e mezzo sul compenso per copia privata, spiegando che il compenso è stato abbattuto del 50% proprio tenendo conto delle utilizzazioni differenti

Continua il Favara Pedarsi:
“La pena non è certa per i fabbricanti di copie illegali che continuano la loro produzione (omissis) ” e così via. La pena è certa sulla carta, forse non è certa nella sua applicazione. Diciamolo.
E ancora:
“Oggi infatti buona parte della musica che viene prodotta è frutto di un processo industriale. Si inizia con psicologi che studiano i fenomeni di successo e la società, ed in base ai tratti fondamentali delineati da questi professionisti, si selezionano le persone che dovranno apparire in pubblico”.
E vero che talvolta succede questo. Ma il Favara Pedarsi è un musicista? Un autore? Io lo sono da quando sono nato, suono diversi strumenti musicali, frequento tale mondo da quando avevo 16 anni, mi sono fatto cantine, locali, grandi palchi, in Italia e all’estero, sono consigliere giuridico del maggiore sindacato italiano degli autori, e mi risulta che ancora autori e musicisti fanno musica per esprimere e trasmettere i loro sentimenti e le loro emozioni. Nel bene e nel male, perché nessuno deve essere limitato nella sua creatività, e perché poi dovrebbe (e spero che sia sempre così) essere il pubblico a scegliere e a fare la fortuna di un autore. È sì cambiato il modo di fare musica (esiste il computer, è comodissimo, perché allora non usarlo), ma credo ancora che il prodotto musicale che vince sia basato sull’emozione personale degli autori. Qui aggiungo: se un CD non piace, allora perché comprarlo, o distribuirlo sulle reti P2P? Se noi pubblico dobbiamo indirizzare, con le nostre scelte di acquisto, le case discografiche, facciamolo.
È vero che “le vendite calano perché il consumatore non acquista un compact disc posticcio” e che l’industria musicale molte volte replica se stessa: “se consideriamo la musica un pezzo d’arte, un’opera d’ingegno, un qualcosa quindi da tutelare con il diritto d’autore, dobbiamo punire chi crea musica contraffatta con un processo industriale oltre a chi, con un processo analogo, crea contraffazioni dei pezzi d’autore”
Il Favara Pedarsi salta però un passaggio, fondamentale: se le case discografiche “di cui il mondo non ha più assoluta necessità” scomparissero, chi si occuperebbe di portare le opere create dagli autori al pubblico? Un altro soggetto che chiameremo con un altro nome (ormai casa discografica è sinonimo del male), ma che fa lo stesso lavoro delle case discografiche?

L’autore fa l’autore, e non l’imprenditore di se stesso: infatti il suo ruolo, usando le parole del Favara Pedarsi, è quello di utilizzare “il sentimento, l’estro, l’ispirazione che muove la sensibilità dell’artista, la naturale interazione tra i componenti di un gruppo, l’amore per il proprio strumento, le ore davanti ad un foglio bianco, ovvero quegli elementi che rendono il prodotto un pezzo d’arte da salvaguardare.” E il tempo poi per: realizzare l’arrangiamento che valorizzi al meglio il proprio brano, scegliere i musicisti, portarli in studio di registrazione, fare il mastering, scegliere il duplicatore dei CD, il grafico per le copertine, lo studio fotografico per le foto, il distributore (da qualche parte il CD dovrà essere pure in vendita), e poi cercare di far conoscere la sua opera al pubblico? Tutte queste cose tra l’altro, chi gliele paga? Avete mai sentito di banche che finanzino agli autori la produzione di CD musicali?
E se l’autore è pure artista (e le due figure non sempre coincidono) aggiungiamo i concerti, le apparizioni in radio e televisione, ecc.
Produrre un CD musicale di otto brani, di buon livello qualitativo, non costa 1 euro a CD. E Internet, per la distribuzione e per farsi conoscere, purtroppo non basta.
La morte della casa discografica non è la soluzione: questa è nella sensibilizzazione degli autori, che non devono più sottostare al ricatto della cessione di tutti i diritti di utilizzazione economica sulle opere per tutta la durata del diritto (70 anni dopo la morte dell’autore) per poter concludere un contratto (il Favara Pedarsi sa che cosa è un contratto di edizione musicale? Credo di no, perché di solito non lo sanno neanche gli autori interessati?), ma dovrebbero essere in grado di rientrarne in possesso, di questi diritti, dopo un periodo di tempo limitato.
La conoscenza dei propri diritti fornisce gli strumenti per poter farli valere. Ed è quello che stiamo cercando di fare noi di Dirittodautore.it, con molta fatica.
E allora perché non proporre la durata limitata della cessione dei diritti di utilizzazione economica delle opere musicali (come avviene per il contratto di edizione per le stampe, massimo 20 anni: art. 122 legge sul diritto d’autore n. 633/41), dopo la scadenza l’autore rientra in possesso dei sui diritti esclusivi e può gestirseli come vuole: da solo, o ricederli nuovamente a nuove condizioni. Perché allora non proporre dopo tale termine l’autore abbia la facoltà di entrare in possesso delle registrazioni delle sue opere, i cui diritti spettano al produttore fonografico ex art. 61 l.d.a.? Oppure che cessi l’esclusiva sulle registrazioni se il produttore fonografico, scaduto il contratto di edizione musicale, non le valorizzi commercialmente entro un determinato termine di tempo?
Tutto il potere delle “maledette” case discografiche cadrebbe?
Il diritto d’autore è una materia complessa, dalle mille sfaccettature. È già difficile da comprendere, lo diventa ancora di più se comunicato in modo non corretto.
È molto di moda criticare il diritto di autore, l’EUCD, il DMCA, facciamo però con cognizione di causa.

Apprezzo il condividibile sforzo dell’autore, proteso a sensibilizzare gli autori sui loro diritti, sulla ridefinizione del ruolo dell’impresa culturale, intermediaria per far giungere al pubblico l’opera, e che il pubblico non sia vessato da provvedimenti inutili come le protezioni anticopia. Tendente a riequilibrare i rapporti tra autori/artisti, industria culturale e consumatore, oggi, come già detto, troppo sbilanciati.
Però, facciamolo bene.

Giovanni d’Ammassa
Presidente Dirittodautore.it



Spett.le Giovanni D’Ammassa, mi dispiace aver ispirato un ulteriore scontro, avrei preferito evocare quell’unione tra consumatori ed autori che auspicavo alla fine del mio personalissimo commento all’EUCD.

Prima di tutto mi sento di dover chiarire che la sua associazione è stata chiamata in causa solo per dare ai lettori un’idea della quantità delle associazioni che si occupano del diritto d’autore; ognuna delle tante associazioni esistenti è un costo aggiuntivo ed ingiustificato che ricade interamente e sempre più pesantemente sulle spalle del consumatore; l’esistenza stessa di tante associazioni che si accalcano nel far rispettare i privilegi di una o di un’altra categoria, è per me prova dell’esistenza di un problema, in qualsiasi campo; può inoltre notare come abbia volutamente mescolato associazioni internazionali ed italiane senza neanche preoccuparmi di seguire un ordine. E mi dispiace che nel mio piccolo elenco non ho ricordato IMAIE, SCF, AFI, ovvero alcuni acronimi di cui non conosco neanche il significato perché io non sono un autore, non sono un esecutore, un editore, un produttore, un economista od un avvocato. Aspiro ad essere un ingegnere e come tale sono quasi condannato a vedere solo il lato funzionale delle cose.

Lascio quindi a lei, autore, consigliere giuridico e, se ricordo bene, piccolo editore insieme ad un suo collega, il compito di scartabellare nei meandri del diritto italiano e di difendere i suoi interessi trincerandoli dietro le parole “diritto d’autore”.

Io mi limito a ricordare crocianamente l’assunto di Spinoza secondo cui forma e sostanza coincidono, perché tutto il diritto, salvaguardia dei popoli, si basa ancora su questo assunto e, basandomi su questo, cerco di applicare un po’ di buon senso senza badare troppo alla forma.
Per questo rifiuto di andare a spulciare la legge sul diritto d’autore datata 1941 (neanche la Costituzione esisteva ancora! La delega è vecchia?), per ribattere le sue obiezioni; rifiuto di spendere ore di studio per comprendere quanto di marcio ci sia nel regolamento elettorale della SIAE; e sempre per questo utilizzo indistintamente le parole autore ed artista (chi fa arte) distinguendoli solo da chi invece l’arte la strumentalizza nel nome di una cosa che oggi storpia tutto, dall’arte allo sport ai valori della democrazia ed ultimamente, con guerre e governi che effettuano scelte impopolari (contrarie al volere dei governati), banalizza la vita stessa: l’economia.
Rifiuto aprioristicamente quella che reputo una mera perdita di tempo perché dal mio punto di vista la SIAE e le tante altre società non dovrebbero nemmeno esistere, figuriamoci i loro regolamenti.
Lascio quindi a lei anche il compito di scegliere la forma e le leggi da citare, in modo da potermi io soffermare sulla sostanza.

Lei parte dagli autori per arrivare all’uomo comune che oggi si scontra, mal volentieri, con leggi che non capisce ; io invece percorro la strada inversa: parto dall’uomo comune come me, per arrivare agli autori. Mi sembra corrispondente a realtà definire oscure regole e leggi che l’uomo comune, la quasi totalità popolazione, non capisce per sua stessa affermazione; così come reputare lei (autore, favorevole all’EUCD ), presidente di un associazione che tutela gli interessi di pochi) outsider allineato con le altre società ed associazioni poste a tutela di una categoria ristretta di individui, nei loro diritti ma anche nei loro privilegi.

Di fronte a fatti concreti come il successo del P2P, la quantità ingente di materiale illegale acquistato giornalmente dagli italiani, la quantità di copie fatte giornalmente nelle fabbriche illegali, non credo sia opportuno da parte sua continuare a parlare di collecting societies, di compenso per copia privata abbattuto del 50% in considerazione degli usi leciti: questo modo di considerare una punizione ingiustificata che lo Stato infligge ai propri cittadini onesti oltre che a quelli disonesti, non fa altro che avvicinare sempre più la sua associazione ai mostri percepiti dall’immaginario collettivo in chiunque difenda senza mezzi termini i prezzi eccessivi dei cd musicali, del software closed source e quanto altro protetto dal diritto d’autore. In base a quanto scrive, già si è reso conto che il vostro messaggio probabilmente non viene recepito correttamente dai lettori.
Per esigenze di brevità le pongo bonariamente un quesito estivo: nel momento in cui le dico “bagnasciuga”, cosa le viene in mente? In teoria la parte di spiaggia comunemente identificata da nord a sud come “bagnasciuga” andrebbe invece chiamata “battigia” per differenziarla da una parte specifica delle imbarcazioni: sono gli italiani od i vocabolari a sbagliare? Io dico i vocabolari, lei probabilmente affermerebbe che sono gli italiani. Se io, italiano, ho percepito l’interpretazione italiana dell’EUCD come una punizione ingiustificata, non può considerare questa mia percezione, per altro condivisa da gran parte della popolazione, come una visione superficiale dei fatti; probabilmente sarebbe più onesto ed anche più concreto considerare questo modo di recepire l’EUCD come un errore del legislatore.

Mi scuso se ho dato per scontato che ha pensato alla spiaggia, ma in questo periodo ci pensiamo un po’ tutti, inclusi i pochi puristi della lingua che possono invece aver pensato alle barche.

In quanto alla definizione di pirateria devo ringraziarla per avermi indicato una fonte autorevole di informazione, ma sono costretto a dissentire quando dice che io confondo la pirateria con la copia privata. Dissento facendole un esempio. Circa 1 anno fa ho notato che il CD contenente le mappe del mio navigatore satellitare si stava lentamente rovinando con l’uso; ho così provato a copiarlo ottenendo una copia non funzionante; a quel punto ho scritto alla società Navtech, produttrice del cd, chiedendo se il cd era protetto e, nel caso di protezione, se avevano delle procedure per rimandare all’utente il cd rotto o rubato da terzi poiché io non ero riuscito a copiarlo. Mi è stato risposto con tono intimidatorio che non potevo effettuare copie del cd originale pena possibili azioni legali; che in caso di rottura, smarrimento o furto, avrei dovuto acquistare un cd nuovo e che era mia responsabilità far sì che il cd non si danneggiasse.

Io ho copiato il cd, grazie agli impavidi che tutt’oggi sfidano il DMCA e producono strumenti per aggirare le protezioni e se tutt’oggi nonostante l’usura che comprensibilmente danneggia i cd in macchina, sono ancora in possesso delle mappe legalmente acquistate, lo devo a quelle persone, non alla società detentrice del diritto d’autore ne tanto meno a quel legislatore che prima ha prodotto il DMCA e poi, tramite l’ambasciata americana in Italia, ha spinto affinché l’EUCD fosse recepita anche in Italia tramite una legge fatta per difendere gli interessi delle major trascurando totalmente la giustizia di uno Stato; Stato che sta rischiando di tornare al bassissimo livello di autorevolezza riconosciuto in età post-borbonica dai governati del sud Italia.

Le assicuro che, se anche la legge lo vietasse, continuerei a fare le mie copie di sicurezza come nulla fosse pur essendo profondamente contrario alla pirateria. Sono contento quindi di poter dire che il mio pensiero è conforme a quello ben più illustre del Prof. Paolo Spada. E non solo sono favorevole alla copia privata e nel mio intimo la distinguo dalla pirateria, ma anche quando si parla di scambio amichevole di contenuti non mi sento un ladro: è ridicolo pensare che io acquisti un cd musicale e 3 paia di cuffie insonorizzanti per i miei familiari, così da fargliele mettere quando sento un cd che loro non hanno acquistato.

Chi confonde la pirateria con tutto quello che è “copia artigianale”, sono le major e tutto quello che di pubblico è corrotto; è la RIAA che da mesi scansiona i computer degli utenti, diffonde spazzatura nei sistemi P2P sprecando le risorse della grande rete come la posta spazzatura e, come se non bastasse, chiede di essere autorizzata a manipolare i dati sui computer dei privati cittadini; è la BSA che con le sue pubblicità cerca una coartazione sistematica delle menti invece di informare; sono i senatori compiacenti di mezzo mondo che con le loro interpellanze parlamentari sul pericolo open source, si prostrano davanti allo strapotere di Microsoft; è la giunta comunale di New York che, dopo aver riconosciuto come vandalica la semina di adesivi a forma di farfalla Microsoft su ogni segnale stradale, muro, vetrina, cassonetto e cassetta postale, ha decretato una multa di 25 miseri dollari.

Sento poi il dovere di sottolineare come l’articolo di Daniele Minotti non sia in contrasto con quanto ho affermato e riformulo la mia frase da lei citata sperando di essere più chiaro: piuttosto che punire tutti indistintamente con una legge che applica una pena senza che sia stato accertato l’illecito, non era meglio applicare con maggiore frequenza le precedenti leggi che già punivano chi traeva guadagno dall’ingegno altrui senza averne diritto? Anche lei infatti ricorda come la pena sia certa solo sulla carta ma l’applicazione della legge invece rimane un fenomeno aleatorio. Questo è il problema concreto, frequente in Italia, non un inesistente vuoto legislativo falsamente colmato dall’EUCD. Per quanto non sia un esperto della giurisprudenza, da quando ho memoria, i materiali protetti dal diritto d’autore, sono sempre stati tutelati da chi li riproduceva e commercializzava in modo illecito. Poi nella legge è stata cambiata una singola parola, profitto, ed allora sono stati protetti anche da chi utilizzava questi materiali indirettamente, come un mezzo, per arrivare al guadagno.

Io sono abituato a seguire il mio buon senso ancor prima della legge: le recenti operazioni delle Fiamme Gialle che vedono sempre più spesso scovati e puniti i trafficanti di copie illegali mi rendono sereno, positivo; ben venga una legge così congeniata. Entrare in un centro commerciale e dover pagare i supporti vergini il triplo per sopperire alle mancanze dello Stato che non si impegna a trovare e punire gli illeciti, e proteggere i suoi diritti di autore che così facendo diventano privilegi, mi rende invece emotivamente instabile, addirittura follemente anarchico contro la mia natura pacata di bravo cittadino e la mia forte consapevolezza che il contratto sociale è indispensabile.

Questo balzello non era necessario, è invece necessario che le leggi vengano applicate oggettivamente e nella totalità dei casi. L’inasprimento delle pene non è un deterrente efficace: le risulta che dopo l’ennesimo abbassamento del tasso alcolico consentito ai guidatori, l’incidenza dell’alcol sugli incidenti stradali sia diminuita? A me no. Risulta invece efficace effettuare il test tutti i week-end e tutte le mattine alle ore 05.00, ad ogni angolo di strada, come accade nei paesi di stampo anglosassone ed in tutti gli altri paesi dotati del pragmatismo notoriamente sconosciuto al popolo italiano: in Australia, nonostante le distanze enormi e la quantità media di alcol consumato superiore a quella italiana, in un anno hanno meno morti di quanti ne abbiamo noi in 2 mesi.

Aumentare le pene con la logica simpaticamente battezzata “del Mastrolindo”, aumenta il malcontento, la tensione sociale, la sfiducia nello Stato, ma non l’educazione del cittadino: è quindi normale che il maestro S. Kubrick in Full Metal Jacket abbia incluso tra “negri, ebrei e cinesi” anche noi italiani, parlando di discriminazione razziale; è normale che i nostri immigrati hanno lasciato nel mondo l’idea dell’italiano confusionario (negli USA eravamo addirittura maleodoranti e delinquenti, come gli albanesi ed i rumeni oggi nel nostro immaginario). Siamo maleducati e questo lo dobbiamo anche a lei che invece di inseguire un’ideale di equità, considera positiva una legge fatta secondo delle logiche esclusivamente economiche, perché queste le tornano favorevoli.

La parola chiave è equilibrio, ce lo dicono anche i grandi etologi: chiunque volesse educare un animale, dalle anatre di Lorentz all’uomo comune, prima di tutto deve essere equilibrato. Ed è poi la stessa cosa che ci ha detto C. Beccaria: delitto, non peccato; pena solo ed esclusivamente preceduta da una colpa; colpa certamente seguita da una pena e pena che non deve uccidere ma educare. Ho scelto Cesare Beccaria per illustrare il mio modesto pensiero proprio perché il suo è stato considerato talmente concreto, teso all’utile, da trascurare eccessivamente la parte emotiva dell’umanità. Un pensiero utile, come l’economia, ma equilibrato, in contrasto con le leggi confezionate sulle misure di una sola parte.

Per usare un termine ricorrente nel nostro oramai dibattito, sono in generale allineato con le sue proposte. Ritengo infatti che l’utilizzazione economica delle opere d’ingegno debba essere limitata nel tempo, nei materiali protetti dal diritto d’autore così come nelle invenzioni. Ma mentre noi stiamo qui a discutere, i brevetti arriveranno ad essere mantenuti per 70 anni, settant’anni in cui la mente fervida che li ha prodotti non sarà incentivata a lasciare qualcos’altro all’umanità, settant’anni in cui nessuno potrà sfruttare liberamente quel genere di progresso, bene dell’umanità, che ci ha consentito di procedere dalle caverne alla conquista di Marte; settanta anni, l’intera vita media di un uomo. Con lo stesso triste meccanismo che porta un artista a scomparire dopo la sua prima opera od un calciatore a tramutarsi in un VIP dopo la prima ed unica stagione sopra le righe dimenticando completamente i valori dello sport.

Le dirò di più, facciamo una legge per cui niente e nessuno possa acquisire, neanche temporaneamente, il diritto d’autore di un altro; facciamo si che le case discografiche possano svolgere quelle attività di authoring connesse che ha citato, dietro un compenso fisso, ma non quelle di management dell’artista e della sua figura. Separiamo l’arte dall’economia, sfruttando l’autorità dello Stato. Ed ancora, eliminiamo la SIAE (la cui esistenza stessa è stata oltretutto giudicata e condannata in sede europea) ed i compensi arbitrari che questa percepisce ripetutamente sullo stesso oggetto, forzando major, fruitori, discoteche, radio ed editori a pagare adducendo sempre la stessa banale scusa; eliminiamo le ridistribuzioni arbitrarie od almeno inquadrandole in un regime rigido e pubblicamente accessibile, magari destinandole ad opere pubbliche: strutture per la Guardia di Finanza e laboratori di studio concreto della materia ad opera di scienziati, per contrapporli a quelli privati finanziati dall’industria e realizzati da economisti. Per fare questo però, dobbiamo procedere insieme, lei, autorevole titolare di una cultura altamente specializzata nella posizione di poter muovere le leve ed io, uomo comune, che le da l’autorità necessaria a muoverle (almeno fino a che pago i materiali protetti); ed il mondo purtroppo, come nei brevetti, sembra andare in tutt’altra direzione.

La mia autorizzazione all’industria della musica, che per sua stessa affermazione continua a spacciare repliche per arte da proteggere, l’ho già tolta circa 6 anni fa dopo la trasmissione di Lubrano; ai produttori di software closed source non l’ho mai data, film non ne compro ed i libri li leggo in genere di seconda mano e non c’è pubblicità inneggiante al consumo che mi possa far cambiare idea fino a che un CD musicale costerà al massimo il 20% in più di quello che costa da un venditore ambulante di copie illegali. Questo è il problema della sua attività tesa a tutelare il diritto d’autore: io, e come me sempre più persone (milioni), non riconosco più il diritto d’autore a chi mi vende il materiale protetto; per il resto, se dovessi incontrare Bono degli U2 in un pub irlandese, sarò felice di pagare il suo conto anche senza disturbarlo a firmarmi un autografo, glielo devo.

Fino a che la sua associazione accoglierà con giubilo eventi come il vergognoso recepimento italiano dell’EUCD, per me rimarrà, da outsider, nel crogiolo malefico di chi ha il potere di fare giustizia ma si limita a farla solo per se stesso ed io non mi sforzerò di comprendere il dritto d’autore partendo dagli autori, pochi, per arrivare agli uomini comuni, tanti. Semplicemente perché non è producente al fine del raggiungimento dell’utile sociale di Cesare Beccaria, il nostro (di tutti e di ogni singolo) utile sociale.

Spero mi perdonerà dunque se, almeno per il momento, quando parlerò di chi vende opere d’arte (non a chi le crea), includerò anche la sua associazione tra questi, nonostante personalmente sia convinto che la sua associazione è forse la porzione di “male” più vicina e quindi quella con cui iniziare a parlare.

Lavoriamo insieme, lei che può porti il messaggio di un uomo comune nei fori competenti: case discografiche, associazioni e società per il diritto d’autore, parlamenti. Il messaggio, bellamente ignorato fino ad ora, è semplice: la qualità è scadente ed il prezzo è eccessivo. Almeno oggi in questa sede prenda atto di questo messaggio e ne consideri lei l’importanza con formula contrariis reiectis, come fosse un giudice, di pace. Parlare del diritto d’autore oggi non è moda, è necessità concreta di equilibrio, necessità che ho addirittura impressione di condividere con lei.
Ma è davvero anche lei così convinto che il problema sono le masse ancora una volta ignoranti? Non è possibile che il problema sia in un’industria obsoleta che ha smesso di ascoltare i propri clienti in virtù di una cieca e stantia economia malata incapace di restare al passo con i tempi?

Non è da me essere ripetitivo, ma se da questa parte c’è un popolo ignorante, dall’altra c’è un’industria sorda che continua ad infastidirmi con lamenti altrettanto ripetitivi.
Senza scomodare altri illustri professori, dottori e grandi uomini del passato, e nella speranza che sconvolgimenti violenti dello status quo non si rendano in futuro necessari, le porgo i miei distinti saluti.

Michele Favara Pedarsi

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Pubblicato il
18 giu 2003
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