FMI, l'attacco era governativo

FMI, l'attacco era governativo

Emergono nuovi particolari circa il cyber-attacco recentemente subito dai server del Fondo Monetario Internazionale: dietro la breccia ci sarebbe un non meglio specificato governo, interessato a far cosa non si sa
Emergono nuovi particolari circa il cyber-attacco recentemente subito dai server del Fondo Monetario Internazionale: dietro la breccia ci sarebbe un non meglio specificato governo, interessato a far cosa non si sa

Se la notizia del recente attacco telematico ai sistemi informatici del Fondo Monetario Internazionale non fosse già abbastanza inquietante, nuovi particolari emersi di recente tratteggiano uno scenario da controspionaggio internazionale e quantificano in “rilevante” il numero di informazioni potenzialmente sottratto dai cyber-criminali penetrati nei server.

Di ufficiale non c’è ancora nulla di nuovo, ma voci non confermate sostengono che a condurre l’attacco contro la sede di Washington dell’FMI sia stato un non meglio specificato “governo straniero”, con motivazioni altrettanto ignote ma in grado di raccogliere un bottino significativo comprendente una “grande quantità” di dati incluse email e documenti vari.

La breccia attraverso cui sono passati gli hacker sarebbe stata il frutto di un attacco di phishing portato a termine con successo, rischio contro il quale lo stesso CIO (chief information officer) dell’FMI Jonathan Palmer aveva messo in guardia (sempre per email) gli impiegati dell’organizzazione.

E mentre l’organismo di governo dell’economia mondiale fa i conti con i suoi guai telematici, Nintendo preconizza nuovi tentativi di assalto ai server del suo network europeo. Il messaggio è di natura eminentemente precauzionale, mentre la casa nipponica tiene a precisare che le informazioni bancarie e gli indirizzi dei clienti non sono archiviati sui computer incriminati e possono dunque considerarsi “non a rischio”.

Contro il proliferare degli assalti si espone infine il cofondatore della International Internet Industry Association Peter Coroneos, secondo la cui opinione il livello raggiunto dalla minaccia richiederebbe un impegno a livello di consesso internazionale tra le più grandi nazioni del mondo: il G20 sarebbe “un buon modo” per promuovere il supporto alla cyber-difesa da parte di nazioni “lente” a schierarsi in tal senso, dice Coroneos. Ne sa qualcosa la Corea del Sud, che con il suo 95% di case connesse alla rete ha il suo bel da fare nel tenere a bada i cyber-criminali interni ma soprattutto esterni.

Alfonso Maruccia

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Pubblicato il
15 giu 2011
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