USA, guai per l'hacker che leggeva troppo

USA, guai per l'hacker che leggeva troppo

Aaron Swartz, vecchia conoscenza dei federali, è stato incriminato per essere entrato nel sistema informatico del MIT e aver scaricato materiale accademico pubblico. Rischia 35 anni di carcere
Aaron Swartz, vecchia conoscenza dei federali, è stato incriminato per essere entrato nel sistema informatico del MIT e aver scaricato materiale accademico pubblico. Rischia 35 anni di carcere

Il nome di Aaron Swartz non risulta di certo sconosciuto in terra statunitense, tantomeno agli agenti federali che, un paio di anni fa, sono arrivati a costruire un intero file relativo al giovane hacker dopo che questi era riuscito ad accedere senza autorizzazione all’archivio di una corte d’appello di Chicago e diffuso online milioni di documenti pubblici. Ora, l’ex studente di sociologia di Stanford non è riuscito a cavarsela con un semplice richiamo da parte delle autorità ed è stato incriminato per aver sottratto 4 milioni di documenti appartenenti al celebre MIT e a Jstor , un vasto archivio contenente paper e journal accademici.

Secondo quanto riportato dal New York Times , il co-fondatore di Reddit è stato imputato dal procuratore federale per il distretto del Massachusetts Carmen M. Ortiz. I capi di imputazione, se confermati dai giudici, potrebbero tradursi in una pena massima pari a 35 anni di carcere e un milione di dollari di multa . È poco chiara, al momento, l’informazione circa il presunto arresto dello studente.

Nei documenti giudiziari ufficiali si legge che, tra il settembre 2010 e il gennaio 2011, Swartz si è inserito nel circuito informatico privato del MIT, è entrato senza autorizzazione all’interno del network tramite uno switch , si è connesso all’archivio digitale di JSTOR mediante il network del MIT, ha utilizzato tale accesso per scaricare gran parte del database di JSTOR sui propri computer e memorie, ha aggirato gli sforzi compiuti dal MIT e JSTOR per prevenire la copia di massa dei documenti (misure adottate nei confrotni di tutti gli uenti e, in particolare, nei confronti di Swartz) e, infine, ha eluso i meccanismi di rilevamento e identificazione. Tutte azioni dispiegate per distribuire online una parte significativa dell’archivio di JSTOR a mezzo P2P . L’accesso al sistema informatico del MIT, tuttavia, non è avvenuto attraverso la violazione dei codici di protezione, bensì mediante un account “guest”.

Il caso appare abbastanza intricato. Infatti, nonostante le carte giudiziarie sostengano che l’obiettivo del “furto digitale” messo a segno sia stata la condivisione online dei documenti accademici, non c’è nessuna prova che lo attesti. Per di più, nello stesso comunicato ufficiale di JSTOR si legge: “Siamo stati rassicurati da Mr. Swartz e abbiamo ricevuto conferma sul fatto che i contenuti prelevati non sono stati e non sarebbero stati utilizzati, copiati, trasferiti o distribuiti”. Inoltre, secondo lo stesso comunicato, JSTOR (che si configura come la parte offesa) ha precisato di aver ricevuto una citazione in giudizio e sottolineato la disponibilità alla piena collaborazione con le autorità investigative. Nonostante ciò, l’organizzazione non profit non ha confermato di essere parte in causa nelle procedure di incriminazione nei confronti dell’hacker.

Del resto, come notato da alcuni osservatori, molte istituzioni universitarie (come il MIT) pagano una tassa annuale ai portali che raccolgono pubblicazioni accademiche e scientifiche (come JSTOR), documenti che, in gran parte, sono gratuitamente accessibili da parte di tutti gli studenti e da chiunque appartenga a un’università accreditata. Dunque, appare alquanto oscuro il motivo del downloading massivo condotto da Swartz. Una condotta che ha spinto organizzazioni in difesa dei diritti civili come Demand Progress a dichiarare che arrestare un programmatore per simili ragioni è come “cercare di mettere qualcuno in prigione per il sospetto di aver consultato troppi libri fuori da una biblioteca”.

Lo scontro tra gli intransigenti e gli attivisti della Rete è netto. Il procuratore federale responsabile del caso sostiene che “rubare è rubare”, qualunque siano i mezzi adottati e qualsiasi sia il bottino raccolto.
Al momento, l’unica ripercussione concreta caduta sulla testa del presunto cracker è il congelamento della borsa di studio di dieci mesi corrisposta dall’Università di Harvard nei suoi confronti.

Cristina Sciannamblo

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Pubblicato il
20 lug 2011
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