In Controluce/ La sfida dell'Open Data in realtà comincia ora

In Controluce/ La sfida dell'Open Data in realtà comincia ora

di S. Epifani - Ci sono le regole, ci sono i presupposti. Manca solo la volontà. E quella, soprattutto in Italia, non è semplicissima da trovare. Si potrebbe cominciare remando tutti assieme
di S. Epifani - Ci sono le regole, ci sono i presupposti. Manca solo la volontà. E quella, soprattutto in Italia, non è semplicissima da trovare. Si potrebbe cominciare remando tutti assieme

C’è sempre una fase delicata nei processi di cambiamento. Quella fase nella quale si passa dall’idea al progetto e dal progetto all’azione. Una fase delicata perché in essa si incontrano (e si scontrano) teoria e pratica, buoni propositi e realtà oggettiva. E perché spesso richiede un reale cambio di passo.

È questa la fase che sta attraversando da ieri il movimento dell’Open Government italiano. Da ieri , infatti, il Governo si è dato una strategia. Lo ha fatto forse con ritardo rispetto ad altri Paesi, ma l’ha fatto con una convinzione ed una determinazione che non gli si può non riconoscere.

Nel corso di una conferenza stampa alla quale hanno partecipato i Ministri Brunetta e Brambilla, che si è tenuta a Roma nella mattinata di ieri, è stata esposta una linea d’azione precisa, basata su tre elementi portanti:

– L’apertura di un portale pubblico dei dati aperti che – sulla falsariga di quanto già fatto in numerosi altri Paesi – rappresenti il punto di riferimento per l’open data in Italia. Verso di esso, infatti, confluiranno le informazioni provenienti dai portali regionali esistenti e che stanno vedendo luce, e quelle fornite direttamente dagli Enti centrali che via via si muoveranno nella direzione dell’Open Data;

– La pubblicazione, nel contesto delle Linee Guida dei siti Web della PA, di un Vademecum per supportare le Amministrazioni con indicazioni concrete su come aprire e liberare i propri dati ;

– Il lancio di un concorso, Apps4Italy , che – ancora una volta sulla falsariga di quanto già fatto in altri Paesi – spinga da una parte le Amministrazioni ad identificare e liberare dataset di interesse per i cittadini, e dall’altra i cittadini e la comunità degli sviluppatori a realizzare applicazioni interessanti sulla base dei dati disponibili.

E ora? Ora – in sostanza – non ci sono più scuse. Il quadro normativo è sufficientemente chiaro e favorevole, gli strumenti esistono, la linea d’azione è stata definita. Insomma, ieri si sono finalmente visti i primi risultati concreti di un lungo lavoro fatto dalle Associazioni e dalla Società Civile al fianco (o – meglio – ai fianchi) delle Istituzioni per sensibilizzarle e spingerle nella direzione dell’Open Government a partire da una chiara politica di Open Data (è dell’anno scorso, ad esempio, il Manifesto per l’Open Government , e da allora le azioni portate avanti dalla comunità che ruota attorno a questo tema sono state numerose).

Quindi il gioco è fatto?

Tutt’altro. Semplicemente, la palla passa di campo. Anzi, di campi. Perché ora i campi sui quali si gioca il successo dell’iniziativa che ieri è stata avviata sono tre:

– Il primo è quello delle Pubbliche Amministrazioni locali e centrali che dovranno liberare i Dati. Perché, è evidente, non esiste open data senza dati. Applicazioni, servizi e strumenti non potranno essere realizzati se la PA davvero non deciderà di liberare i dati dei quali dispone. E per farlo è necessario un reale processo di cambiamento culturale. Non esistono obblighi normativi che costringano l’Amministrazione in questa direzione, benché il nuovo Codice dell’Amministrazione Digitale di fatto ne raccomandi nella sostanza lo sviluppo. Perché si faccia realmente Open Data sarà quindi necessario l’impegno di civil servant che decidano di avviare nelle loro Amministrazioni azioni concrete di liberazione dei dati;

– Il secondo è quello del tessuto imprenditoriale. L’Open Data è un driver di sviluppo che non serve solo a rendere maggiormente consapevoli i cittadini mettendoli in condizione di decidere o valutare le decisioni dell’Amministrazione, ma anche a costruire un nuovo sistema di servizi. Servizi che – basandosi sui dati aperti – creino valore con vantaggi per i cittadini, ma anche per le aziende che tali servizi li hanno sviluppati. In questo senso, è necessario che le aziende investano – analogamente a quanto è successo in altri contesti – nei servizi basati sugli Open Data;

– Il terzo è quello dei numerosi movimenti, associazioni, gruppi di interesse e community che ruotano attorno a questo tema. Si tratta, per loro, di passare dalla teoria alla pratica. Si tratta di passare da una fase di sensibilizzazione finalizzata a promuovere un tema ad una fase di azione nella quale portare avanti progetti concreti. E in un contesto come quello italiano, in cui spesso pare impossibile fare sistema e nel quale, pur nella buona volontà, sovente il protagonismo prevale sulla concretezza, ciò può non essere facilissimo. Nel paese dei campanili, nulla può essere più dannoso per la causa dell’Open Data che un coro di campane tra di loro stonate, che suonino fuori tempo portando confusione al posto di quella chiarezza necessaria per far capire ad Aziende e Pubbliche Amministrazioni i termini della questione.

Insomma, ora tocca a noi. Sapremo raccogliere la sfida?

Stefano Epifani
Il blog di Stefano Epifani

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Pubblicato il 19 ott 2011
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