La Corte Suprema degli Stati Uniti ha finalmente sentenziato su uno dei casi giudiziari più spinosi degli ultimi anni: usare surrettiziamente dispositivi di tracciamento GPS per tenere sotto controllo i sospettati non è consentito, ha deciso la Corte statunitense, a meno che un giudice non autorizzi altrimenti gli agenti federali.
Il caso in oggetto è quel United States v. Jones che ha già passato diversi gradi di giudizio, con il sospettato – un cittadino residente nell’area di Washington DC – prima accusato di traffico di droga e poi condannato alla galera a vita.
Nel 2005 l’FBI aveva tenuto sotto controllo gli spostamenti dell’automobile di Antoine Jones, ma gli agenti avevano installato il dispositivo di tracking GPS fuori dal mandato del giudice e in un distretto diverso da quello previsto (Maryland contro Distretto di Columbia).
Il tracciamento surrettizio e senza opportuna autorizzazione non è consentito , dice la Corte Suprema, perché viola il Quarto Emendamento della Costituzione USA che protegge dai sequestri e dalle perquisizioni irragionevoli.
Caso Jones a parte, la questione del tracking a mezzo GPS è emersa più volte negli States nel corso degli ultimi mesi: la decisione della Corte Suprema è destinata a condizionare profondamente i giudizi delle corti di grado inferiore.
Le associazioni che si battono in difesa della privacy salutano la sentenza come “una significativa vittoria per la privacy”, evidenziando come essa sia destinata a pesare anche sulle altre tecnologie digitali utilizzabili per tracciare gli spostamenti dei cittadini USA – “triangolazione” tramite segnale cellulare e GPS e non solo.
Alfonso Maruccia