Il lavoratore si vede da Facebook

Il lavoratore si vede da Facebook

Una ricerca rivela che i profili in blu sono dei buoni valutatori per individuare le qualità di un lavoratore. Il nuovo recruiting passerà da Facebook?
Una ricerca rivela che i profili in blu sono dei buoni valutatori per individuare le qualità di un lavoratore. Il nuovo recruiting passerà da Facebook?

Affermano di essere riusciti a scovare un nuovo metodo per valutare chi si candida per un lavoro. Si chiama Facebook. Uno studio effettuato da un team guidato da Don Kluemper, professore di management al College of Business della Northern Illinois University e pubblicato dal Journal of Applied Social Psychology , ha dimostrato che il social network più famoso del mondo potrebbe effettivamente essere un valido strumento di analisi per i professionisti delle risorse umane .

Nella ricerca è stato chiesto a sei persone che lavorano nel settore del reclutamento del personale di valutare i profili Facebook di 56 studenti universitari per 90 minuti al giorno, per evitare l’affaticamento. A ogni profilo doveva essere dedicato un lasso di tempo non superiore ai 10 minuti e i parametri del carattere da considerare erano i cosiddetti Big Five : estroversione, coscienziosità, stabilità emotiva, amicalità e apertura mentale. Punteggi molto alti sono stati assegnati a chi mostrava di aver viaggiato, avere molti amici e una vasta gamma di hobby e interessi; le foto di feste o uscite con gli amici non sono state giudicate negativamente, al contrario, indicherebbero una persona estroversa e cordiale. Chi ha ottenuto i punteggi più alti è stato considerato un futuro buon candidato nel mondo del lavoro. Il campione è, invece, stato sottoposto a un test di autovalutazione e al test del QI.

Sei mesi dopo i ricercatori hanno chiesto ai datori di lavoro degli, ormai, ex studenti universitari di esprimere un parere sulle loro prestazioni lavorative. I datori di lavoro hanno dato valutazioni sui propri dipendenti molto simili a quelle dei sei esperti , sopratutto per quanto riguarda i tratti come la curiosità, l’intelligenza e la responsabilità. Inoltre, si è scoperto che i giudizi dati grazie a Facebook erano molto più veritieri del test del QI o della autovalutazione.

“In cinque o dieci minuti i nostri valutatori hanno esaminato i post in bacheca, il numero di amici, i gusti letterari e musicali e le foto per valutare la socialità. Facebook è una fonte molto ricca di informazioni” ha commentato Kluemper, che però ha ammesso di essere rimasto sorpreso quando ha scoperto che per trovare il candidato ideale è più utile Facebook del test di QI. A differenza dei test di autovalutazione, in cui si tenderebbe a fornire risposte più socialmente accettabili, su Facebook sarebbe più difficile falsificare la propria identità , soprattutto di fronte agli “amici”.

In realtà molti dipartimenti delle risorse umane utilizzano la creatura di Zuckerberg per capire qualcosa di più sul candidato e pare, anche, che sia una pratica molto collaudata . Uno studio effettuato lo scorso anno da Reppler ha evidenziato che il 90 per cento dei reclutatori guardava la pagina Facebook di un candidato pur sapendo che non avrebbero dovuto farlo.

La ricerca della Northern Illinois University intendeva appunto dimostrare se queste abitudini dei datori di lavoro avessero un valore reale. “Molte decisioni sono prese sulla base dei profili di Facebook. Le persone vengono assunte, licenziate, sospese – ha affermato Kluemper – Questo è il primo studio che chiarisce se Facebook può contribuire, in maniera valida, a prendere tali decisioni”.
Prima di lanciare l’allarme e cancellare dal profilo tutte le foto e/o commenti compromettenti sarebbe più opportuno impostare la privacy del proprio profilo lasciando pubbliche solo le informazioni minime .

Kluemper consiglia: il mondo delle risorse umane non deve mettere da parte i test esistenti e sostituirli con Facebook. Difatti, l’utilizzo del social network come strumento di selezione del personale potrebbe aprire scenari pericolosi . La legittimità di una simile pratica non è ben chiara e potrebbe nascere una lunga serie di problemi legali, in primis quelli legati alla discriminazione razziale, religiosa, politica o sessuale. Kluemper ha messo le mani avanti: “Prima che possa essere utilizzato come strumento di selezione legalmente difendibile, deve esserne dimostrata la validità. Questa ricerca è solo un primo passo in questa direzione”. Kluemper punterebbe a ripetere lo studio per verificare se i risultati sono duplicabili.

Non è la prima volta che Facebook finisce nel mirino di qualche ricerca volta a sovrapporre i profili in blu con i tratti psicologici degli utenti. All’inizio del mese uno studio dell’università di Chicago avrebbe scoperto che la creatura di Zuckerberg sarebbe più piacevole degli storici vizi della vita: l’alcool e il fumo. In un’altra ricerca effettuata dall’Università di Milano e dal MIT è stato scoperto che le persone che utilizzano il social network hanno delle reazioni fisiche e psicofisiologiche simili a chi suona uno strumento musicale o a chi è impegnato in una qualche attività creativa. L’ultima, ma solo in ordine di tempo, arriva da un rapporto del New York Times : gli aggiornamenti di stato tristi o cupi non andrebbero ignorati, ma dovrebbero essere visti come segni premonitori della depressione.

Gabriella Tesoro

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Pubblicato il
27 feb 2012
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