Contrappunti/ La politica e Twitter

Contrappunti/ La politica e Twitter

di M. Mantellini - I cinguettii come formula per scavalcare la mediazione giornalistica. E per trasformare la comunicazione in pubbliche relazioni. Dove conta più la persona che il partito, più l'apparenza che la sostanza
di M. Mantellini - I cinguettii come formula per scavalcare la mediazione giornalistica. E per trasformare la comunicazione in pubbliche relazioni. Dove conta più la persona che il partito, più l'apparenza che la sostanza

Non chiedersi cosa la politica può dare a Internet ma cosa Internet possa dare alla politica sarebbe un ottimo punto di partenza. Nel flusso bidirezionale che unisce cittadini e loro rappresentati oggi assistiamo ad un’evidenza prevedibile: il marketing della politica utilizza la Rete con sempre maggior scioltezza e competenza mentre, in direzione opposta, la capacità dei cittadini di appropriarsi degli strumenti di rete per orientare la politica sembra essere in discreta crisi.

Chi segue un po’ le pagine della politica dei quotidiani si sarà accorto che il lavoro del notista parlamentare è ormai ridotto a quello di una rassegna di cosa è accaduto il giorno precedente su Facebook e su Twitter. In tale tipo di comunicazione la disintermediazione legata agli strumenti digitali ha già scelto il primo agnello sacrificale: l’insider delle segrete stanze dei partiti. Sempre più spesso Bersani e Alfano, Casini e Vendola affidano le proprie esternazioni ai social network, battibeccano in tempo quasi reale dentro i 140 caratteri di Twitter, mentre prima erano costretti ad affidare alle agenzie e poi ai cronisti che le riportavano, le loro interessanti repliche e controrepliche ai punti di vista dell’avversario politico.

Tutto questo disvelamento, che ha molti tratti di racconto intimo e personale, porta con sé una illusione di centralità per l’elettore, specie per quello che maggiormente utilizza gli strumenti di rete, il quale si sente oggetto di una continua attenzione da parte del proprio politico di riferimento. Fino a qualche tempo fa le notizie al riguardo dovevano essere pazientemente recuperate sui fogli in edicola, oggi ci raggiungono all’istante in qualsiasi ora del giorno e della notte.

Eppure se non ci lasciamo confondere dalla foto di Bersani che aspetta la metro a Parigi (informandoci del fatto che lui non usa le auto blu) o dalle bretelle rosse di Casini che con l’iPad immortala su Twitter l’incontro dei leader politici con il Premier Monti in una foto che, nonostante la scarsa qualità, finirà il giorno dopo sulle prime pagine di tutti i quotidiani, occorrerà ammettere che non tutto quello che riduce le distanze fra eletto ed elettore è per forza buono. Intanto la politica mediata da Twitter diventa spessissimo una politica delle persone: riguarda il candidato o il leader e molto meno il movimento, interessa l’estetica della comunicazione e in maniera molto più tangenziale le idee che la sostengono, è insomma la chiara rappresentazione di un racconto personale che è perfetto per il singolo ma che lo è molto meno per il dialogo sulla politica in genere.

Così quando Beppe Grillo, il cui Movimento 5 Stelle nasce e si sviluppa esattamente in senso opposto, vale a dire dalla base verso il vertice utilizzando molto la Rete come punto di incontro, si trova ad affrontare malumori e tentativo di fronda interna, può frettolosamente bollare il tutto come un epifenomeno che “gli fa cadere le palle” e per farlo utilizza l’asimmetria evidente fra la visibilità del suo blog e quella, assai minore, dei “fantomatici” iscritti al suo Movimento in cerca di dialogo. Nella semplificazione diretta della Rete si invertono con facilità i rapporti di forza fra movimento e leader.

Se a tutto questo aggiungiamo che la Rete consente da tempo a tutti noi un certo “maquillage dei pensieri”, la possibilità asimmetrica di gestire con ponderazione e mimetismo le idee che esprimiamo, il fatto – insomma – di poter apparire meglio di come siamo in realtà (senza bisogno di arrivare al paradosso noto del cane dietro lo schermo) si capisce come mai i nuovi strumenti di disintermediazione della comunicazione politica sono oggi, allo stato, molto più confortevoli per gli eletti che non per gli elettori, che esiste una logica broadcast molto chiara ed evidente anche negli strumenti di rete sociale e che il paradosso che ne segue è che il messaggio politico in senso lato ne esce indebolito.

Fino a quando non aumenterà una consapevolezza diffusa del potere della periferia digitale e della sua potenziale capacità di indirizzo dei temi politici in discussione, la politica spiegata agli elettori resterà confortevolmente dentro i confini leggermente folcloristici dei politici che mostrano il bello di loro stessi in Rete. Con la spiacevole complicazione che nel frattempo avremo eliminato o ridotto fortemente anche la mediazione culturale nel racconto della politica che fino a ieri era affidata ai (migliori) giornalisti.

Massimo Mantellini
Manteblog
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Pubblicato il
19 mar 2012
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