Le confessioni dell'hacker di Facebook

Le confessioni dell'hacker di Facebook

Avrebbe agito per il solo obiettivo di testare la sicurezza del social network, non per rivendere proprietà intellettuale rubata. Prova ne sia il fatto che quel codice non è mai stato venduto o passato a cyber-criminali di sorta
Avrebbe agito per il solo obiettivo di testare la sicurezza del social network, non per rivendere proprietà intellettuale rubata. Prova ne sia il fatto che quel codice non è mai stato venduto o passato a cyber-criminali di sorta

Dopo aver passato qualche mese in galera per aver penetrato i server di Facebook, lo studente britannico Glenn Mangham fa ora outing a mezzo blog raccontando la sua versione dei fatti . Non sono un cracker né un cyber-criminale, dice Mangham, quello che mi spinge è la semplice ricerca nel campo della sicurezza informatica.

Mangham dice di aver accettato le sue responsabilità nella vicenda, perché “strettamente parlando” quello che ha fatto lo ha fatto violando la legge. “Lavoravo con la premessa che a volte sia meglio chiedere perdono che permesso”, dice il giovane hacker.

Mangham spiega com’è riuscito a penetrare nei server di Facebook servendosi dell’account di un impiegato in ferie, come ha preso le dovute precauzioni realizzando uno script che non mettesse troppo sotto stress l’infrastruttura e che cosa ha fatto con il codice sorgente del social network così scaricato.

Quel codice è finito su un hard disk tenuto ben lontano da Internet, dice Mangham, dove paradossalmente è stato più al sicuro che sui server del colosso statunitense. Il fatto che il codice non sia poi stato distribuito, dice Mangham, è la riprova sufficiente della sua buona fede.

“Se si considera che la sola cosa a separare Facebook e il suo potenziale annullamento era il mio senso etico – spiega lo smanettone – allora penso che il fatto che tutto ancora funzioni a dovere dovrebbe servire da prova per la mia buona fede”.

Alfonso Maruccia

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Pubblicato il
30 apr 2012
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