La trasparenza del voyeur

La trasparenza del voyeur

di G. Bottà - Facebook si quota in Borsa, i darwinisti tecnologici della libera informazione in Rete imperversano. "Nell'acquario di Facebook" è un libello aggressivo, mostra come certi strumenti della Rete strumentalizzino chi li usa
di G. Bottà - Facebook si quota in Borsa, i darwinisti tecnologici della libera informazione in Rete imperversano. "Nell'acquario di Facebook" è un libello aggressivo, mostra come certi strumenti della Rete strumentalizzino chi li usa

“La tecnologia non è affatto neutrale”: è da questo punto di vista che il Gruppo di ricerca Ippolita, già firma di numerose disamine sul vivere online, nel volume ” Nell’acquario di Facebook: la resistibile ascesa dell’anarcocapitalismo ” seziona la fenomenologia dell’agire in Rete e le forze che la determinano, mettendo a nudo il disegno che esiste dietro all’esibizionismo della condivisione imposta e alla circolazione “pornografica” dell’informazione in Rete.

Spettacolarizzazione e consumo di identità e di dati: chi mellifluo induce alla trasparenza radicale dell’autodelazione; chi delle delazioni fa vessillo e ci sbatte in faccia la trasparenza radicale delle soffiate. Facebook e Wikileaks, traccia il Gruppo Ippolita questo parallelismo forse inatteso, hanno il minimo comun denominatore della trasparenza, e il minimo comun denominatore del suo appiattimento. La trasparenza a cui richiamano è piatta, semplificata al punto di ridursi a una frittella , spiegano gli autori. Nella Rete dei nostri giorni vengono richieste verità assolute e non sfaccettate come le identità categorizzate in un profilo per rappresentarsi in un social network, verità al servizio del voyeurismo competitivo dei nostri pari e del voyeurismo interessato delle macchine che organizzano i big data . Si offrono verità semplici perché possano essere fruite da pornomani dell’informazione, senza troppe contestualizzazioni.

In una dimensione individuale la trasparenza radicale si declina a livello relazionale, ed quella che ambiscono ad ottenere Facebook e la pletora dei social network. Ma non basta aderire a una schedatura volontaria per rappresentarsi, è limitato e limitante, non basta esibire tutto di sé per ritrarre un’identità, ricordano gli autori del libro: non esiste una vera auto-narrazione, tutto si riduce a semplici dati, incasellati per essere consegnati alla macina del marketing. In una dimensione globale, la trasparenza radicale si declina a livello politico, ed è quella a cui fanno riferimento Wikileaks e tutti i canali che di volta in volta vengono eletti dai media tradizionali come strumento di emancipazione democratica. Ma non basta il solo fluire dell’informazione perché essa divenga libera, fruibile e significante.

L’analogia emerge in maniera sempre più netta nelle pagine del testo di Ippolita: la logica che accomuna questi strumenti è una logica nata da una commistione di pseudo-anarchia, capitalismo, fede assoluta in un determinismo tecnologico salvifico. Sempre di più, sempre più veloce è il mantra libertariano che anima tanto i pirati della Silicon Valley (il fondatore di PayPal Peter Thiel incarna nel testo gli spigoli più puntuti di questa ideologia) quanto coloro che sguazzano in una società pervasa dalla tecnologia (i tecno-totalitaristi hacker, che sfociano poi nella varie manifestazioni dei Partiti Pirata o nelle moltitudini sfrangiate degli Anonymous ). Accumulazione di dati e di informazioni: una messe ben categorizzata per coloro che hanno gli strumenti e le tecnologie per saperli mettere a frutto, e, di contro, disorientamento e frammentazione per chi chi non può estrarre significato da questa mole di dati, interfacciandosi solo con la superficie della macchina, quella fatta di form da compilare per indicare il proprio umore, di documenti segretissimi da scaricare per scoprire gli scabrosi retroscena di conflitti di cui si conosce solo l’urgenza.

La Rete, sottolinea il Gruppo Ippolita, è sì uno strumento di partecipazione, ma le masse connesse non partecipano alla gestione dei dati davvero rilevanti che circolano in Rete, quelli digeribili e assimilabili solo a mezzo algoritmi, e spendibili magari come una promessa per far lievitare una IPO stellare . La partecipazione e le relazioni delle amicizie mediate da profili sui social network, ma anche quelle che stanno alla base della gran parte dell’attivismo in Rete, sono partecipazione e relazioni depotenziate, da voyeur, se filtrate solo attraverso gli strumenti offerti con una logica anarcocapitalista. Nel 1882 l’ingegnere agricolo Max Ringelmann ha attaccato quattro persone a una corda, rilevando la forza di trazione con un dinamomentro: la somma delle forze di trazione dei singoli risulta maggiore della forza esercitata dai quattro nell’operazione svolta collettivamente: è l’esempio di effetto anti-sinergico che il Gruppo Ippolita utilizza per spiegare che non è affatto scontato che in Rete la collaborazione valga più della somma dei singoli sforzi. Non è scontato nel momento in cui le nostre azioni non sono significative in una dimensione davvero relazionale. Perché non sappiamo distinguerci dai socialbot, perché basta un clic per ottenere ciò che si crede di cercare, perché per ordire un DDoS e abbattere un sito non è davvero necessario un corteo di persone compatto e organizzato.

Ma anche questo tipo di partecipazione guidata da relazioni depotenziate, avvertono gli autori di Nell’acquario di Facebook , spinge alla trasparenza. Lo spiegavano in tempi analogici Huxley e Orwell , distopie imbracciate dal Gruppo Ippolita come due modelli sulla base di cui si possono analizzare le dinamiche di domanda e offerta di trasparenza in Rete. Nell’uno si legge la corsa alla trasparenza esibita, asservita al consumo e al mercato, nell’altro le dinamiche di trasparenza imposte a livello statale: nell’uno e nell’altro caso la partecipazione è automatica e funzionale, produce risultati appetibili solo per chi deve alimentare la macchina del potere. Avviene lo stesso in Rete, dove sono gli strumenti progettati per creare masse connesse a trasformare in strumenti i cittadini che li utilizzano: vuoi con dati personali per nutrire la profilazione, vuoi con informazioni riservate che rimangono tracciate nelle maglie delle pratiche di data retention.

Nessuna speranza all’orizzonte? Esistono certo tecnologie di cifratura, esistono reti sociali plasmate per reagire allo status quo e sottrarsi al controllo, si può imparare a usare con consapevolezza gli strumenti della Rete e sottrarsi al default power delle impostazioni scelte da chi gli strumenti li mette a disposizione. Ma la decostruzione del Gruppo Ippolita, pur se condotta con metodo hacker, è innanzitutto una critica politica e filosofica. Per questo la soluzione balugina in una gelatiera che non richiede energia elettrica per funzionare : echeggiata in una serata afosa dai membri del gruppo di ricerca come mitico strumento al servizio di nonne pasticcere dei decenni scorsi, occasione di scambio e di confronto a proposito dei meccanismi della fisica applicata al servizio del refrigerio conviviale, è un progetto vincitore di un recente premio di design. Per dire che l’intelligenza collettiva non è intrinseca alla strutture sociali che si creano in Rete, che la partecipazione che crea senso ed identità si dispiega con più naturalezza in gruppi a dimensioni d’uomo, e non d’algoritmo. E che gli strumenti saranno anche rivoluzionari, ma restano sempre le persone a fare le rivoluzioni.

Nell’acquario di Facebook: la resistibile ascesa dell’anarcocapitalismo è un ebook disponibile sul sito di Ippolita, rilasciato sotto licenza Creative Commons BY-NC-SA 3.0 . È possibile consultarlo online, è possibile acquistare il PDF o l’EPUB personalizzati. Per questo Ippolita invita il lettore a consegnare ed esibire i propri dati .

Gaia Bottà

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Pubblicato il
13 giu 2012
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