Greenpeace e la nuvola di Apple

Greenpeace e la nuvola di Apple

Gli ambientalisti tornano sulla questione e concedono fiducia a Cupertino. Purché le sue non siano promesse da marinaio. Ora i datacenter della Mela sono un po' più verdi
Gli ambientalisti tornano sulla questione e concedono fiducia a Cupertino. Purché le sue non siano promesse da marinaio. Ora i datacenter della Mela sono un po' più verdi

Una coincidenza fortuita, ma che senz’altro è interessante: proprio nei giorni in cui Apple ha deciso di cancellare la propria presenza nelle liste delle certificazioni ecologiche EPEAT, torna a farsi sentire Greenpeace. Di fatto promuovendo (con riserva ) il comportamento di Cupertino in fatto di consumi energetici nei suoi datacenter: in attesa di scoprire se le promesse e i progressi fatti dall’azienda in questi mesi saranno mantenuti in futuro.

In un rapporto pubblicato ieri Greenpeace ha annunciato la decisione di “rivalutare” il proprio giudizio su Apple “per tenere conto dei suoi recenti annunci in fatto di energia pulita, e indicare quali passi ulteriori Apple dovrebbe intraprendere per ottemperare alle sue lodabili ambizioni di alzare l’asticella con un iCloud libero dal carbone e alimentato unicamente da fonti rinnovabili”. In poco più di una decina di pagine gli ambientalisti svelano luci e ombre dell’attuale mix energetico scelto dall’azienda per tenere in piedi l’infastruttura server che regge i suoi servizi, non facendosi mancare neppure l’occasione per caldeggiare maggiore attenzione già in fase di progettazione per queste faccende in previsione di un futuro datacenter in costruzione a Reno (Nevada).

Nel complesso, Apple non raggiunge la piena sufficienza nei punteggi di Greenpeace: meno del 25 per cento dell’attuale mix energetico utilizzato da Cupertino arriva da fonti rinnovabili, e gli ambientalisti criticano anche la mancanza di informazioni rispetto a quanto richiesto sulla provenienza di questa energia. Viste le intenzioni dichiarate dalla Mela di arrivare al 100 per cento di energie rinnovabili entro il prossimo anno, Greenpeace desidera conoscere in anticipo esattamente la provenienza di questa energia e i metodi utilizzati per produrla: niente crediti CO2 da comprare e cedere, niente energia comprata dall’altra parte del paese, ma investimenti in produzioni locali tramite eolico, fotovoltaico o biogas certificato .

Come esempi in positivo Greenpeace cita Facebook e Google : e a questi che Apple dovrebbe guardare per la sua “svolta filosofica”, ovvero Cupertino dovrebbe occuparsi non solo di realizzare un datacenter allo stato dell’arte ma anche della filiera che porterà fino ai suoi server l’energia necessaria a tenerli in funzione. Le promesse di Apple di diventare 100 per cento rinnovabile entro la fine del 2012 o al massimo il primo trimestre del 2013 appaiono difficilmente realizzabili agli ambientalisti: gli investimenti fin qui effettuati in North Carolina, ad esempio, non bastano a coprire il fabbisogno energetico del datacenter di Maiden, e un’infrastruttura capace di farlo non può essere creata dalla sera alla mattina.

Il confronto tra Apple e Greenpeace non è una faccenda recente: è iniziato qualche anno fa, e all’epoca fu lo stesso Steve Jobs a prendere in mano la questione tuonando sulla bontà della “mela verde” rispetto a un’industria IT mediamente inquinante. Oggi le cose, vedi caso EPEAT , stanno diversamente: di sicuro Greenpeace non sarà tollerante rispetto ai comportamenti di Apple nel campo dell’ecologia, anche se resta da capire quanto l’azienda si farà influenzare e pungolare dagli ecologisti e quanto questa diatriba possa realmente creare qualche grattacapo di immagine per Cupertino.

Luca Annunziata

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Pubblicato il
13 lug 2012
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