USA, libertà di WiFi

USA, libertà di WiFi

L'abbonato non è tenuto a proteggere la propria connessione wireless: la legge non stabilisce che debba collaborare con i detentori dei diritti nella prevenzione delle violazioni del copyright
L'abbonato non è tenuto a proteggere la propria connessione wireless: la legge non stabilisce che debba collaborare con i detentori dei diritti nella prevenzione delle violazioni del copyright

Nessuna responsabilità sul proprio indirizzo IP, se a commettere un illecito è un ignoto che abusa di una connessione WiFi non protetta: ha così deciso un giudice di una corte federale californiana nel quadro di una causa che ha come sfondo la violazione del diritto d’autore.

La denuncia era stata mossa da AF Holdings, azienda che opera nel settore dei video a luci rosse, nei confronti di un indirizzo IP assegnato all’abbonato Josh Hatfield. Che non ha mai abusato di BitTorrent per scaricare video protetti da copyright, ma che è stato accusato di aver permesso a terzi di farlo.

“Negligenza nella gestione della propria rete domestica”: questa la motivazione con cui i pornografi chiedevano giustizia nei confronti dell’abbonato che avrebbe permesso che ignoti violassero su larga scala il diritto d’autore approfittando della sua connessione WiFi. Hatfield avrebbe dovuto proteggere la propria rete domestica “per prevenire la violazione del copyright delle opere di AF Holdings”.

Il giudice Phyllis Hamilton ha respinto le accuse della casa di produzione: l’abbonato non ha alcun dovere di proteggere la propria connessione per evitare che terzi ne abusino . La legge non lo prescrive, né lo prescriverebbe alcun accordo tra AF Holdings e il cittadino della Rete, che non hanno mai intrattenuto rapporti prima di scontrarsi su un indirizzo IP.

EFF plaude alla decisione del giudice californiano e prospetta che il caso possa fungere da precedente per evitare che altri detentori dei diritti facciano leva sull’accusa di negligenza nella gestione della connessione e di violazione indiretta del copyright per spillare denari ad assegnatari di indirizzi IP rastrellati nelle reti P2P.

Ad una conclusione simile a quella del giudice Hamilton era giunta una corte di New York nei mesi scorsi, che per dimostrare come l’indirizzo IP identifichi una mera macchina e non il responsabile di un illecito era ricorsa all’analogia con il telefono: si tratta di un apparecchio che può essere utilizzato da più persone, un dispositivo che il proprietario non è tenuto a sorvegliare per prevenirne un uso illecito da parte di terzi. Lo stesso orientamento era stato assunto da un giudice dell’Illinois e da tribunali finlandesi e danesi , nonché dal Tribunale di Roma nel 2009.

Ma proprio sul concetto di responsabilità sulla connessione domestica si incardinano leggi erette a tutela del diritto d’autore come quella francese : il primo netizen su cui si sono abbattute delle sanzioni si è dichiarato non colpevole delle malefatte commesse a mezzo del proprio indirizzo IP.

Gaia Bottà

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Pubblicato il
18 set 2012
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