I contenuti e l'Agenda Digitale

I contenuti e l'Agenda Digitale

di G. Niola - Il provvedimento del governo incoraggia la digitalizzazione ma ignora i contenuti. L'industria medita sulle strategie per sopravvivere al digitale
di G. Niola - Il provvedimento del governo incoraggia la digitalizzazione ma ignora i contenuti. L'industria medita sulle strategie per sopravvivere al digitale

A poca distanza dalla presentazione dell’ agenda digitale da parte del Governo italiano, i principali operatori dell’industria dei contenuti (riuniti da Confindustria Cultura Italia) si sono ritrovati in un convegno per discutere dei mutamenti che l’agenda digitale porterà e soprattutto come questi cambieranno la veicolazione dei contenuti culturali. Rappresentanti del mondo del cinema, della musica, del software e delle TLC al più alto livello possibile. La scintilla che scatena l’evento è proprio la natura stessa dell’agenda digitale, ovvero un provvedimento che si occupa di regolamentare le infrastrutture e la pubblica amministrazione nella Rete italiana ma non i contenuti.

Non esistono ancora regole chiare, novità sostanziali o le necessarie ristrutturazioni in tutto quel sistema che regola il commercio di beni digitali in Rete e di ciò si lamentano tutti gli operatori, specialmente considerando come questo governo tecnico sia sembrato decisamente più attento ai temi della Rete e dunque il più adatto (finché in carica) a dirimerne le questioni più spinose. Per questo, di concerto, propongono al Governo, ora che l’agenda digitale è pronta, di elaborare anche una necessaria agenda per lo sviluppo dei contenuti digitali.

Certo non sono mancate le contraddizioni, a partire dalla dichiarazione di apertura di Enzo Mazza, rappresentate della FIMI (Federazione Industria Musicale Italiana): “( Quella del commercio in rete, ndr ) è una rivoluzione inarrestabile e non la si può fermare, è evidente. Basta guardare quel che è successo nell’industria indipendente, come sia cresciuta nel tempo. Adele ha fatto il disco più venduto del decennio partendo da un’etichetta piccola. È una rivoluzione inarrestabile che non va fermata applicando i vecchi schemi, farlo è stato un errore clamoroso della discografia, tocca fare ammenda”. A fronte di questa retromarcia sulle posizioni tenute una volta però poi solo pochi secondi dopo Mazza dimostra di non aver abbandonato l’idea di una guerra a tutto campo alla pirateria che colpisca tutto e tutti: “Ci sono noti brand e compagnie aeree che fanno pubblicità su siti illegali. Vanno colpiti anche loro perché finanziano l’illegale e tutti si devono rendere conto che questo è un business a 360 gradi. Simili provvedimenti devono essere parte delle strategia dell’agenda per lo sviluppo dei contenuti digitali”.

Attacchi alla pirateria e l’invocazione di nuovi provvedimenti più efficaci saranno una costante dell’incontro, tuttavia alle solite richieste si è finalmente affiancata una programmatica volontà di creare alternative legali.

La musica, dopo anni di commercio, può vantare ottimi risultati (“La musica digitale oggi rappresenta il 50 per cento di quella venduta nel mondo” annuncia sempre Mazza), il cinema invece potrebbe essere finalmente all’inizio di un’invasione massiccia e legale di internet. A rappresentarlo è Riccardo Tozzi, presidente Anica, l’associazione che riunisce produttori e distributori. Per il cinema, specie italiano, quello passato è stato un anno importante, con un guadagno di quota di mercato su quello straniero senza precedenti (il suo incasso costituisce il 40 per cento del totale, anche più di quanto il cinema francese faccia in patria) ed è ormai pronta a partire a fine anno la piattaforma ufficiale per noleggio e vendita di film online con un migliaio di titoli per iniziare: “Bisogna subito proporre al ministro Passera un dossier Industria Culturale Italiana che indichi punti precisi su cui chiediamo interventi immediati e che ponga una questione di atteggiamento, ovvero la comprensione del fatto che la produzione dei contenuti è la nostra forza. Se puntiamo tutto su un sistema di distribuzione tecnologico non tenendo conto dei ricavi utili per produrre ci dimostriamo retrogradi, non moderni, perché diventiamo distributori di contenuti altrui, quando invece in tutta Europa sappiamo che la nostra forza sono proprio i contenuti”.

Come cominciare dunque a monetizzare dai film in Rete senza distruggere di colpo il sistema che ad ora frutta ottimi ricavi, cioè quello delle sale e poi degli sfruttamenti televisivi? “Esistono film che escono in Italia ma che non trovano posto in sala, stanno poco e in pochi cinema, sono praticamente invisibili (si tratta del 40 per cento dei film italiani usciti e del 20 per cento di quelli stranieri). Questi devono essere i primi ad uscire subito online, accompagnati da un’azione promozionale forte che dia la sensazione che in Rete si possono vedere le prime visioni”.

Tutto questo deve essere parte di uno sforzo congiunto, nessuno lo nega, tuttavia da Stefano Parisi, presidente di Confindustria Digitale, arriva la più allarmante delle rivelazioni: “Il mercato digitale e quello reale non sono in antagonismo, questa è un dicotomia che ormai abbiamo superato facendo ammenda sull’atteggiamento tenuto in passato. Internet è un’opportunità e questa purtroppo ancora non è un’affermazione condivisa a tutti i livelli. In Confindustria sono pochi coloro i quali ritengono le tecnologie digitali un’opportunità”.

Quel che accade è che si frena un mercato per difendere la sua controparte reale: “Il mercato unico europeo ancora non è tale per i prodotti culturali. Ci sono problemi di procedure per vendere un film in ogni paese d’Europa, servono fatture e ricevute, quando invece i film in edicola si vendono pagando in contanti senza problemi. Occorre combattere una battaglia comune perchè il mercato unico europeo sia tale sia per i beni fisici che per quelli digitali”.

L’unico a tentare un discorso radicalmente diverso è Pietro Gaffuri, amministratore delegato di RaiNet, che parte dal presupposto che la produzione di beni digitali vada aiutata e alimentata ma con dinamiche diverse da quelle della produzione canonica: “Le possibilità di vendita online di prodotti audiovisivi non sono paragonabili a quelle della televisione tradizionale, allora anche la produzione dev’essere diversa. Un prodotto digitale deve avere una catena di produzione digitale, semplice e veloce. Chi ne ha le capacità può realizzare prodotti di ottima qualità con una videocamera e un computer. E basta”. E, oltre a dirlo, RaiNet sta anche investendo in quest’idea: “A parte rari casi, gli operatori televisivi non stanno lavorando per innalzare la qualità dell’autoproduzione giovanile. Sto incontrando dei giovanissimi che sviluppano prodotti fatti in casa molto buoni e che è sbagliato reprimere perché una simile attenzione alla produzione culturale da parte dei ragazzi non la si vedeva da molti anni”.

L’unico punto di vista radicale sulla questione della veicolazione dei contenuti digitali però viene da Paolo D’Andrea, responsabile servizi innovativi di Telecom Italia. Invece che porre l’accento sulle regole e i regolamenti, Telecom prova a fornire un’idea di business che associ i beni digitali ad un servizio in modo da poterli distribuire a costo zero per l’utente: “È il modello Spotify, tutto quanto a disposizione dell’utente a fronte di un pagamento invisibile, cioè che viene da altri che non siano i clienti. Per esempio TIM offre musica illimitata ma assieme ad un pacchetto tariffario (Tim Young), in modo da creare valore per l’azienda a fronte di contenuti gratuiti. Certo però l’industria dei contenuti deve marciare e mettersi in testa bene cosa vuole fare. Perché intanto i second best (film indipendenti, instant book…) muovendosi meglio e più in fretta prendono il posto di quei contenuti che vengono considerati più pregiati”.

Gabriele Niola
Il blog di G.N.

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Pubblicato il 9 ott 2012
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