Contrappunti/ I pozzi avvelenati del search

Contrappunti/ I pozzi avvelenati del search

di M. Mantellini - Chi garantisce la qualità dei risultati dei motori di ricerca? La concorrenza, che dovrebbe costituire spinta per la crescita, rischia invece di peggiorare il servizio per i navigatori?
di M. Mantellini - Chi garantisce la qualità dei risultati dei motori di ricerca? La concorrenza, che dovrebbe costituire spinta per la crescita, rischia invece di peggiorare il servizio per i navigatori?

La settimana scorsa Facebook ha presentato la beta del suo motore di ricerca senza nome. Racconta Steven Levy su Wired , dove è apparsa la solita anteprima sul progetto che Zuckerberg e soci un bel nome nemmeno hanno avuto il tempo di trovarlo, impegnati com’erano nella messa in opera delle sue funzionalità. Così ci si è accontentati di Graph Search.

Come accade sempre quando si accenna ai temi delle ricerche il pensiero è andato subito a Google ed al suo sostanziale monopolio: sarà in grado il motore di Facebook di insidiare in qualche maniera la casa di Mountain View? La risposta, nel breve periodo, è ovviamente no. Non tanto per ragioni tecnologiche e di architettura ma per più banali obiettivi di progetto. Graph Search è pensato per essere utilizzato dentro i dati di Facebook. Il suo obiettivo è quello di farsi strumento per raccogliere informazioni a noi utili che provengono dalla cerchia dei nostri amici (e dagli amici degli amici che avranno accettato di liberare parte dei propri dati) e per farlo utilizza un affascinante approccio a metà fra il Web semantico e la rappresentazione grafica e istantanea dei risultati.

Cercare informazioni dentro il proprio grafo sociale è da un certo punto di vista una piccola contraddizione in termini. Una operazione nella quale prima scegliamo di restringere nella miglior maniera possibile il numero dei nostri contatti e poi veniamo dotati di uno strumento per indagarne gusti e connessioni. Paradossalmente Graph Search mostrerebbe tutte le sue potenzialità il giorno in cui tutti gli utenti di Facebook dichiarassero la propria disponibilità a condividere i propri contenuti: se tali tendenze sono in qualche maniera calmierate dal nostro desiderio di selezionare i contatti anche il motore stesso perde di efficacia.

In realtà, come è noto da tempo, il dualismo fra ambiente chiuso e ampia condivisione dei dati è l’ossimoro sul quale si regge tutta la più recente filosofia di Facebook. Si tratta di un patto non perfettamente chiaro nel quale la piattaforma viene venduta a noi come giardino nostro e da noi stesso recintato mentre contemporaneamente l’architettura si attiva continuamente nel tentativo di aumentare il più possibile la diffusione di quegli stessi dati che noi ameremmo controllare. Graph Search non potrà far eccezione a questo e se nel suo prossimo periodo di allenamento il motore sarà utile per informarci su questioni non esattamente esiziali tipo quante ragazze single amiche di miei amici frequentano il bar Mocambo a Biella, è inevitabile che una simile architettura potrà in futuro, se ne sarà capace, affrontare con criteri simili la grande torta del web search, aggiungendola a quella di Facebook (che nel frattempo facebook troverà modo e maniera di rendere ancor più condivisibile).

È anche possibile che questo non accada perché l’orientamento del motore, dai primi commenti, sembra essere quello di una grande eleganza formale che nasconde una certa leggerezza contenutistica. Per esempio come sostiene Nicholas Carr sul suo blog in un articolo molto aspro, la grande importanza dei like nelle valutazioni dei risultati del motore rappresenta un formidabile punto di debolezza nonché di gigantesca interferenza commerciale. Ma se Graph Search dovesse domani funzionare e magari guadagnarsi un nome proprio dopo essere sbarcato sul web i problemi che creerebbe potrebbero essere maggiori di quelli che si propone di risolvere.

Le opzioni di ricerca sul Web hanno salde relazioni con i temi alti della condivisione della conoscenza. Questo non per scimmiottare la nota mission di Google ma per ovvie ragioni di approccio culturale alle informazioni. Non è un caso che Google, che si è trovato negli anni monopolista di fatto per ragioni primariamente tecnologiche, sia appena uscito indenne da un’indagine antitrust americana preoccupata dalla possibilità che i risultati di ricerca potessero essere in qualche maniera orientati per fini pubblicitari. Nello scenario peggiore, ipotizzabile per dopodomani, potremmo trovarci in una situazione in cui l’alto muro difensivo che Facebook ha costruito attorno ai dati dei propri utenti possa avvelenare la competizione sulle ricerche Web. Da un lato Google con le proprie ricerche, dall’altro Facebook e Bing che potrebbero sommare nei propri risultati i dati pubblici del Web a quelli privati di Facebook in una commistione inedita fra algoritmi intelligenti e intrusioni pubblicitarie del miglior offerente.

Ovviamente Google potrebbe fare altrettanto utilizzando le proprie vaste relazioni fra piattaforme differenti e fra loro collegate (a partire da G+) o acquistando sul mercato altri dati in vendita, ma il risultato sarebbe comunque qualcosa di peggiorativo rispetto all’esistente. La neutralità dei motori in nome del valore culturale del proprio indice enciclopedico sarò – spero – un tema di discussione per il prossimo futuro.

Massimo Mantellini
Manteblog

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Pubblicato il
21 gen 2013
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