In Australia la pubblicità di Google non inganna

In Australia la pubblicità di Google non inganna

Dopo sei anni di scontro legale, BigG batte il garante australiano della Concorrenza. Le inserzioni su AdWords non sono responsabilità di Mountain View
Dopo sei anni di scontro legale, BigG batte il garante australiano della Concorrenza. Le inserzioni su AdWords non sono responsabilità di Mountain View

Un semplice motore di ricerca sul Web, veicolo digitale per il trasporto di contenuti e informazioni fornite da terze parti. Google non avrebbe ingannato gli utenti australiani con i suoi link sponsorizzati, ritenuta non responsabile dei messaggi pubblicitari pagati dagli inserzionisti sulla piattaforma AdWords. Dopo sei anni di battibecchi legali, l’azienda di Mountain View ha ottenuto una vittoria cruciale contro il Garante australiano della Concorrenza.

Dal 2007 i vertici della Australian Competition and Consumer Commission (ACCC) accusavano BigG di pratiche commerciali scorrette nella visualizzazione dei risultati sponsorizzati. Ad esempio, dalla ricerca con la query Honda Australia sarebbe venuto fuori un link pubblicitario del competitor CarSales , con l’intento di ingannare gli utenti sul presunto legame tra i due marchi. In difesa, Google aveva sottolineato come il suo compito da search engine si limitasse al mero trasporto dei link sponsorizzati .

Cinque giudici dell’Alta Corte australiana hanno ora rovesciato una precedente decisione della Corte Federale, che aveva condannato BigG per l’utilizzo di parole chiave legate a concorrenti diretti da parte dei suoi inserzionisti . Pratiche contrarie alla normativa nazionale in materia di pubblicità ingannevole, in particolare della sezione 52 del Trade Practices Act del 1974.

All’unanimità, il panel presso la High Court of Australia ha deciso che gli utenti di Google sono perfettamente in grado di individuare la fonte dei link sponsorizzati – ovvero gli inserzionisti paganti – non ritenendo il gigante californiano responsabile diretto della presentazione online dei marchi o dei contenuti pubblicitari. In un breve comunicato, i vertici di ACCC hanno accettato la sentenza con una convinzione di base: aver lottato per regolamentare al meglio le pratiche dell’ advertising ai nuovi tempi digitali.

Mauro Vecchio

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Pubblicato il 6 feb 2013
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