Radicali e Società Internet firmano la petizione

Radicali e Società Internet firmano la petizione

Nuove importanti adesioni si aggiungono alle oltre 32mila firme della petizione contro la nuova legge sull'editoria. Qualche cybersquatter ne approfitta per farsi pubblicità mentre parte una contro-petizione. Non si placa la protesta
Nuove importanti adesioni si aggiungono alle oltre 32mila firme della petizione contro la nuova legge sull'editoria. Qualche cybersquatter ne approfitta per farsi pubblicità mentre parte una contro-petizione. Non si placa la protesta


Roma – Dopo le adesioni di Rifondazione Comunista, dei Giovani socialisti e di alcuni gruppi dei Verdi, anche i radicali hanno deciso di portare all’interno del dibattito politico la nuova legge sull’editoria. Un segno chiarissimo che le adesioni di migliaia di siti italiani e le numerose firme che continuano ad aggiungersi alla petizione stanno suscitando un crescente interesse nelle forze politiche, che potranno scegliere di occuparsene nella prossima legislatura.

Con una mozione dedicata approvata lo scorso sabato, il Comitato dei Radicali ha così annunciato la ripresa di una battaglia di vecchissima data per l’abolizione dell’Ordine dei giornalisti nonché la propria adesione alla petizione contro la legge sull’editoria promossa da migliaia di siti Internet italiani.

Nella mozione – che ha come primo firmatario il candidato della Lista Bonino a Firenze Matteo Mecacci che dovrà vedersela con il sottosegretario Vannino Chiti – la nuova legge viene attaccata duramente perché “estende all’informazione telematica le norme di stampo corporativo e illiberale che negano ai cittadini italiani le libertà costituzionali di stampa e di manifestazione del pensiero”.

Oltre a criticare la vetusta legge sulla stampa, i radicali sferrano un nuovo attacco all’Ordine dei giornalisti che “scampato per il momento il pericolo del referendum radicale per la sua abrogazione, mira in modo crescente, a dispetto delle ormai decennali proposte di riforme e modernizzazione, a mettere sotto ‘tutela corporativà l’intero sistema informativo italiano per garantire un regime politico che vede nella libertà di informazione il maggiore pericolo per la propria esistenza”.

Anche Società Internet, divisione italiana dell’autorevole Internet Society, ha emesso un comunicato stampa di appoggio alle preoccupazioni nate a causa della nuova legge e, oltre ad aderire alle manifestazioni in corso, ha invitato nuovamente i candidati alle prossime elezioni politiche a dichiarare le proprie intenzioni rispetto a questa legge e alle norme che potrebbero ostacolare la libertà di diffusione del pensiero su Internet.

“Tali norme – si legge nel comunicato – da una parte penalizzerebbero le diverse figure professionali che hanno contribuito alla crescita di Internet nel nostro paese e dall’altra parte ostacolerebbero l’uso della rete come straordinario e benvenuto veicolo di libera comunicazione interpersonale”.


Società Internet si scaglia anche contro il Legislatore che “fino ad oggi è intervenuto in modo episodico e contraddittorio, senza vera disponibilità a comprendere le caratteristiche e le potenzialità proprie di Internet. Società Internet auspica pertanto una modifica della normativa della legge 7 Marzo 2001, n. 62 e, in occasione delle prossime elezioni politiche, invita tutti i candidati a dichiarare il loro impegno in tal senso e ad agevolare la diffusione in Italia e nel mondo di un grande strumento di libertà e di crescita civile e sociale”.

E poiché Internet è bella perché è varia e ogni strumento può essere soggetto all’abuso, ieri sono stati rimossi dalla lista dei siti aderenti alla petizione alcune decine di domini acquistati da società impegnate nella loro rivendita a terzi interessati. Domini che fino a pochi giorni fa non erano in linea e che oggi lo sono allo scopo di essere venduti e per questo promossi come “aderenti” alla petizione. Una “mossa” che invece di agevolare il cammino della petizione finisce per ostacolarne lo sviluppo e che, oltretutto, richiede ulteriori energie da dedicare alla gestione delle sottoscrizioni.

Da segnalare invece nelle scorse ore la nascita di una contro-petizione, con relativa raccolta firme, organizzata da BigAlex . Forse con intenti umoristici, il sito accusa Punto Informatico di aver lanciato la petizione per non pagare tasse (argomento che la nuova legge, peraltro, non affronta). Allo stesso modo BigAlex, fingendo (?) di ignorare le nuove norme, sostiene che i grandi gruppi editoriali verrebbero tartassati dalla legge, quando è proprio per agevolarne le attività, a spese del contribuente, che è stata approvata.

Anzi, proprio nelle prebende che la legge garantisce a certi editori vanno probabilmente ricercate le ragioni di certe traballanti prese di posizione, in questi giorni, su alcune note ezine. In certi casi pare trattarsi, più che di connivenza, di semplice ingenuità.

Molte, d’altra parte, sono le osservazioni che possono facilmente essere prodotte per smontare la contro-petizione, la cui esistenza dà comunque a tutti modo di sperimentare sul campo come per “salvarsi” da una informazione errata su Internet bastino pochi clic di riscontro. Al contrario di quanto vogliono far credere gli interessati sostenitori delle “tutele” e delle “garanzie” sull’informazione online.


“Editoria, una legge da dimenticare” (*)

Roma – Internet, luogo di libero scambio delle opinioni e delle informazioni, è vittima ancora una volta di un assalto normativo da parte di una classe parlamentare che non sembra aver compreso la portata della Rete e della libertà che dischiude. Dal 4 aprile scorso, infatti, è operativa la legge 62/2001 sull’editoria, una legge pensata per consentire alla corporazione dei giornalisti e degli editori di migrare sulla Rete trascinandosi appresso le contribuzioni e le sovvenzioni che dominano il mondo della carta stampata da decenni.

Il problema non è però solo la trasformazione di Internet in Italia in un territorio da edificare con nuove fortezze industriali puntellate dallo Stato ma anche il fatto che si vuole farlo a spese del territorio stesso, impoverendo le risorse di ciò che è destinato a trovarsi attorno a quelle fortezze e che su quel territorio è arrivato già da lungo tempo.

Questa è la legge sull’editoria, una legge che con il suo primo articolo mira a creare un muro divisorio. Da una parte i prodotti editoriali garantiti, quelli che possono essere finanziati, quelli che accettano di sottostare a bollini blu apposti online dalla corporazione giornalistica. Dall’altra tutti gli altri, i siti dell’informazione ma anche le newsletter e gli infiniti altri mezzi che non si riconoscono in questa legge e che costituiscono diffusione di informazione attraverso il mezzo elettronico.

La nuova legge definisce pressoché qualsiasi forma di informazione online quale “prodotto editoriale” attribuendo a questa definizione una lista di obblighi e requisiti. Nuovi doveri per il mondo Internet italiano, dunque, che si intrecciano con i paradigmi delle “tutele” della vetusta legge sulla stampa, del 1948!, che si vuole con questa normativa far splendere di nuova luce come potesse davvero essere applicata ad Internet.

Le distanze tra il mondo della carta e quello della Rete sono molte. Per rimanere su alcuni esempi, basti pensare ad un giornale, che pubblica ogni giorno delle notizie. Sulla carta ciò che viene letto e comprato dal lettore va creduto, e non c’è modo di avere un immediato riscontro sulla fondatezza di una notizia o di un approfondimento. In Rete, invece, non solo con due clic del mouse si può arrivare dritti alla fonte, ma sulle pagine stesse delle notizie è possibile parlare, dialogare di quanto si è letto con altri utenti, scambiarsi opinioni, confrontare informazione. Di fatto, questa multidirezionalità della comunicazione via Internet costituisce nuova informazione che si aggiunge a quella fornita da una redazione.

Ma si potrebbe parlare, allo stesso modo, di un gruppo di discussione che vive di articoli pubblicati dai propri partecipanti, che quegli articoli commenta, pubblicandoli in ambienti accessibili per via elettronica oppure su siti dedicati. Liberamente, senza alcuna censura, come un’utopia di libertà che improvvisamente si è trasformata in un solido dato del reale.

Non ci si può limitare, come fanno in molti in questi giorni sui pochi media che hanno deciso di occuparsi della questione, a cavillare sulla virgola di un comma della legge. Fare questo porta inevitabilmente a perdere di vista lo scopo ultimo della nuova normativa, che è quello di dare alla Rete un imprinting di burocratico controllo che è proprio della carta stampata.

Ma alle pressioni della corporazione, agli entusiasmi del sindacato dei giornalisti e all’approvazione degli editori, la Rete anche in Italia, come già altrove, ha imparato a reagire. Una legge scandalosa che rischiava di passare completamente sotto silenzio si sta ora imponendo grazie alla più massiccia manifestazione di dissenso che il “popolo dei naviganti”, come piace descriverlo ai giornalisti meno informati, abbia mai messo in piedi in Italia. La petizione lanciata da Punto Informatico assieme a più di 2mila altri siti italiani con più di 25mila sottoscrizioni in cinque giorni contro questa legge dà l’idea di quanto tutto questo risulti indigesto a chi la Rete la conosce e la vive tutti i giorni.

Ed è clamoroso che nessuno dei protagonisti di questa legge, intervistato in questi giorni, abbia voluto accettare paragoni con i paesi dove Internet è maggiormente sviluppata, dove qualsiasi normativa relativa alla Rete viene discussa per lunghi mesi non tra le mura di un palazzo ma con gli utenti della Rete stessa. E non è un caso che negli Stati Uniti, in Germania o in Gran Bretagna le poche norme che sono passate non abbiano mai, in nessuna occasione, toccato la questione dell’informazione.

Giù le mani da Internet, dunque, e si impari a trattare la rete delle reti con la delicatezza che merita. Perché su uno strumento così delicato e rivoluzionario, non solo dell’economia ma dei costumi sociali e della partecipazione politica, una legge imposta frettolosamente dall’alto non può che far danni.

Paolo De Andreis

(*) Commento apparso nei giorni scorsi sul supplemento Itali@Oggi.it del quotidiano Italia Oggi.

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Pubblicato il
17 apr 2001
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