CPU/Celeron II, la rinascita

CPU/Celeron II, la rinascita

Da una costola del fratello maggiore nasce il nuovo Celeron, il processore che Intel pone nella fascia bassa del mercato e che in passato si è rivelato tutt'altro che "modesto"
Da una costola del fratello maggiore nasce il nuovo Celeron, il processore che Intel pone nella fascia bassa del mercato e che in passato si è rivelato tutt'altro che "modesto"


Il 29 marzo Intel ha annunciato il Celeron II, erede del vecchio Celeron A, che lo affiancherà sul mercato nelle frequenze più elevate fino a soppiantarlo completamente, come era avvenuto fra Pentium II e Pentium III.

Le caratteristiche di questo ultimo nato, che eredita dal suo fratello maggiore lo stesso nucleo detto “Coppermine”, prevedono una cache di 2° livello di 128 KB (256 KB nel PIII) operante alla stessa frequenza del processore, un bus dati a 256 bit (come il PIII), l?impiego delle istruzioni multimediali SSE (ereditate dal PIII), un processo di fabbricazione a 0.18 micron ed il famigerato serial number.

Le frequenze iniziali sono di 566 e 600 MHz, mentre il bus di sistema, almeno in questi primi modelli, resta a 66 MHz. Come abbiamo detto, l’architettura del nucleo è del tutto identica a quella del Pentium III Coppermine, e da questo si distingue principalmente per la dimensione della cache di 2° livello e per il bus di sistema.
La domanda che tutti si pongono è quanto incidano sulle prestazioni queste due differenze, e, in sintesi, quale sia il rapporto prezzo/prestazioni. In Rete si possono trovare vari benchmark ma è meglio, per essere chiari, fare un passo indietro, alla nascita del primo Celeron.


Era il 1998 quando Intel decise, per abbattere i costi di produzione, di dar vita ad una linea economica di processori che si basasse sulla stessa architettura dei Pentium II ma che, rispetto a quelli, fosse priva della cache di secondo livello: una soluzione, secondo Intel, che avrebbe potuto ben adattarsi alle tipiche applicazioni per l’ufficio. Proposto nelle frequenze di 266 e 300 MHz, questi primi modelli di Celeron si rivelarono una grossa delusione proprio a causa della mancanza delle mediocri prestazioni: la totale mancanza di cache L2 eliminava, in pratica, ogni beneficio dovuto alla maggior frequenza di clock rispetto ai Pentium MMX. Nacquero così i Celeron A, nome in codice “Mendocino”, che seppur appartenenti alla fascia bassa del mercato, portavano con sé una soluzione tecnica già provata nel Pentium Pro, ovvero l’integrazione su chip di una cache L2 che andava alla stessa velocità del processore. Questa nuova generazione di Celeron si rivelò fin troppo veloce per gli interessi di Intel e, soprattutto, molto overcloccabile: anche grazie al moltiplicatore non eccessivamente alto (4x ? 4,5x), la differenza fra il Celeron e il PII non era poi così netta, inoltre la possibilità di forzare il bus a 100 MHz (come il PII) portava il Celeron 300A a poter tranquillamente “reggere” una frequenza operativa di 450 MHz (il 50% in più).

Ma il Mendocino è artefice, in tempi più recenti, di una seconda rivoluzione: il ritorno a interfacce processore-sistema di tipo socket (il 370), più piccolo ed economico rispetto allo Slot1, ormai non più necessario vista l’integrazione della cache L2 all’interno del “piccolo” core Coppermine a 0,18 micron.


Intanto, a passi di 33, la frequenza è aumentata fino a 533 MHz e con questa, paradossalmente, anche i divari prestazionali nei confronti del PIII. Sebbene infatti il Celeron II sfrutti meglio del suo predecessore le frequenze di clock più elevate grazie alla maggiore efficienza della cache di 2° livello e alle estensioni SSE (invero non eccessivamente usate nei software attuali), questi miglioramenti vengono in buona parte vanificati dal collo di bottiglia generato dagli ormai anacronistici 66 MHz di bus di sistema.

Come la solito, il divario prestazionale fra Celeron e PIII non è fisso ma varia a seconda degli ambienti applicativi a cui ci si riferisce. Ad esempio, nei tipici e onerosi giochi quali Quake III ed Unreal Tournament, che stressano all’inverosimile processore e bus di sistema, la differenza può superare il 35%, mentre nelle tipiche applicazioni da ufficio la differenza (se notabile) si mantiene in pochi punti percentuali.

La questione overclocking, rispetto al passato, è piuttosto limitata. Non è pensabile impostare il bus a 100 MHz ottenendo clock a 850 o 900 MHz. Resta l?eventualità di operare fuori specifiche impostando il bus a 75 MHz (si ottengono 637 o 675 MHz) oppure a 83 MHz (705 o 747 MHz) che potrebbero essere ben tollerati da certe CPU, ma che magari sono mal tollerate da altre periferiche (controller EIDE e SCSI in testa) rendendo il sistema instabile e inaffidabile.
Da notare poi che, forse per la minore cache, il Celeron II opera a 1.5 volt contro gli 1.6 volt del PIII: questa piccola differenza potrebbe tornare a vantaggio dell’overclocking.

A mio avviso con il salire delle frequenze il divario fra il Celeron e il fratello a piena frequenza si è fatto più marcato e decisamente più avvertibile rispetto alla coppia Celeron A ? Pentium II, ma resta la possibilità di distribuire il risparmio di prezzo negli altri componenti del sistema, quale scheda video (per giocare) o monitor (per lavoro), accontentandosi comunque di una potenza sufficiente per ogni uso.
Ora non resta che attendere la risposta di AMD al Celeron: l’Athlon Spitfire.

Raffaele Galli

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Pubblicato il
3 apr 2000
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