Londra vuole chiudere Usenet

Londra vuole chiudere Usenet

Una sentenza porta indietro la Gran Bretagna di alcuni anni. Stabilisce che un provider può essere considerato responsabile per i contenuti dei newsgroup. Una sentenza pericolosa
Una sentenza porta indietro la Gran Bretagna di alcuni anni. Stabilisce che un provider può essere considerato responsabile per i contenuti dei newsgroup. Una sentenza pericolosa


Londra – Arriva come una mazzata che ricorda altri tempi, “i primi anni” di internet, la sentenza di un giudice britannico secondo cui un provider di servizi internet può essere ritenuto responsabile dei contenuti che vengono pubblicati sui newsgroup ospitati dai propri server.

L’incredibile sentenza, che riapre un dibattito che si sperava chiuso per sempre, è ai danni di uno dei maggiori fornitori di servizi internet britannici, Demon . L’ISP dovrà pagare 24mila sterline di danni a Laurence Godfrey, un medico che ha denunciato il provider per messaggi diffamatori apparsi in alcuni gruppi di discussione.

La corte che ha esaminato il caso, ha ritenuto che sotto la legge britannica Demon sia responsabile dei contenuti di quei messaggi proprio come un editore lo è rispetto ai libri o alle riviste che pubblica. Non solo, secondo il giudice non ha importanza chi ha postato quei messaggi nè dove si trovi. L’unica cosa che conta è che sono stati “pubblicati” dai server dell’azienda.

La sentenza, dunque, attesta che in Gran Bretagna il provider non è considerato come una compagnia telefonica, cioè non responsabile per le conversazioni che avvengono via telefono, o come l’ente postale, irresponsabile di quanto contenuto nei plichi che smista ogni giorno. Il provider viene considerato “de facto” come uno strumento di controllo.

A Demon, infatti, Laurence aveva segnalato in due diverse occasioni i messaggi che riteneva diffamatori ma il provider non ha ritenuto di cancellarli. E Laurence non ha denunciato gli autori dei messaggi ma soltanto il provider, riuscendo poi ad ottenerne la condanna. Secondo Demon, invece, la legge va cambiata al più presto, perché non si può chiedere ad un provider di monitorare i newsgroup né di procedere alla verifica e alla cancellazione dei messaggi eventualmente contestati.

La sentenza, avvertono intanto gli esperti, rischia di indurre i provider a cambiare policy e ad innalzare restrizioni sull’uso della rete per proteggersi da azioni legali come quella di Laurence.

Va detto che la questione “responsabilità dei provider” è una delle più “antiche” nella storia della rete. Ma fino ad oggi, negli USA ma anche in Europa, è prevalsa la tesi che equipara il provider alle Poste o ad una compagnia telefonica. In Germania, con una famosa questione che ha colpito CompuServe si è arrivati due anni fa ad una legge che sancisce importanti limiti alla responsabilità dei provider. E in Gran Bretagna, dove la rete è più diffusa e conosciuta che in qualsiasi altro paese europeo, erano pochi ad aspettarsi una sentenza del genere.

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Pubblicato il
3 apr 2000
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