Contrappunti/ Le ombre dietro Prism

Contrappunti/ Le ombre dietro Prism

di M. Mantellini - Le parole sono importanti. E le parole delle net company pronunciate dopo lo scoppio dello scandalo non sono tranquillizzanti. Con una eccezione
di M. Mantellini - Le parole sono importanti. E le parole delle net company pronunciate dopo lo scoppio dello scandalo non sono tranquillizzanti. Con una eccezione

Metadati .

Un Obama insolitamente imbarazzato ha dichiarato alle telecamere quello che le telecamere sapevano già, vale a dire che il contenuto delle conversazioni dei cittadini americani non era stato intercettato. Metadati, ha detto il Presidente americano, scandendo bene la strana parola come fosse di fronte ad una classe elementare, metadati. Non rubiamo le vostre parole, raccogliamo metadati, e per una buona causa oltretutto, per difendervi dai terroristi.
Se esiste un momento di grande debolezza del Barack Obama di questi ultimi anni è contenuto in quei pochi secondi di conferenza stampa nei quali, producendosi in affermazioni formalmente corrette, il Presidente, nella sostanza, inganna i suoi concittadini.

Oltraggiose .

Mark Zuckerberg ha affidato le sue prime dichiarazioni ufficiali, manco a dirlo, ad un post sulla sua pagina Facebook. La parole sono calibrate e assomigliano assai poco ai toni colloquiali tipici della Silicon Valley; sembrano piuttosto il prodotto glaciale e misurato di un ufficio legale con poca voglia di scherzare. Tranne nella prima frase nella quale Zuck rigetta come “oltraggiose” le indiscrezioni di stampa sui rapporti fra Facebook e NSA pubblicate dal Guardian e dal Washington Post . Ci sono ottime possibilità che le dichiarazioni di Zuckerberg siano nella sostanza inattaccabili, a questo servono gli avvocati, in pratica però si tratta di un artificio retorico usuale dove nulla viene escluso e nulla è confessato. E forse l’unica cosa lievemente oltraggiosa del post di Zuck è appunto questa.

Punto .

Larry Page ha dedicato alla vicenda un post a sua firma (insieme a quella di David Drummond, capo dell’ufficio legale) sul blog di Google. Anche in questo caso i toni sono assertivi e fermi: “Qualsiasi informazione di stampa che affermi che Google offre accesso diretto ai dati dei suoi utenti è falsa, punto”. Il punto, come è noto, quando viene scritto per esteso come in questo caso, non ammette repliche: period , che anagrammato in italiano si sarebbe potuto tradurre anche con un efficacie perdio! . Ma lasciando perdere gli anagrammi: come è stato da più parti sottolineato, il comunicato ufficiale di Google sembra la fotocopia di quello di Facebook e dietro a vaghe dichiarazioni di principio lascia aperti più interrogativi di quanti non ne chiarisca.

Gabbia di cristallo .

Al di là delle imprecazioni e degli aggettivi forti, le dichiarazioni di Zuckerber e Page non hanno né rassicurato né convinto. Ricordano le frasi standard dell’avvocato difensore del crudele serial killer: “Il mio cliente si dichiara innocente”. Tutti sanno che, in fondo, l’imputato innocente è difficile che lo sia. Come scrive il NYT , smentendo nella sostanza le dichiarazioni sia di Facebook che di Google, non c’è alcun bisogno che i provider forniscano diretto accesso ai propri server, è sufficiente che, come potrebbe essere successo nel caso di Prism, negozino interfacce di collegamento fra i propri dati e NSA, dietro la utile segretezza dagli accordi FISA. Ne è ulteriore controprova il fatto che – come si è appreso in questi giorni – i report sulla trasparenza che Google strombazza in giro da un po’ di tempo non comprendono le richieste FISA, cioè quelle che contengono un obbligo di segretezza imposta al destinatario. Tutto ciò rende la grande gabbia di cristallo dentro la quale Google e altri rinchiudono i dati dei loro clienti molto meno trasparente di quello che potrebbe sembrare. Come talvolta accade la trasparenza diventa una banale tecnica di marketing aziendale venduta a chi ci crede.

Il grande assente .

Nella famosa foto della cena californiana in cui il presidente Obama brinda con i rappresentati delle principali aziende della Silicon Valley, immagine che in questi giorni è stata frequentemente rievocata, talvolta anche in chiave ironica, a simboleggiare l’abbraccio mortale fra il governo impiccione e le piattaforme di rete accondiscendenti, manca, a ben vedere, un attore importante. Si tratta dello stesso soggetto che non è mai citato nelle slide che il Guardian e il Washington Post hanno pubblicato nei giorni scorsi. In quelle immagini, preparate da qualcuno che ha comunque un rapporto conflittuale con la grafica su PowerPoint, ci sono Microsoft, Apple, Google, Facebook, Skype, Yahoo!, ma non c’è Twitter. Che questa ingombrate assenza derivi dall’essenza stessa di Twitter, i cui contenuti sono in gran parte aperti o che invece, più probabilmente, Twitter sia assente da simili accordi per una sostanziale e già in passato sperimentata ostilità dell’azienda ad ogni compromesso che riguardi i dati dei suoi clienti, non è dato sapere.

Sia come sia, nell’enorme calderone scoppiato in questi giorni Twitter non c’è. Prendiamolo come il segnale di una possibile scelta di non allineamento. Una, magari piccola, forma di nuova resistenza, di cui abbiamo molto bisogno.

Massimo Mantellini
Manteblog

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Pubblicato il
10 giu 2013
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