Il bene e il male della pirateria

Il bene e il male della pirateria

Nuovo studio sugli effetti benefici della pirateria sul mercato dell'intrattenimento audiovisivo. I discografici di IFPI contestano il report della London School of Economics
Nuovo studio sugli effetti benefici della pirateria sul mercato dell'intrattenimento audiovisivo. I discografici di IFPI contestano il report della London School of Economics

Condotto dai ricercatori della London School of Economics (LSE), un nuovo studio sugli effetti benefici della pirateria sull’industria dell’intrattenimento audiovisivo. L’ennesima dimostrazione che la condivisione illecita dei contenuti cinematografici o musicali può risultare un valido alleato per lo sviluppo del mercato a favore dai legittimi detentori dei diritti. Il governo britannico dovrebbe pertanto ascoltare voci diverse da quelle lobbistiche, verso una seria riforma delle attuali norme legislative sul copyright.

A dispetto del panorama di devastazione dipinto dalle major, il fatturato derivante dalle vendite digitali – comprese quelle piattaforme autorizzate per lo streaming in abbonamento – compenserebbe adeguatamente il declino registrato sul mercato dei CD o DVD fisici. Al di là dei pianti della Motion Picture Association of America (MPAA), l’industria cinematografica statunitense avrebbe registrato il record d’incassi al box-office, con 35 miliardi di dollari nel 2012, il 6 per cento in più dal 2011. Per quanto concerne il futuro dell’industria discografica, i ricercatori della LSE hanno registrato un aumento significativo nel fatturato proveniente dai concerti e dalle vendite in formato digitale, trascinato dalle piattaforme a buffet come Spotify. Dal 2000, il declino nelle vendite di CD fisici non sarebbe assolutamente collegabile alla condivisione di musica pirata, che al contrario andrebbe ad alimentare la popolarità degli artisti così come la vendita di biglietti, merchandising e persino degli stessi dischi.

Nel processo di revisione delle norme legislative sul diritto d’autore, il governo britannico dovrebbe ascoltare di meno le major e di più gli esempi della Rete, a partire dal successo di SoundCloud, un servizio che permette ai singoli artisti di condividere i propri brani. Abbinata alle condivisioni su YouTube, la popolarità del file sharing avrebbe effetti benefici sulla stessa volontà di spesa degli ascoltatori d’Albione, dal momento che i pirati sarebbero tra i maggiori consumatori di materiale audiovisivo (legale).

Mentre in Giappone si discute degli effetti della nuova legge sulla criminalizzazione degli scariconi – fino a 2 anni di prigione per i reati di pirateria, a fronte di una costante diminuzione nel fatturato sia dalle vendite fisiche che da quelle digitali – il report della LSE è stato contestato dai vertici della International Federation of Phonographic Industry (IFPI), che si scagliano contro quelli che ritengono errori metodologici oltre che contro l’approccio, a detta di IFPI privo di senso pratico.

In primis, IFPI sottolinea come la crescita nel settore dei concerti dal vivo non possa essere considerata come una forma di compensazione per la diminuzione nelle vendite di dischi, dal momento che le carriere dei singoli artisti non possono basarsi sui soli concerti. Accusati di scarsa aderenza al futuro digitale, i discografici britannici hanno ribadito una repentina trasformazione del business musicale, cresciuto grazie alle piattaforme online (comunque) minacciate dalla pirateria globale.

Mauro Vecchio

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Pubblicato il
15 ott 2013
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