SCO parla del caso IBM-Linux

SCO parla del caso IBM-Linux

a cura di A. Del Rosso - Punto Informatico ha intervistato il regional manager italiano di SCO Group per chiarire la posizione dell'azienda in merito alla causa con IBM e ai reclami sul copyright di Linux
a cura di A. Del Rosso - Punto Informatico ha intervistato il regional manager italiano di SCO Group per chiarire la posizione dell'azienda in merito alla causa con IBM e ai reclami sul copyright di Linux

Roma – Il mondo Linux è in movimento da tempo a causa della posizione assunta da SCO Group sul fronte delle proprietà intellettuali. Di seguito l’intervista di Punto Informatico a Orlando Zanni , regional manager per l’Italia di SCO Group, in merito alla causa legale con IBM e alle questioni di copyright relative a Linux.

Punto Informatico : Il 28 novembre avete organizzato un tour in Europa e anche in tre città italiane. Qual era la sua finalità?
Orlando Zanni : Primariamente quella di chiarire meglio la posizione di SCO in merito alla causa con IBM e alle vicende che riguardano Linux, oltre che aggiornare i propri clienti e partner sulle proprie attività di sviluppo prodotti. Con questo tour SCO ha avuto l’opportunità, per la prima volta in Europa, di esprimere pubblicamente la propria posizione relativa a Linux, questione che era stata prima di questo momento quasi esclusivamente affidata alle dichiarazioni del suo CEO.

PI : Facciamo una sintesi delle accuse che lanciate a IBM e, più in generale, alla comunità di sviluppo e di utenti di Linux.
OZ : Il modo in cui ha formulato la domanda già rappresenta una visione della vicenda che non è esattamente quella che SCO ritiene di aver espresso. Noi abbiamo effettivamente fatto delle accuse a IBM, accuse molto specifiche: violazione del contratto, concorrenza sleale, ingerenza negli affari, furto dei segreti industriali. Ma, come si può vedere, le motivazioni delle denunce a IBM sono tutte di natura contrattuale. Tengo a precisare che questa è l’unica causa che SCO ha intrapreso fino a questo momento.

Orlando Zanni Nei confronti degli utenti finali non c’è stato un processo di accusa. SCO ritiene infatti che gli utenti finali si trovino in una situazione di illecito, non per causa loro, ma in buona fede. Nel caso degli utenti esiste un problema di copyright. Quindi è evidente come vi siano due aspetti separati della vicenda: una causa legale che SCO ha iniziato contro IBM, basata su aspetti contrattuali, e una situazione di violazione di copyright, che ha una storia autonoma.

La violazione di copyright è un elemento che porta in causa chi si trova nella condizione di violazione, ossia colui che ha in casa un software proprietario e protetto da copyright, senza la relativa licenza. A questi noi abbiamo reso noto l?esistenza di un problema. Il fatto che SCO abbia da subito dichiarato che l’azione legale è uno dei mezzi possibili, anche se non obbligato, per rivendicare le sue proprietà intellettuali è stato tradotto da buona parte dei media come se SCO avesse intenzione di attaccare in maniera indiscriminata gli utilizzatori di Linux.
In realtà non è SCO che deve fare il carabiniere. SCO si trova nella posizione di dover dire a una serie di utenti che sono in violazione del suo copyright. Tutti saranno d’accordo nel ritenere che una situazione del genere, quando scoperta, debba essere risolta: un’azienda non può rimanere in una situazione impropria, le leggi sul software parlano chiaro.

PI : Non sarebbe stato meglio attendere la fine del processo con IBM?
OZ : Come dicevo prima, la causa con IBM è stata mediaticamente sovrapposta all’aspetto copyright, ma non lo è. Ovviamente noi tutti conosciamo l’importanza che questa sentenza avrebbe sull’opinione pubblica: una vittoria darebbe a SCO una credibilità senza dubbio maggiore, ma da un punto di vista strettamente legale le due cose non sono correlate.

PI : SCO può dimostrare questa violazione di copyright?
OZ : SCO può dimostrare la violazione nei confronti di tutti quelli che utilizzano Linux con kernel 2.4 o successivi. Per cercare di chiarire, facciamo un parallelo fra la proprietà di copyright e la proprietà di un immobile: io non ho bisogno della sentenza di un giudice per dire che un immobile è mio, è sufficiente che mostri il rogito. Se per errore o per frode la casa era stata data in uso o venduta a qualcun altro, o si trova un accordo o, se l?utilizzatore ritiene che i miei documenti non siano validi, si va in tribunale.

Qualcuno potrebbe tuttavia utilizzare la via del tribunale come strategia per portare avanti queste cose in modo che succedano altre cose in mezzo e, a lungo andare, il problema si indebolisca e venga dimenticato dall’opinione pubblica. Il nostro obiettivo, ovviamente, non è quello, ed è per questo che abbiamo ritenuto necessario rivendicare da subito i nostri diritti verso tutti i soggetti in violazione.

A questo punto la sentenza di un giudice a favore di SCO potrebbe senza dubbio dare al nostro reclamo non tanto una validità legale, che già possiede, ma piuttosto una percezione mediatica più fondata del problema. Se per far questo dovremo passare attraverso una causa con uno o più utenti… SCO ha dichiarato fin da subito che è pronta a fare anche questo. Ma, ribadisco, fino ad oggi SCO è ricorsa al tribunale solo contro IBM.

PI : Questo si riaggancia alle recenti dichiarazioni di Darl McBride, presidente e CEO di SCO, sul fatto che nei prossimi tre mesi potrebbero esserci delle denunce contro alcuni grossi utenti di Linux.
OZ : Dal momento in cui SCO è scesa in campo, a inizio anno, ha trovato una chiusura estrema su tutti i fronti da parte dei suoi vari interlocutori, quindi a questo punto intende passare a una seconda fase in cui, come ho detto prima, potrebbe essere per noi necessario ricorrere al tribunale contro alcuni grossi utenti di Linux con cui non siamo riusciti a trovare un accordo. Ma saranno azioni mirate: la strategia di SCO non si tradurrà, come alcuni media sembrano suggerire, in denunce indiscriminate.

SCO ritiene di avere un problema di violazione dei propri diritti che l’ha pesantemente danneggiata: ha danneggiato la sua economia come i suoi dipendenti. Per noi diventa dunque importante trovare una soluzione del problema in tempi rapidi esercitando i nostri diritti nella maniera più diretta e precisa: come ripeto, non si tratterà di azioni indiscriminate ma di azioni mirate.

In Italia al momento speriamo di non dover essere coinvolti in cause legali. Anche qui abbiamo cominciato a dialogare con alcuni grossi utenti i quali sono ora coscienti del problema e di come uscirne. Devo francamente dire che i soggetti con cui siamo entrati in contatto, anche aziende molto piccole, hanno capito benissimo il merito della questione: questo è del resto molto chiaro e davvero non comprendo come a volte venga presentato in maniera così ingarbugliata.

Ovviamente questo problema potrebbe avere conseguenza importanti per l’industria, ed è questo che secondo me ha creato prese di posizione di non compromesso: la vicenda ha dimensioni enormi, soprattutto tenuto conto delle posizioni così rigide tenute dalle parti in causa. Scremato da una componente ideologica, che non interessa il mercato, la soluzione è semplice e perfettamente comprensibile per il mercato, che non ne verrebbe danneggiato.

La posizione di SCO si comprende bene: non intendiamo assolutamente rinunciare al nostro asset più importante. E sull’altro fronte, ad oggi non sembra esserci nessun elemento di apertura. PI : La vostra posizione vi porta a combattere Linux e l’open source anche sotto il profilo ideologico?
OZ : No, SCO non è contraria al modello di sviluppo open source: è questo un modello cooperativo che ha dimostrato molteplici vantaggi ed è, in buona sostanza, positivo. Quello che SCO dice è che va opportunamente integrato con dei meccanismi di tutela della proprietà intellettuale. Il modello di business sotteso alla licenza GPL non è invece un modello positivo, perché toglie valore al software come tale ed all?industria del software pacchettizzato nel suo complesso.

Il problema che va affrontato è quello di come fare convivere tecnologie free e proprietarie, mentre oggi la GPL esclude questa possibilità. Il modello free può andare bene a chi produce hardware e servizi, e sicuramente oggi i più grandi nomi di Linux, IBM in testa, sono grandi produttrici di hardware e grandi fornitori di servizi. La realtà è che la nascita dell?industria del software pacchettizzato, indipendente dall?hardware, ha creato negli ultimi 20 anni un mercato più competitivo rispetto alla fase storica precedente, quella del mainframe per intenderci. Le affermazioni di McBride sono però state interpretate come un attacco ideologico all’open source e a Linux.

PI : In realtà McBride è stato abbastanza pesante nel commentare la GPL
OZ : McBride è stato molto diretto, ma anche molto preciso sulla questione GPL, distinguendo, come ho fatto in precedenza, fra open source e GPL: egli ha esplicitamente affermato che quest’ultima licenza distrugge il valore del software e, pertanto, come azienda che vive con il software SCO non può non criticarne pesantemente il modello. McBride ha però anche precisato che la GPL non è stata portata da SCO nel merito del processo, bensì da IBM, che intende avvalersene come una sorta di scudo: la GPL è stata infatti citata per la prima volta in una contro-accusa di IBM. Da quel momento questa licenza si trova all’interno dello scontro e d’ora in poi dovrà confrontarsi con le leggi che regolamentano il copyright.

PI : La comunità di Linux vi ha però fatto notare come fino a poco tempo fa anche voi vendevate un prodotto basato su Linux e, dunque, protetto dalla licenza GPL.
OZ : C’è chi dice che le richieste di SCO non hanno merito perché, avendo distribuito un sistema operativo basato sul kernel di Linux, avrebbe tacitamente concesso che il proprio codice venisse distribuito sotto la licenza GPL. Questo aspetto non ha però nessun fondamento legale perché è assolutamente chiaro, sia per le leggi che regolamentano il copyright sia per le clausole contrattuali che regolano la stessa GPL, che ciò che va a finire sotto la GPL ci deve andare per un atto esplicito di chi detiene la totale proprietà del codice. Se così non fosse, chiunque potrebbe mettere qualsiasi cosa sotto la GPL e rivendicarne i diritti.
Per fare un esempio: assumo un dipendente di Oracle, mi ritrovo in mano i sorgenti di questa società, li metto sotto la GPL e il gioco è fatto. In sei mesi Oracle è fuori dal mercato.

Mi spingo oltre nel dire che il “regalare” al mondo OpenSource software proprietario, anche nel pieno rispetto delle regole che governano la proprietà del software, potrebbe ipoteticamente essere utilizzato come cavallo di Troia per mettere fuori mercato un competitor scomodo, quando posso contare su redditi derivanti da altri segmenti di mercato. Che questo non debba accadere in un mercato corretto penso siamo tutti d’accordo. Da qui si capisce come una cosa estremamente positiva se inserita in un certo ambito (software free per aumentare l?innovazione e lo scambio di informazioni in una comunità estesa) possa rivelarsi negativa in un altro (mercato competitivo dove le aziende si combattono aspramente). La soluzione è trovare dei meccanismi di convivenza, non di cannibalizzazione.

Tornando al caso SCO, le normative che regolamentano il copyright non permettono la perdita del copyright se non per un atto esplicito da parte del titolare dei diritti di proprietà.

Quando SCO si è accorta che all’interno di Linux vi era un chiaro problema legato alla violazione dei propri diritti ha immediatamente sospeso la distribuzione del proprio sistema operativo Linux. Quando SCO distribuiva Linux non era evidentemente a conoscenza che Linux contenesse un numero così importante di proprietà intellettuali di SCO.

PI : In un recente rapporto presentato dal presidente di SCO è emersa la citazione di eventuali incentivi destinati alle aziende per passare ad altri sistemi operativi, anche eventualmente non di SCO.
OZ : Dunque, ho visto questa citazione, ma soprattutto ho visto articoli che parlano di questa cosa. Quello che le posso dire è che gli unici programmi che SCO ha adottato sono riferiti alla commercializzazione dei propri prodotti; anche perché, e lo sottolineo, un’altra cosa che è stata male interpretata o poco detta sulla stampa è che SCO vive interamente dei propri prodotti.

SCO ha solo programmi di spinta dei propri prodotti, come ovvio. Ritengo che quelle citazioni si riferiscano al fatto che quando andiamo a informare gli utenti finali della situazione in cui si trovano loro ci chiedono: ?Qual è la via d’uscita??. Noi rispondiamo che, in termini assolutamente generali, le vie d’uscita possibili sono tre.
La prima è regolarizzare la propria posizione pagando una licenza che compra il codice proprietario che in quel momento è in utilizzo nell’azienda.
La seconda è di eliminare il problema alla radice sostituendo Linux con un altro sistema operativo che non violi i nostri copyright: questo può essere una versione di Linux basata su di un kernel precedente al 2.4 o un qualsiasi altro sistema operativo.
Come terza possibilità c’è quella di ignorare il problema, e in questo caso l’utente se ne assume però tutte le responsabilità. Queste sono le tre opzioni, e SCO non spinge né per l’una né per l’altra, ma per quel che riguarda il punto due, è chiaro che noi preferiamo che gli utenti utilizzino il nostro Unix. PI : Qualche tempo fa McBride ha però detto che SCO è sempre stata un’azienda in perdita e i primi guadagni sono arrivati da SCOSource , la divisione nata nell’ultimo anno per gestire e proteggere il portafoglio di proprietà intellettuali dell’azienda.
OZ : SCO non è sempre stata in perdita; è vero che SCO negli ultimi due anni ha perso, ma è anche vero che SCO ha cambiato strada ed è tornata a focalizzarsi su un asset tanto importante qual è Unix.

Negli ultimi due anni SCO è stata un’azienda Linux, perché nel 2001 è stata acquisita da Caldera. È rimasta sul mercato per un anno e mezzo come Caldera cercando di commercializzare Linux e cercando di farci business. Da subito SCO ha detto al mercato che quel modello di business non funzionava, che bisognava cambiarlo.
Questo però non ha fatto presa: la gente ha fatto fatica a capire che tutto sommato era necessario pagare per avere qualcosa, e questo ha portato anche la nostra azienda a grosse perdite.

Lei dirà: è un problema vostro. Io le dico invece che non è un problema soltanto nostro. Non esistono aziende, di cui si possa verificare quello che dicono, che ad oggi con il business Linux abbiano guadagnato dei soldi.

Per quel che riguarda SuSE, ad esempio, è apparso chiaro nel momento dell’acquisizione (da parte di Novell, NdR) sia il suo valore reale (210 milioni di dollari, NdR) ? e la prima offerta era della metà – sia il fatto che era un’azienda che perdeva molti soldi. L’unica altra azienda Linux quotata in borsa, Red Hat, ha avuto un utile operativo per la prima volta questo trimestre, utile pari a circa 250 mila dollari; gli altri derivano da altri redditi.
E c’è da sottolineare il fatto che Red Hat è riconosciuta come la leader del mercato Linux, ed ha annunciato proprio in queste settimane un radicale cambiamento del modello di business, cancellando la linea di prodotto free e chiedendo ai clienti di migrare ai prodotti Enterprise e di pagare una licenza a postazione annuale. Esiste dunque un evidente problema di modello di business, cosa che l’appassionato non comprende perché non è un problema suo.

Dunque, quello che ha detto McBride è corretto ed anche verificabile da chiunque, perché SCO è un’azienda quotata in borsa: ma è uscita da questa situazione modificando il proprio core business e rifocalizzandosi su un asset, Unix, di grande valore, lo stesso che era stato sottovalutato da Caldera. I risultati sono al 100% risultati operativi e riguardano sia la vendita di prodotti che la firma di contratti di licenza e di servizi, ovvero il core business dell?azienda. La rifocalizzazione su questo core business sta portando, oltre che a questi risultati positivi, anche ad un rinnovato interesse da parte del mercato. La mossa di SCO, dal punto di vista aziendale, è dunque una mossa corretta.

PI : Fra SCO e Novell c’era già stato uno scontro sui copyright di Unix , ed ora i rapporti fra queste due aziende sembrano destinati a deteriorarsi ulteriormente dopo che McBride ha recentemente dichiarato che, secondo lui, l’acquisizione di SuSE viola un contratto di non concorrenza stipulato anni fa.
OZ : Sinceramente non sono a conoscenza in cosa consista di preciso il contratto stipulato a suo tempo fra SCO e Novell. Ciò che le posso dire è quello che è comparso su un comunicato ufficiale di SCO, e cioè che il problema della violazione delle nostre proprietà intellettuali in Linux non è risolto ed è molto ampio. Novell con questo passo evidentemente è pronta ad assumersi un alto grado di rischio.

PI : McBride ha sempre detto che per risolvere la situazione non è sufficiente eliminare dal kernel di Linux le righe di codice che violano i copyright di Unix. Qual è esattamente il motivo?
OZ : Ci sono vari aspetti. SCO afferma che Linux sia basato su tecnologie protette di Unix in maniera estremamente ampia e sofisticata, e quindi ritiene che non sia possibile eliminare il problema, in tempi e con investimenti realistici, semplicemente modificando il kernel di Linux. Ma ci sono anche aspetti legali di copyright e contrattuali. Sebbene, come si è detto prima, le due questioni siano state mischiate in un?unica vicenda mediatica, sono due percorsi legali distinti.

Il processo contro IBM è una vicenda contrattuale; la violazione di copyright riguarda invece l?utilizzatore finale.
I soggetti in violazione contrattuale sono diversi: un altro nome che è stato citato è SGI. Per vari motivi con SGI non si è aperta una causa. Per quanto riguarda gli utilizzatori, oggi ci sono migliaia, milioni di server che utilizzano tecnologia proprietaria in violazione dei diritti di SCO. SCO dice: noi vogliamo che vengano riconosciuti i nostri diritti, dopodiché siamo pronti a discutere di qualsiasi soluzione.

Il puro fatto di sostituire il codice è un’opzione che oltre a essere tecnicamente non praticabile non affronta il problema del riconoscimento dei diritti.

Io non ho mai sentito nessun esponente del mondo open source dire: ?va bene, mostra quali sono le parti di codice che violano il vostro copyright e noi riconosceremo i relativi diritti e poi procederemo ad una strategia successiva che potrà essere, ad esempio, l’eliminazione o l’acquisto della relativa licenza?. L’opzione che viene proposta è invece quella di ?va bene, ho capito, se secondo te questa roba è dentro tu provacelo. Quando ce lo avrai provato e ci avrai fatto vedere tutto il codice incriminato noi lo toglieremo?. Questo approccio non ha fondamento legale. Estremizzando, sarebbe come rubare una macchina, farsi fermare dai carabinieri dopo tre anni e tentare di risolvere la questione limitandosi a restituire le chiavi. Però è strano come questo aspetto non sia stato giustamente commentato dalla stampa. Nella società civile non funziona in questo modo. Molti accusano SCO di fare campagne mediatiche. SCO in realtà è un?azienda relativamente piccola e potrebbe essere che dietro a certi modi di raccontare le notizie sì vi sia la campagna di qualcuno che ha più potere di SCO; lo stesso movimento Open Source ha molto potere mediatico. Altrimenti non capisco come quasi nessuno analizzi un problema di diritto così elementare.

Aggiungo peraltro che se la cosa più utile al mercato era la “trasfusione” di tecnologie pregiate UNIX in Linux per farlo crescere in fretta, per non dire la “fusione” delle due tecnologie in una, i modi legali e corretti c?erano. Oggi sarebbe necessario riaffrontare il problema in un?ottica pragmatica e non ideologica.

PI : Ultimamente sono stati inviati dei mandati di comparizione . Qual è l’obiettivo di SCO?
OZ : I contenuti dei mandati di comparizione non è pubblico e non mi è noto. Queste persone sono però evidentemente a conoscenza di fatti che potrebbero tornare utili a SCO nella propria causa contro IBM.

Intervista a cura di Alessandro Del Rosso
con la collaborazione di Marina Colotto

Link copiato negli appunti

Ti potrebbe interessare

Pubblicato il
5 dic 2003
Link copiato negli appunti