Mobile, la tassa di concessione torna in Cassazione

Mobile, la tassa di concessione torna in Cassazione

La Suprema Corte torna ad occuparsi della discussa tassa sugli abbonamenti mobile: per il Procuratore generale è dovuta, il quadro normativo è coerente. Presto un nuovo parere della Cassazione
La Suprema Corte torna ad occuparsi della discussa tassa sugli abbonamenti mobile: per il Procuratore generale è dovuta, il quadro normativo è coerente. Presto un nuovo parere della Cassazione

La tassa per la concessione governativa sugli abbonamenti dei telefonini è al centro del ricorso presentato da alcuni Comuni del Veneto e dell’Emilia Romagna che ne contestavano la legittimità e su di esso, a breve, si esprimerà la Corte di Cassazione .

Contro la tassa, che genera ogni anno per le casse dello Stato circa 800 milioni, oltre ai Comuni si erano già scagliati alcuni operatori del settore nonché varie associazioni a tutela dei consumatori che hanno anche adito le vie legali per chiedere il rimborso dell’obolo sugli abbonamenti della telefonia.

Tuttavia le istituzioni non hanno mostrato alcuna intenzione di fare marcia indietro e a favore della tassa si è già espressa l’Agenzia delle Entrate, nonché la stessa Corte di Cassazione: la prima ha ribadito – in seguito all’entrata in vigore del Codice delle comunicazioni elettroniche – la necessità di pagare il tributo “per l’impiego di apparecchiature terminali per il servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione”; la seconda, invece, con la sentenza 8825 aveva stabilito che l’assenza di un contratto di licenza non determinasse la decadenza della necessità di pagare tale tassa , ma che questa fosse indissolubilmente legata al tipo di prestazione e non alla presenza o meno di un contratto di licenza.

Ora, in seguito al ricorso depositato da alcuni Comuni del Veneto e dell’Emilia Romagna, la suprema Corte è chiamata ad esprimersi nuovamente sul balzello ed una sua nuova sentenza è attesa in poche settimane: la Cassazione, con l’ordinanza 12056/2013, ha ritenuto di rimettere la questione all’esame delle sezioni unite, anche per l’ elevato numero delle cause e dei ricorsi ancora pendenti in Cassazione .

Per il momento si è espresso Amerigo Penta, avvocato dell’Anci, l’associazione dei Comuni: “Il legislatore cerca di estendere la disciplina del telefonino a quella prevista per gli impianti radioelettrici, ma la norma interpretativa non basta. Per raggiungere questo scopo, il legislatore avrebbe dovuto abrogare l’attuale corpo normativo che prevede per i cellulari solo l’apposizione della certificazione di conformità CE da parte del produttore, introducendo una differente disciplina normativa che (ri)disponga un’attività amministrativa di controllo da parte dello Stato”.

A rispondergli davanti alla Suprema Corte, il procuratore generale: il tributo sarebbe legittimo anche alla luce della legge sul rientro dei capitali . Il DL entrato in vigore a fine gennaio – spiega – equipara le apparecchiature terminali per i servizi radiomobili terrestri di comunicazione alle stazioni radioelettriche , offrendo così un’interpretazione positiva sulla legittimità della tassa.

Per quanto analizzata come una questione squisitamente legalese , quello della tassa di concessione è una questione pratica, di scottante attualità: un balzello da 5,16 euro al mese sugli abbonamenti delle persone fisiche e 12,91 euro su quelli delle imprese. Numeri che – se si volesse affrontare seriamente la questione del digital divide, che vede l’Italia relegata in fondo a tutte le classifiche – dovrebbero forse essere presi in considerazione dalle eventuali riforme.

Claudio Tamburrino

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Pubblicato il
26 feb 2014
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