Il mistero (svelato) di Google X

Il mistero (svelato) di Google X

Nei tre edifici sul limitare del campus di Mountain View si studiano prodotti rivoluzionari: dal volopattino all'ascensore spaziale. Ma non sempre i sogni diventano realtà
Nei tre edifici sul limitare del campus di Mountain View si studiano prodotti rivoluzionari: dal volopattino all'ascensore spaziale. Ma non sempre i sogni diventano realtà

La X non simboleggia l’ignoto, bensì l’altro, il diverso: quando nel 2009 Brin e Page, fondatori di Google, decisero di mettere in piedi un laboratorio di ricerca alternativo alla tradizionale Ricerca&Sviluppo, pensarono fosse il posto giusto dove lasciar scorrere liberamente le idee alla ricerca di soluzioni fino a quel momento mai considerate. Il risultato è che i laboratori conosciuti come Google X sono un luogo che assomiglia all’antro di Tony Stark, un luogo dove se non è ancora tutto possibile almeno si prova a stabilire se un giorno lo sarà.

Fast Company è riuscita a farsi aprire le porte del laboratorio misterioso, e quanto è venuto a galla tiene testa all’immaginazione: Google X ha provato a sviluppare un volopattino, uno skateboard a levitazione magnetica, ma ha fallito . Poi ha provato a realizzare il sogno fantascientifico dell’ascensore spaziale: di nuovo, il progetto non è arrivato a conclusione. I ricercatori di Mountain View si sono anche cimentati col teletrasporto: di nuovo, ancora, un fallimento. Ma, spiegano, il fallimento è parte della cultura di Google X : non può e non deve esserci sempre un fine economico per provare, a volte vale la pena tentare per il solo scopo di scoprire se qualcosa è fattibile. Nel fallimento ci sarà una lezione utile per il tentativo successivo.

I casi citati sono esemplificativi: il volopattino ha messo il luce la fattibilità dell’idea, sulla falsa riga di quanto si fa già con i treni su rotaia magnetica in Giappone, ma si è scontrato col fatto che i magneti tendevano a invertire la polarità continuamente, continuando a ribaltare la tavola dello skateboard. Per l’ascensore spaziale , alla ricerca di un materiale di diversi ordini di grandezza più solido dell’acciaio, gli scienziati di Google X si sono ovviamente imbattuti nei nanotubi di carbonio: peccato che, allo stato dell’arte, non si riesca a ottenere strutture dalla lunghezza superiore al metro, pertanto il progetto è finito archiviato in attesa di tempi migliori (e Big G continuerà a monitorare il settore). Col teletrasporto è andata peggio: l’idea resa realtà dalla fantasia di Gene Roddenberry non ha retto la prova dell’analisi scientifica, e per ora è stata confutata poiché in contraddizione con alcune leggi della fisica. Ma, di nuovo, non è detto che non ci si possa riprovare in futuro.

Quanto Fast Company ha messo in luce su Google X è un aspetto peculiare dell’azienda di Mountain View: mentre l’R&D tradizionale e il resto della corporation sono concentrati sui bit e sul profitto, in quei tre palazzi privi di un’insegna al margine del campus non c’è alcuna pressione per spingere i fortunati 250 dipendenti della divisione a realizzare qualcosa di commercialmente utile. Google può permettersi il lusso di investire, contemporaneamente, in progetti che facciano felici gli azionisti e in progetti che facciano felici le menti più aperte del pianeta : l’importante, la regola , è che il problema da risolvere sia di quelli che affliggono milioni di persone sul pianeta, e che la soluzione non sia campata per aria ma fisicamente realizzabile. A Google X c’è ancora spazio per la fantasia.

Luca Annunziata

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Pubblicato il 22 apr 2014
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